di Fabrizio Scarpato
Il teatro della cucina. O la cucina che si fa teatro, ma senza teatralità.
Si entra da una via fiorentina che non è come tutte le altre, per il senso di rispetto e memoria, ma anche per il ritrovato filo di divertimento e cultura, enogastronomia e arte gelatiera: via dei Georgofili è tutto questo, un concentrato di sentimenti e lampi che si affastellano ora bui, ora sereni, scacciandosi l’un l’altro. Non facile.
Il teatro è bello, e nuovo: all’ingresso una voliera racconta di desiderio di libertà; la platea ha per sfondo un grande specchio che riflette boiseries cerulee e biondi pavimenti lignei, a sottintendere sincerità, a sottolineare eleganza; il palcoscenico, lì a tre metri, è una cucina intieramente sotto vetro: per fondale un’ala degli Uffizi e per quinta uno scorcio della Torre dei Pulci, sede accademica dei Georgofili. Trasparenza e senso di appartenenza. Il teatro si chiama Ora d’Aria.
I cuochi nella cucina si muovono con tranquillità e sicurezza, gesti lenti e precisi, quasi leggiadri, in una sorta di muta coreografia studiata nei minimi cenni. Eleganza meccanica. Difficile distogliere lo sguardo, il balletto procede senza strappi e senza sorrisi. Non saprei dire se gli sguardi pur vivi che si incrociano testimonino concentrazione o routine, e nemmeno se in realtà gli attori, i cuochi, abbiano piena visione della sala, dato il gradiente di luce, il differenziale di atmosfere.
Il gioco di specchi è evidente, sala e cucina si riflettono l’un l’altra ed entrambe sono parte dello specchio più grande, secondo proiezioni ennesime: tentativi di svelamento dell’arte culinaria e di avvicinamento curioso dell’avventore rimbalzano nello specchio, allontanando la meta, rimarcando l’estraneità al momento creativo, esaltando anzi il senso di desiderio, di sogno, di mistero irraggiungibile. Così vicino, così lontano.
Un teatro di entrate e uscite, di anticipazioni e rivelazioni, epifanie ritmate dal movimento della porta scorrevole, unico diaframma violabile tra palco e platea, tra sogno e realtà.
Frrr… avvistamenti di una SuperTartara di fassona in emulsione di birra Super Baladin: super di nome e di fatto.
Vrrr… allineamenti e sovrapposizioni sceniche di capesante e merluzzo spruzzate di limico esotismo, tra addobbi di orti e toscanità parisiana.
Swishh… il piccione in tre cotture, storia melodrammatica in cui il sangue arrossa lento l’amaro cibreo e i ravanelli candidi, in una memorabile sintesi di forza espressiva e gustativa.
Ssszz… un uovo, altre uova e una nonna toscana, un racconto rituale in senso orario che inizia con ritagli di petto di gallina, prosegue morbido in una quenelle di fegato grasso, si spande a ritmo lento in un uovo poché che si scamicia, denso, per ringalluzzirsi nel gusto eccitante del caviale, per poi disperdersi nella tranquilla croccantezza di mozzichi di pane casereccio ritemprato in un brodo ristretto perfetto, ambrato, tiepido e ricco. Oro su oro antico (qui mettete voi la virgola a seconda che vogliate dipingere o ricordare).
Una corsa lenta, un dribbling struggente in cui si mescolano spazio e tempo, contemplazione e movimento: lo spettatore taglia, succhia, rompe, mescola, spalma, attende e confonde ondate di contrasti, di sensualità, di dolce e amaro, di morbido e croccante, di povero e ricco, di popolare e aristocratico, in un sovrapporsi di memoria ed esperienza che sono racconto e narrazione.
Lo specchio moltiplica a dismisura gesti e facce, ricordi ed emozioni fino ad inghiottire tutto e tutti: attori e spettatori, riflessi, non sono quel che sembrano o pensano di essere: l’azione, il piatto, irrompe sulla scena ribaltando i ruoli, invertendo le parti.
Lo spettatore accenna una disinvolta zuppetta: le mani in azione, leste, le dita da leccare, senza ritegno: honny soit qui mal y pense, è scritto lì, ricamato sul lino delle tovaglie. Nessuna vergogna, si guarda intorno di sottecchi, con fare furtivo e divertito, appagato e satollo, alla fine felice. Nel gioco delle parti, nel teatro degli specchi, protagonista non previsto. O forse no.
Nella cucina sotto vetro non c’è più nessuno, sulla vetrata cala una veneziana grigio perla: sipario. Applausi.
Via Accademia dei Georgofili 9/r
Tel. 0552001699
www.oradariaristoranti.it
Sempre aperto, chiuso lunedì a pranzo e domenica
Ferie in agosto
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