Fiano di Avellino, le mie cinque etichette del cuore

Pubblicato in: Verticali e orizzontali

Nella splendida degustazione organizzata alla Botte dall’Ais Caserta per presentare il libro Le ricette di Napoli ho scelto i miei quattro Fiano del cuore.
Già ma cosa significa del cuore? C’è una componente soggettiva esagerata rispetto all’oggettività della degustazione? Non direi proprio, non fosse altro perché tanto per cominciare non c’è nessun altro cuore tra i tanti, bravissimi, che scrivono di vino, che pompa Fiano di Avellino più longevo: il primo articolo su Vadiaperti risale ormai al 1994 sul Mattino. In secondo luogo il cuore indica un approccio umanistico della degustazione, che deve tenere conto sicuramente delle qualità espresse dal produttore in bottiglia, ma anche della sua storia personale, quello della cantina e del contesto in cui si trova ad operare. Tra queste varianti, oggettive, si forma poi un giudizio complessivo che esprime il peso reale che queste etichette hanno avuto nella brevissima storia del vino campano e tende a metterle sotto il naso degli appassionati e dei semplici consumatori oltre che degli esperti. Ed è così che nasce il cuore divino.

Vigna della Congregazione, Villa Diamante

Ad Antoine è stata imputata la discontinuità come difetto. Da un punto di vista industriale è sicuramente vero, ma da quello vitivinicolo è un grande pregio. Il nostro vignoiolo, biologico, testardo e tignoso quando si tratta di mettere i paletti, ha invece mente ampia e aria fresca quando si tratta di vinificare. Dal mio punto di vista è il Tecce del bianco, o se volete Tecce  è l’Antoine del rosso. Il suo rapporto con l’uva è personale, tattile e culturale, il vino è condiviso nelle sue espressioni con la moglie Diamante a cui è dedicato, ha subito iniziato a ragionare al Fiano come un’uva dai tempi lunghi e, nella buona come nella cattiva sorte, non si è mai distolto da questa linea testarda. Il risultato è che il suo Fiano è sempre un evento quando viene aperto ed è quello che metterei sotto il naso senza timori al più grande dei critici. Antoine, insomma, ha dimostrato per primo che il Fiano poteva non essere solo un istant book.

Fiano di Avellino, Clelia Romano

Anche il Fiano di Clelia Romano, donna riservata e gentile, è nel cuore perché è stata la piccola cantina che è riuscita a dare dignitià assoluta a questo vitigno in un momento di esplosione della viticoltura in Italia, senza marketing mentre i toscani impazzavano con uffici stampa e massicce dosi di comunicazione mirata e studiata. In queste colline silenziose sempre avvolte dalla nebbia, fredde d’inverno e fresche d’estate, in un silenzio assordante per chi viene da Napoli, il Fiano esprime la sua componente fruttata con garbo, senza mai rinunciare alla freschezza, ponendo le premesse per una evoluzione fantastica e onirica. Il rapporto con AngeloPizzi è splendido, e ogni anni questo Fiano riesce a ricordarci i grandi passi in avanti compiuti dalla viticoltura bianca della Campania.

Fiano di Avellino, Vadiaperti

 

Vadiaperti, insieme a Di Meo, è stato tra i primi a imbottigliare. Il primo Fiano di Antonio, il professore del vino, lo provai nel 1981 durante una riunione di redazione per il quindicinale Dossier Sud diretto da Giò Marrazzo. Non aveva neanche etichetta perché era destinato all’autoconsumo e agli amici. Rude e rustico, il bianco di Montefredane interpretato dal figlio Raffaele esprime meglio di ogni altro il carattere degli irpini, istintivamente chiusi, infastiditi dal contatto con il prossimo che non sia un parente o conosciuto almeno dall’infanzia, ma anche laborioso, tenace, pignolo. Fuori moda negli anni ’90, lo è tornato adesso quando tutti sono aggrappati al gusto del ghiacciolo salato e va bene così, perché in abbinamento è inimitabile mentre sui tempi lunghi esprime quegli idrocarburi che piacciono a tanti.

Fiano di Avellino, Ciro Picariello


Il bicchiere del 2.0! A differenza degli altri, è il primo ad affermarsi partendo anzitutto dalla rete per approdare poi, era il maggio 2006, sul Mattino. Conquista il cuore per la sua capacità di mediare tra Summonte e Montefredane, la semplicità di Rita e Ciro che ha la testa sulle spalle e non si monta per il successo e le richieste. Anche qui testa dura, per esprimere una vinificazione semplice, non tecnica, capace di esprimere le uve in maniera fine ed elegante, affascinante.

Fiano di Avellino, Tenuta Sarno 1860


Prima uscita nel 2009, perché il cuore ha sempre nuove passioni esplosive, non si vive di soli ricordi e compiacimento del passato. Il bello è quel che ci aspetta, non quello che abbiamo visto. Maura è forte, riprende la proprietà del padre, ha una visione laica e moderna dello stare insieme, molti antichi produttori potrebbero fare uno stage da lei. Credo che, insieme a Masseria Felicia, sia uno degli incontri più felici e centrati di Vincenzo Mercurio che in queste interpretazioni è riuscito in un compito che solo i grandi enologi possono assolvere, esprimere la persona attraverso il vino. La gioia di Maura è quell’ottimismo che ci accompagna ogni mattina: vediamo cosa succede di bello oggi.

Cinque vini per bere il Fiano. Non i più buoni, forse. Sicuramente quelli che non dimenticherete.


Dai un'occhiata anche a:

Exit mobile version