Uva: fiano
Fascia di prezzo: da 5 a 10 euro
Fermentazione e maturazione acciaio
Mi voglio soffermare su questo vino, piccola rivelazione dell’estate: è andato in finale a Vini Buoni d’Italia conquistando la Gran Menzione, accompagnato tra l’altro da un rosato Lacryma Christi che si è fermato a Paestum risultando così tra le migliori sessanta bottiglie della Campania. Il bianco è il suo mestiere: mi riferisco all’enologo Mancini, un professionista della vecchia scuola, un tecnico soprattutto, abituato a trattare la materia prima con semplicità, cresciuto nell’era pre-barrique e dunque espressione di una certa naturalità di approccio alla vinificazione: fermentazione e via per un piccolo elevamento in acciaio. Voilà. Ricordiamo i vini di Aminea e di Colli di Castelfranci, da sempre in evidenza. Quando uscì il risultato ero un poco perplesso: mandare in finale un irpino prodotto da un vesuviano? Perché no, mi osservarono Maurizio Paolillo e Ugo Baldassarre: è buono, e se ha solo vinificato le uve significa che è stato bravo a scegliere la materia prima. Perché non premiarlo. In questa valutazione l’ennesima spinta a non ideologizzare, a non fare di questo piccolo territorio il centro del mondo, visto che dal Vesuvio all’Irpinia sono circa trenta chilometri da zona a zona. Certo, da noi ogni chilometro è un millennio da raccontare, il sovraffollamento ingigantisce le distanze, ma a ben vedere siamo da tempo alle prese con piccoli fenomeni fusion: le grandi aziende irpine fanno da sempre anche il Lacryma Christi nelle tre versioni, da una decina di anni anche la Falanghina Sannio doc o Beneventano igt. Dal canto loro le aziende napoletane hanno iniziato a proporre Fiano, Greco e anche Taurasi oltre che Aglianico e Falanghina Sannio doc e Beneventano igt: il motivo è dquisitamente commerciale perché, mi ha spiegato ieri Mimmo Sannino, l’importatore chiede una linea completa di prodotti della Campania e questi sono i vini che vanno per la maggiore: le tre docg irpine, Aglianico e Falanghina nelle loro articolazioni. Bene, non stiamo tanto a sottilizzare visti i tempi molto difficili. Da consumatori dobbiamo chiedere a questi vini di essere anzitutto buoni e che siano espressione corretta del territorio. Le nuove tendenze ci dicono che anche sul florido mercato romano, pari al 13% dell’export campano, la concorrenza altoatesina picchia duro mentre tra la fascia medio-alata dei consumatori si son riaffacciate regioni di prossimità come l’Abruzzo, le Marche e lo stesso Lazio. In questa fase di crisi, economica e di immagine, dobbiamo aspettarci allora una crescita di questi fenomeni incrociati che sono la risposta immediata alla domanda, resa possibile dalla flessibilità, aziendale e territoriale, del sistema vino in Campania. E il Fiano di Sannino, complice una materia prima di partenza molto buona (ricordate, dopo il 2001: Taurasi del 2004, Greco del 2006 e Fiano del 2007) sicuramente si presenta in buone condizioni. Del resto la tradizione dei vinificatori del Vesuvio ha radici lontane, sono sempre stati grandi acquirenti di uve in tutto il Sud. Al naso buona frutta bianca evoluta, sentori di camomilla secca, agrumato, in bocca ha struttura, freschezza, alcol, in piena corrispondenza fra il naso e la bocca sia per l’intensità che per il palato. In sostanza, non credo dovremo prevedere la nascita di nuovi supercampani nei prossimi due o tre anni, quanto piuttosto il consolidamento dei risultati qualitativi raggiunti da alcuni brand aziendali (una ventina in tutto) e tanti prodotti di fascia medio-bassa territoriali o varietali capaci di competere per la tipicità e il buon rapporto con il ristoro complessivo.
Sede a Ercolano. Via G. Semmola 146. Tel. 081.7394630, fax 081.7322060. Enologo: Alessandro Mancini. Ettari: 5 di proprietà. Bottiglie prodotte: 150.000. Vitigni: aglianico, piedirosso, sciascinoso, falanghina, caprettone, coda di volpe, fiano e greco.
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