A cura di Giulia Cannada Bartoli
Giovane e ‘capa tosta’ Francesco Sposito, ha bruciato molte tappe: stella Michelin a 25 anni, il più giovane JRE nello stesso anno, miglior cuoco emergente Gambero rosso nel 2010. Francesco si completa con suo fratello Marco in sala, formando una squadra professionale e con le idee chiare. L’operazione Taverna Estia porta con sé, l’abbiamo detto spesso, elementi di eroicità, visto il contesto nel quale i due fratelli operano. Si tratta di una sfida: coltivare e far crescere il rapporto con il territorio. Tutto è iniziato con i genitori che non provengono dal settore e iniziarono una ristorazione assolutamente tradizionale, finchè Francesco, appassionatosi alla cucina, comincia a girare il mondo e nel 2005 prende il timone del locale.
Il piatto presentato rappresenta un momento di ripensamento, di un certo ritorno alla tradizione, al piacere di cucinare le verdure come nell’uso dei napoletani ‘mangiafoglie’. In questa sua stagione, lo chef predilige la ricerca dei prodotti, la rivisitazione di piatti della tradizione per sfruttare l’immenso patrimonio della propria terra, senza tuttavia dimenticare la sperimentazione che l’ha caratterizzato nei primi anni di attività. Il mio rapporto con la mozzarella, risponde Sposito – sollecitato da Paolo Marchi, è viscerale, la considero una cosa divina, quasi intoccabile, da mangiare a morsi, sporcandosi i vestiti; se poi devo utilizzarla in cucina, allora ricorro al prodotto del giorno prima. Con questa base lo chef ha presentato il carciofo arrostito, una tradizione secolare delle zone vesuviane, tipicamente domenicale, quando l’odore della ‘fornacella’ si spandeva per le strade. Oggi questo non succede più, la gente non cucina più in casa e allora si vedono gli ambulanti che vendono carciofi arrostiti in strada…
Il carciofo utilizzato è quello campano di questo periodo: ‘la mammarella’ senza spine e più tenero. Per ottenere il risultato dell’affumicato, dell’odore della ‘fornacella’, lo chef incendia grandi quantità di carbone alimentare e poi lo lascia in olio per 24 ore. Quest’olio servirà per il carciofo confit, prima sbollentato per un minuto e poi cotto in forno per tre ore a 95°. La ricetta della nonna prevedeva il ripieno con la parte morbida del carciofo, pecorino, parmigiano, aglio e una polpetta di carne di maiale per chiusura e poi diritto sulla brace. Francesco invece ha realizzato per la farcia una crema inglese con mozzarella, aglio e prezzemolo e una polpettina cruda di carne di maiale. Intanto l’odore di carbonella si sparge in sala…
Il piatto è pronto e viene finito con crema di acciuga, un pezzetto di mozzarella e carbone incendiato…
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