di Giustino Catalano
Devo dire che quando giorni fa ho ricevuto l’invito di un amico ad andare a visitare un’azienda che si occupa di legname, sia da riscaldamento che da pizzeria, ho accettato con immenso piacere.
Ci siamo attardati molto spesso su discussioni, più o meno accese, sulle farine, la tipologia d’impasto, i lieviti, i forni ma della legna non ne abbiamo mai parlato.
Un qualche accenno a Formamentis lo ha fatto Enzo Coccia sulle tre tipologie di legna adoperate maggiormente in pizzeria ma mai nessuno di noi, me in testa, si era posto il problema di capire che legna si adoperasse nelle pizzerie e soprattutto se ogni tipologia andava bene per la cottura della pizza.
I pizzaioli, essendo anche dei professionisti, sicuramente ne conoscono l’importanza e sono in grado di discernere tra una varietà di legna e un’altra ma, spesso, come ho capito, sono anch’essi vittima di piccole prese per i fondelli o di astuzie alla vendita.
Tengo a fare una brevissima precisazione di natura personale. Adoperare legna non è assolutamente anti ecologico, anzi, se si fa la dovuta attenzione sulla tracciabilità della stessa, è di ottimo impatto sull’ambiente e si fa da “spalla” al ripopolamento dei boschi, con migliori conseguenze per l’ambiente in termini di scambio di ossigeno – anidride carbonica e alla creazione di ulteriori posti di lavoro reali e non presunti come quelli provenienti dall’estrazione petrolifera.
Le emissioni della combustione del legno sono decisamente meno impattanti di quelle del gas o del carbone (abbiamo ancora qualche centrale elettrica a carbone!) e anche se volessimo adoperare elettricità proveniente da centri di combustione di biomasse dovremmo mettere in conto che i cd. chippati o i pellets sono sempre biomasse e ne occupano la maggior parte di queste. Quindi non bruciare legna e ricorrere ad energia elettrica, almeno in Italia, non è assolutamente scelta ecologica se si parte dal presupposto che in entrambi i casi, dove non si adopera carbone, si adopera legna.
Sul gas non mi pronunzio perché è inutile sparare sulla “Croce Rossa”.
Detto ciò iniziamo con il dire che nelle nostre pizzerie, a seconda dell’area geografica, i legni più adoperati sono il faggio e la quercia. Talvolta il càrpino (e non carpìno come qualcuno dice), ma questo è un prodotto che potremmo definire scappatoia.
In effetti la campagna dei legnami, a seconda delle regolamentazioni regionali, si svolge tra i mesi di maggio e settembre.
In tale periodo quercia (tutte e cinque le varietà) e faggio sono agevolmente raggiungibili essendo alberi che crescono a quote alle quali nei mesi invernali l’accesso è difficoltoso se non addirittura impossibile per le nevi e le condizioni climatiche che lo sconsigliano.
Il càrpino che cresce a quote più basse, in genere, viene tagliato nel periodo novembre – febbraio, garantendo prodotto a chi non ha magazzini sufficientemente grandi per lo stoccaggio delle campagne estive.
Ed è qui il primo inghippo della filiera legna che vede i produttori di legna dividersi tra due categorie.
Quelli che nei mesi di campagna taglio lavorano 3-500 quintali al giorno e quelli che per mezzi, personale e spazi inferiori ne lavorano molto meno dovendo spesso ricorrere nel corso dell’anno ad acquisti al’estero, con prezzi talvolta molto convenienti. Poi esiste la terza categoria di quelli che non lavorano legna ma la commercializzano soltanto acquistandola all’estero e rivendendola in Italia.
Ma che differenza ci sarà mai tra un legno estero e uno nazionale?
Purtroppo la differenza può essere davvero notevole e non solo in termini di resa ma soprattutto di provenienza e di sostanze nocive, tossiche o radioattive che si possono trovare nella legna stessa.
Mi spiegano i fratelli Vincenzo e Francesco Del Prete della omonima Azienda ubicata a Marcianise sulla S.S. Km.16+600 che le stesse qualità di legno a seconda della loro provenienza possono avere un peso differente.
Ad esempio un mc cubo di legna di faggio proveniente dalla Calabria pesa 9 q.li rispetto allo stesso mc proveniente dall’Abruzzo che ne pesa ben 13,5.
Un’oscillazione che incide non poco sui costi del prodotto e che loro che adoperano solo legno nazionale sanano mescolando uguali legni di differenti provenienze cercando di avere un peso per 1,20 mc. (misura standard) piuttosto uniforme che si aggira intorno agli 11 quintali.
Il legno estero, spesso proveniente da paesi dell’est con in testa Albania, Ucraina e Russia, risulta avere una fibra più morbida con un potere calorico più basso, una resa consequenziale più bassa e meno brace.
