di Antonio Siniscalchi
Folloviello sorrentino. Il profumo degli agrumi sorrentini e la dolcezza delle uve bianche di Pantelleria. Due prelibatezze che si condensano nel segno del Regno delle Due Sicilie. Sulle tavole natalizie si integrano in maniera semplice con noci, arachidi e nocciole. Sono i «follovielli», gli involtini d’uva, la cui versione originale, risalente all’epoca dei romani, suggeriva l’impiego delle foglie di fico, di platano e di vite (in luogo di quelle di limone o di cedro) per conservare l’uva passita.
Una lavorazione antica, celebrata anche da Gabriele D’Annunzio nel romanzo “La Leda senza cigno”, rimasta immutata nel tempo nella riviera dei cedri, nel cosentino, con i «panicilli», e in penisola sorrentina, con i «follovielli». Una “chicca” della tavola natalizia tra storia e leggenda, un involucro di foglie di limone che racchiude un racconto affasciante, una ricetta di profumi e sapori che ha lasciato Angie Cafiero, blogger appassionata di enogastronomia, recentemente scomparsa.
Folloviello di Sorrento
Gli ingredienti
1 litro di mosto; 500 grammi di zucchero; 1 chilogrammo di uva regina; un pizzico di sale; 1 bicchiere di vino bianco; 3 arance (o mandarini); 3 limoni; 1 bicchierino di anice ed uno di cognac; foglie di fico e foglie di limone.
La preparazione
Una lunga lavorazione che parte dalla vendemmia: abbinare il mosto con lo zucchero e lasciare bollire per circa tre ore, fino a quando non si riduce alla metà. A parte, far bollire acqua con un pizzico di sale, dove immergere l’uva, per due o tre volte per pochi secondi. Quindi, esporre gli acini al sole per una settimana, poi in forno a temperatura
moderata per mezz’ora, infine, lavata nel vino bianco e quindi ancora una volta ripassata nel forno per una decina di minuti circa. A questo punto l’uva va conservata in piatti coperti da un tovagliolo.
In genere questa operazione viene fatta qualche mese prima delle feste natalizie. Per l’involucro macerare nel mosto per 2 giorni i chicchi di uva passita con le scorzette di arance a cubetti, un bicchierino di anice ed uno di cognac.
Le foglie di fico con lo stelo si piegano formando un involucro, con quelle di limone ed i chicchi d’uva oramai insaporiti.
Lo stelo della foglia di fico affilato ripiegato o un filo di raffia fissa il fagottino. Ultimo step in forno a calore moderato per una ventina di minuti.
Le origini del nome
Aneddoti e ipotesi anche nell’etimologia del nome del Folloviello di Sorrento: «Sulle origini del nome – si legge sul blog di Angie Cafiero -, un particolare ringraziamento va all’amico Antonino Casola, che ne ha fatto una piccola ricerca linguistica. Il Follaro (bozzolo in lingua tosca) era un involucro o anche una moneta che veniva battuta a Sorrento sotto il Duca Sergio II che regnò dal 1111. Tuttavia il follaro che interessa a noi è costituito da foglie di limone o di fico avvolte e contenenti uva o prugne aromatizzate con bucce d’arancio e passate per il forno. Da qui il nome di “follariello”, parola diffusa in numerosa letteratura e riportata dai vari dizionari napoletani non “folloviello”, come riportato sulle confezioni».
A incoronare il «folloviello», quello sorrentino, tra i giacimenti golosi del «mangiare meridiano», e consacrarlo così nel patrimonio di sapori del Mezzogiorno d’Italia, è una pubblicazione curata da Davide Paolini. Ultimi custodi di una tradizione che non sembra arrendersi alla globalizzazione alimentare, sono i maestri artigiani della Deia,
l’azienda che da oltre cinque lustri produttrice delle golose leccornie legate a mo’ di involtino con fibre vegetali. «Per i nostri prodotti utilizziamo l’uva di Pantelleria, che grazie alle sue proprietà consente di ottenere un prodotto di elevata qualità – spiegano i titolari dell’azienda sorrentina -. È possibile usare anche acini provenienti dall’Argentina, ma con risultati meno graditi ai palati più esigenti. L’uva giunge nel nostro laboratorio già essiccata. Poi viene cotta per pochi minuti in recipienti con vino bianco portato all’ebollizione».
Folloviello di Sorrento
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