di Monica Caradonna
Quando entrava in classe, sguardo basso e muso ingrugnito, alle spalle i compagni di scuola lo schernivano riproducendo il verso della mucca. Perché lui, Vito Di Cecca, era il figlio del casaro. Oggi, a distanza di vent’anni, arrivando ad Altamura, capita di incontrare Vito, con la sua vita scritta nei suoi tatuaggi, in compagnia di un giornalista americano, che è arrivato in Puglia per intervistarlo alla ricerca di storie di eccellenza da raccontare.
Lo sguardo oggi è fiero e il bagaglio di esperienza, maturata in un viaggio lungo 63 timbri diversi sul suo passaporto, ha contribuito a formare l’uomo, il nuovo casaro, il visionario, che alla tradizione di famiglia, alle ricette tramandate dal nonno e lasciate in un libro che passa di padre in figlio, unisce l’innovazione raccolta nella sua vita da globetrotter.
Ed è proprio a lui che è dedicato il Don Vito, un pecorino stagionato per 15 mesi e trattato in superficie con olio extravergine d’oliva pugliese e ricavato da una ricetta impressa in quelle pagine ingiallite, ma modificata dal giovane nipote che ha ridotto del 50% il contenuto in sale.
Ha una passione per gli erborinati Vito e ha imparato a farli osservando i francesi e gli inglesi. Ha prodotto mozzarelle e burrate in ogni angolo del mondo. Solo nell’Africa più nera ha avuto qualche difficoltà a causa delle temperature, «ma un giorno chiamai mio padre in Italia – racconta Vito – e con i suoi suggerimenti sono riuscito a produrre scamorze e mozzarelle anche lì in quelle condizioni estreme».
A 18 anni Vito ha lasciato la sua casa, i suoi fratelli e le sue sorelle, i suoi genitori, ha riempito uno zaino della sua vita ed è volato alla volta dell’Australia. «Non conoscevo l’inglese e lavoravo in un kebab bar per guadagnare qualche soldo. Era dura, soffrivo la solitudine e mi capitava di piangere». Ma poi, dopo un mese, è andato a lavorare per un’azienda agricola dove ha seguito la prima start up per produrre mozzarelle.
Perchè Vito, che è del segno della Vergine, è una capatosta e non si è mai fermato davanti alle difficoltà, anzi ne ha tratto spunti, nuove sfide, nuovi viaggi. E dietro a ciascun formaggio c’è una storia o a volte una donna.
È in California che ha conosciuto Clara, una greca trasferita negli Usa, ed è con lei che ha fatto il suo viaggio in Grecia, ha conosciuto il nonno, ha amato quello yogurt dal tipico sapore acidulo. «Il nonno di Clara mi ha dato la sua ricetta, io l’ho modificata eliminando lo zucchero e sostituendolo con pochissimo miele».
I fratelli non credevano in quella svolta cremosa del caseificio. Temevano l’investimento in un packaging accattivante e più costoso. «Ho attinto al mio conto personale. Ho comprato 30mila vaschette. Ho investito quei 6mila euro con un po’ di paura». Oggi lo yogurt dei fratelli Di Cecca è uno tra i prodotti più cercati, desiderati e venduti. Ed è pazzesco quello con la cioccolata. La migliore in commercio, inutile dirlo.
Ma un pezzo forte dei fratelli Di Cecca è il Lingotto D’Oro, un formaggio a crosta edibile a latte crudo con crosta lavata e trattata solo con olio extravergine d’oliva. Ed è propri l’olio di Puglia a conferire il color oro al formaggio.
La sfida: gli erborinati in Puglia
Sono stati, però, gli erborinati la vera sfida di Vito. «Ma prima devi saper fare la pasta filata a siero innesto, senza aggiunta di acido citrico – racconta quel giovane dagli occhi vispi. E del primo tentativo ricordo uno schiaffo di mio padre dopo aver assaggiato quella prova». Forse senza quelle cinque dita sul viso oggi non esisterebbero 60 diverse versioni di erborinato made in Puglia. Da quello al primitivo di Manduria, ottenuto con Es di Gianfranco Fino, a quello al Nikka, un whisky giapponese che spesso accompagnava le serate di Vito in Oriente. Molti nascono solo per sperimentazione o per piacere personale. Tutti sono nati dall’aver visto lavorare Mathieu, un francese a Pasadena in California, che aveva una piccola produzione di erborinati, e dall’aver vissuto a Colston Basset, la patria del Blue Stilton. In Inghilterra Vito arriva seguendo un nuovo amore. Lavorava da Neelsyard a Londra, famosi affinatori di formaggi, ma era interessato alla produzione. Ed è allora che arriva da Colston Basset dove ha imparato a fare gli erborinati. «E loro, nei creamery, i caseifici, fanno il blue stilton aggiungendo il penicillium – racconta ancora – e in quel formaggio dalla tipica forma di un cilindro del peso di circa 6 chili, ci immergono una bottiglia di Porto». Ma il viaggio continua. Ci sono stati il Myanmar, Phuket, il Belize, il Messico dove ha fatto burrate nei resort. Ma è a Montreal che impara a fare la rottura di cagliata e gli stracchinati.
Le conclusioni
A 9 anni aiutava il papà a fare i nodini perché servivano mani piccine. Oggi condivide l’attività di famiglia con Paolo, Angelantonio, Vittoria e Maria Teresa. Cinque fratelli come cinque sono le gocce sulla corona che è diventata simbolo del coraggio dei fratelli di Altamura. Il coraggio di rivoluzionare una tradizione di famiglia iniziata nel 1930.
Caseificio Di Cecca
Via Bari, 26 – Altamura (BA)
Tel. 0803140822
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