di Marco Bellentani
Il Franco Mare si adagia lussuosamente sulle rive del Mar Tirreno, a Marina di Pietrasanta (LU), località preziosa sia per il turismo estivo, sia per quello culturale e, anche grazie a perle come questo ristorante, enogastronomico. Negli ultimi cinque anni, il locale della famiglia Stefanini ha sicuramente compiuto grandi passi verso una consacrazione definitiva e meritata. L’entrata in Michelin (due forchette) e il cappello sull’Espresso sono, tuttavia, un punto di partenza per il solido chef Alessandro Filomena, canturino trapiantato in Versilia da una vita.
Dopo aver aperto fior di ristoranti della zona, dal Bistrot al Principe, fino ad esperienze estere, Filomena sembra – dopo un periodo di rodaggio – avere trovato qui il suo Nirvana. Dopo il successo di critica dell’anno passato, ha fatto tabula rasa assumendo quattro ragazzi sfornati dall’Alma, tra cui il sous chef Alessandro Ferrarini (già da Schuman, Il Quirinale). Idem in sala, dove – rispetto a recenti esperienze di chi già lo conosceva – delicatezza, servizio, atmosfera hanno assunto un valore eccelso.
Tutto questo è già tanto, ma, ovviamente, non può prescindere dalla cucina contemporaneamente maschia e delicata di Filomena: tradizione italiana, da nord ad un perfettamente sublimato sud, contemporaneità, idee. Una brigata efficientissima consente allo chef una perfetta calibratura di acidità, sapori, dolcezze e contrasti.
Il bello è che decidiamo di assaggiare non solo l’anima classica del Franco Mare, fatta solitamente di piatti di pesce freschissimo, rifornito sia dai mercati locali sia da Andrea, padre di Davide e Nicola Stefanini, impegnati in sala. Costui, con licenza di pescatore professionista, salpa costantemente i marosi e firma il pesce Franco Mare 100% (pesci al forni costantemente in menu a seconda del pescato). L’altra faccia, ben rappresentata dalla recente collaborazione con Michelangelo Masoni – leggi il Re della ciccia locale – è fatta di piatti di carne di grande spessore.
Dopo un “frittino” di benvenuto e seppur il Polpo arrostito sia uno dei piatti che ha reso famoso lo chef, vertiamo su una novità come il Salmone Selvaggio, demi cuit, tamarindo ed erbe aromatiche. Marinato e poi cotto per 24 ore a 48°C, il salmone è cotto ma par crudo in un gioco d’equilibrio tra erbette scelte e la dolcezza del tamarindo. Pur non essendo personalmente un fan del salmone, la cucina lo tratta regalmente: sarà uno dei piatti più venduti.
La prima grande sorpresa passa anche dal secondo antipasto: Coda di manzetta in aspic tiepido, purea di sedano, rabarbaro e salsa di brasato. Una vaccinara classica e possente, spezzata da tocchi di rabarbaro fresco e accompagnata dalla salsa si sedano rapa. Spicca un brasato sempre tradizionale, ben fatto che dona persistenza, voglia di addentare, piacere.
La carta dei primi è pressoché perfetta, dalla Fettuccia al grano arso con vongole veraci, al Risotto con gambero rosso e burrata di Andria. Poi ancora Tuffoli con Paccatella del Vesuvio, uno Scoglio raffinato e Agnolotti ai crostacei. La proposta vegetariana, su cui, ancora una volta con spirito di curiosità ci buttiamo è lo Spaghettone Vicedomini alla Puttanesca. Sensuale e italica, cremosa con la colata di pomodoro e peperoni che invade le olive, la Puttanesca diventa una riedizione del classico della nostra cucina. Apparentemente semplice, realizzata con grandi ingredienti, non ci si inventa niente ma si porta l’avventore sul territorio di una gradevolezza emozionante.
In zona, il Pesce Nero è abbastanza inflazionato. Il trancio si presta bene a qualsiasi tipo di preparazione. Qui viene esaltato da una zuppetta di crescione d’acqua e frutti di mare. Il pesce, i muscoli e questo cremoso guazzetto dal retrogusto quasi impercettibilmente piccante: risultato eccelso.
Rasenta, questo piatto, davvero il capolavoro che arriva con il Piccione arrosto cotto in due modi il suo crostino, cavolo nero e guanciale affumicato. La “differenza” qui si fa, innanzi tutto, con la materia prima. Masoni, il macellaio viareggino, fornisce davvero uno dei piccioni migliori mai sentiti e consente a Filomena di lavorare in posizione di forza. Crostino classico al centro e sublime cottura: 3 ore a 57°C e rifinitura al fuoco della padella. Ne nasce un fondo quasi glassato, concentrato, e un petto davvero da sogno. Non finisce qui, perché si aggiunge un guanciale cotto 24 ore sempre a 57°C arrotolato su cavolo nero in onore della regione. Il piatto è assolutamente divino, da bis, tris e quater.
Chapeau. Finale zuccherino con Bolle e Bollicine al cioccolato fondente, mousse al pistacchio e passion fruit. Carta dei vini razionalizzata, non immensa ma ben costruita con scelte italiche sotto i 30 fino a grandi vini francesi sui 700-800. La clientela è svariata, la mise en place e il ridondante mare suggeriscono un completo lasciarsi andare. Con uno chef così si naviga accarezzati in buone mani. La sfida è lanciata: dove arriverà questo locale? La sensazione è di quelle più che esaltanti.
Prezzi a la Carte sui 70 (il magnificente crudo con alzatina di ostriche lo sposta verso gli 80-90), due lauti e esaustivi menu degustazione sempre a 70.
Via Lungomare Roma, 41,
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