Inoltre i legni di tale provenienza non garantiscono limiti bassi o vicini allo zero di elementi come cadmio, antimonio, arsenico, vanadio, tallio, cobalto, cromo tetravalente e cromo esavalente, tutte sostanze radioattive o cancerogene che con la combustione non si distruggono ma si trasferiscono soltanto dal legno nel quale si trovano all’ambiente nel quale ardono.
Insomma legni pericolosi quanto quelli con resine o addirittura provenienti da scarti di falegnameria dove si adoperano colle e vernici.
Spesso i legni di provenienza estera o dubbia, benché più economici, hanno la particolarità di avere indici di umidità più alti rispetto al 15% che la Legge imporrebbe. Così il potere calorico sprigionato risulta di gran lunga inferiore via via che il tasso di umidità è maggiore.
Proprio a tal proposito la Del Prete legnami, forse tra le prime in Campania, ha deciso di dotarsi di un sistema di autocontrollo e autocertificazione a mezzo del quale, con analisi chimiche certificate, garantisce sia la provenienza tutta nazionale del prodotto (anche da lotti destinati al ripopolamento boschivo e autorizzati per Legge al taglio scaduto il ventennale di obbligo di accrescimento) che l’assenza di tali sostanze.
Un passo avanti che sicuramente aiuta chi fa qualità in pizzeria anche guardando al legno che viene adoperato.
Ma torniamo proprio a cosa si adopera. Come dicevo all’inizio ho appreso che a Napoli si preferisce il legno di faggio decorticato segato mentre ad esempio nell’alto casertano è preferito quello di quercia spaccato.
La scelta non è solo di matrice culturale e tradizionale ma anche di gestione dei forni. A Napoli si predilige una fiamma più viva e costante mentre nell’alto casertano la scelta va per fiamme meno vivaci ma con braci più longeve.
Infatti, cosa che ignoravo, la legna spaccata non offrendo come la segata una fibra aperta risulta molto più fumosa. Stesso discorso vale per la differenza tra quercia e faggio e tra queste decorticate e con corteccia.
La corteccia offre maggior resistenza alla fiamma e i tempi di buona combustione sono più lunghi rispetto alla legna decorticata. La quercia ha un potere calorico di poco inferiore al faggio.
Intendiamoci non è che il faggio sia tra la legna con il maggior potere calorico ma è tra quelle adoperabili la migliore.
Nello schema calorico infatti si noterà che tutte le conifere come pino, abete, ecc hanno potere di gran lunga superiore ma le resine in esse contenute finiscono con l’essere tossiche e trasferire aromi estranei ai prodotti in cottura (pane, pizza). Motivo per il quale vanno scartate.
Pari discorso per alcuni legni come il rovere o la betulla che o sono molto rari o sono adoperati per altri scopi più nobili rispetto alla combustione come la fabbricazione di mobilio di pregio o altro.
Altra nota degna di merito è quella relativa alla stagionatura dei legni, e quindi relativa al tasso di umidità ideale (inferiore al 15%) che varia a seconda che si sia in presenza di legno segato o spaccato. I legni segati stagionano in 8 mesi mentre quelli spaccati ne richiedono anche 11-12. Si tenga presente che il tasso di umidità della legna al taglio è molto spesso vicino all’80%.
Volendo tirare le somme dalla Del Prete Legnami ho capito che:
- È meglio adoperare legno italiano e se possibile con origine certificata, meglio ancora se fornita in un sistema di autocontrollo.
- Se serve fiamma molto vivace la legna di faggio va preferita a quella di quercia.
- Viceversa se occorre una brace più longeva e una fiamma meno incisiva l’ideale è la quercia;
- Prediligere legni stagionati almeno 8 mesi.
- Il càrpino è un legno meno pregiato dei tre e se vi viene offerto è perché chi lavora faggio e quercia è molto piccolo e non ha magazzini idonei allo stoccaggio e quindi non riesce a stornare, se adopera legno italiano, prezzi particolarmente convenienti.
Un ultima nota sui legni inscatolati e quelli sciolti. Gli inscatolati che hanno un formato standard di 5 x 5 x 50 cm sono spesso preferiti perché le scatole sono più facili da immagazzinare (e su ciò non ci piove) e perché si ritiene che il cartone garantisca una maggior pulizia dell’ambiente di lavoro.
Tale ultima considerazione però è spesso sbagliata. Il legno all’interno del cartone, in un ambiente dove la farina è componente fissa nell’aria, in condizioni di umidità di poco superiore al 25% (condizione praticamente ordinaria) favorisce lo sviluppo e la proliferazione di insetti essendo per sua natura idroscopico.
Prendetene nota e occhi aperti anche sulla legna che adoperate.
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