Se c’è una battaglia che ho vinto dopo vent’anni di insistenze, batti e ribatti, daglie e ridaglie, è stata quella della necessità di allungare i tempi di uscita del Fiano di Avellino e, in generale, dei bianchi campani. Intendiamoci, non è ancora diffusa nel senso comune perché il consumatore medio italiano è ancora gnu gnu, ma ormai tra gli appassionati e la critica questa nozione è passata. Lo debbo a due visionari che hanno fatto di questo credo la loro religione, Guido Marsella e Antoine Gaita che nel 1997 iniziarono la loro straordinaria avventura.
Ieri mattina ho fatto un giro tra alcuni dei miei produttori preferiti, di quelli che non barano e non cercano scorciatoie. Ed ho avuto l’ennesima conferma di quanto sia importante aspettare il Fiano in cantina almeno dodici mesi perché mi sono trovato di fronte a tre etichette da sballo.
Fiano di Avellino 2013 Tenuta Sarno
Visitiamo con Lello Tornatore, pasdaran irpino, la piccola e deliziosa cantina di Maura Sarno, donna vulcanica ed esplosiva. Credo che Vincenzo Mercurio si stia davvero divertendo molto qui, con tre serbatoi da 50 ettolitri e altri due più piccoli per un potenziale massimo di 25mila bottiglie. La crescita non è mai solo numerica, ma anche di profondità, capacità di migliorare.
Proviamo il 2013 di Maura, 12mila bottiglie quasi andate via nonostante sia stato messo in commercio solo a luglio dopo che la 2012 era finita e lo troviamo squisito. Le note di mela e di banana secca fanno da contraltare all’agrumato, in bocca è pieno e potente, con un allungo straordinario. Il finale lascia la bocca decisamente pulita e piena di frutta non stucchevole.
Un Fiano di Avellino per il quale prevedo lunghissima vita, almeno dieci-quindici anni. Maura ha deciso anche di fare le Magnum della 2012, un ulteriore passo verso la qualificazione.
Vigna della Congregazione 2013 Villa Diamante
Con Maura e con Lello andiamo poi a trovare Diamante, la nostra prima visita senza Antoine. Ma il suo spirito è ovunque: gira indisturbato nella casa, un presenza assoluta quando Diamante per ricordarlo tira fuori la 2013, l’ultima annata che ha curato sino all’imbottigliamento. Ci fa piacere vedere la fascetta docg, ma soprattutto ritrovare il grande Fiano di Avellino con il quale Antoine, dall’alto delle sue poche bottiglie, stavolta parliamo di 4mila, ha fatto grande questo vitigno rendendolo ricco, grasso, quasi opulento, ma al tempo stesso veloce, snello, efficace al palato che attraversa come uno tsumani nel quale freschezza e dolcezza della frutta si rimpallano la sensazione. Note di timo, di macchia, ancora pera bianca, quasi uno spunto di idrocarburo che a volte è fumé. Una materia imponente che si riaggancia al filo delle magnifiche annate 2003, 2005, 2007, 2009 e 2011. La cabala dice quasi sempre dispari, caro Antoine. Diamante ha deciso di non mollare e un sacco di amici le sono vicini. So che agli irpini queste citazioni danno fastidio, non amano l’esibizione scenica, ma queste note servono a far capire quanto davvero Antoine, testa dura e amante dello scontro ravvicinato, ha lasciato un vuoto e un rispetto enorme, come tutti quelli che hanno carattere.
Fiano di Avellino 2013 Ciro Picariello
Lasciamo Maura e Diamante alle loro chiacchiere e raggiungiamo Ciro, si è fatta ora di pranzo, a tavola genovese e baccalà preparati da Rita, accompagnati dalla 2013. L’ennesima conferma di una annata straordinaria e perfetta per l’Irpinia. Anche in questo caso colpisce la giovinezza estrema del sorso, bella nota acida quasi aggressiva e scissa, allungata da un rimando fumè e di polpa di pera matura ma non cotta dal sole. Un Fiano a 12,5 gradi di alcol, segno di un ritorno alla normalità dopo tanti 14 che significavano 15.
Il Fiano accompagna il cibo, 15mila bottiglie perfette.
Fuori c’è pioggia, una pioggia che non ci ha mai lasciato da quando abbiamo superato la galleria di Serino, cade piccola ma insistente come capita da queste parti.
Una pioggia che non riesce a diventare neve, fredda e pungente come uno spillo, una pioggia che riscalda il cuore.
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