In Italia, soprattutto al Sud, ci sono condizioni ancora molto favorevoli, pionieristiche, per chi compra. Per esempio trovare a meno di 50 euro in carta nella spettacolare cantina dell’Oasis di Vallesaccarda questo bianco di 14 anni fa che apriamo senza esistare in un gioco di raffronto con il Taurasi di Antoine Gaita della stessa vendemmia. Un gioco, appunto, che conferma la bontà di una delle annate più amate dagli enologi e, al tempo stesso, l’assoluta sicurezza con la quale si possono stappare bottiglie di Fiano invecchiate per molti anni. Una evoluzione che ha messo in primo piano la straordinaria complessità del frutto, sembra incredibile ma è lavorato solo in acciaio, con rimandi fumé e di idrocarburi piacevoli che allungano il sorso e spingono subito alla ripetizione. Un vino di grande portata, che avrebbe battuto alla cieca tanti bianchi blasonati e costosi della Borgogna. Ma per bere bene oltre che essere fighetti bisogna avere cultura di territorio.
Scheda del 12 aprile 2010
Dopo un anno torna questo magnifico esemplare in versione magnum, sacrificata bimbina in Toscana per un gruppo di amici. Vini che a noi sembrano familiari che però, anche ad esperti e appassionati, sono sconosciuti. Una conferma del lavoro da fare sul marketing del vino meridionale e campano. Il bianco si confronta con la cucina classica di mare di Lorenzo a Forte dei Marmi baciando i calamaretti alla piastra, piatto di struttura, in modo assolutamente perfetto.
Consenso unanime per un vino ricco di materia, molto ben fruttato, sirei quasi immobile rispetto alla degustazione di quasi un anno fa alla quale ho poco da aggiungere, se non l’ulteriore equilibrio ritrovato in bottiglia e dunque di quella maturità palatale in più che serve in occasioni istituzionali come queste dove l’acidità scissa dei primi tempi di imbottigliamento non fa mai bella figura se non conosci già bottiglia e produttore.
Arrivato dopo l’Initiale di Selosse, il Fiano di Clelia ha più che ben figurato grazie al corpo e alla dinamicità in bocca imposta dalla freschezza. Naso pieno, meno affascinante di altre annate perché la 2007 ha imposto un tappeto fruttato molto imponente a causa del caldo della seconda quindicina di agosto che ha sfiancato le piante, in bocca l’attacco però è quello tipico, con la sapidià che smentisce la dolcezza olfattiva, l’occupazione piena e totale del palato, la lunghezza infinita e la chiusura pulita, leggermente e giustamente amarognola.
Non vi può essere dubbio, al di là della mia passione smodata per questa etichetta, che siamo di fronte ad un grande vino. Ancora una volta il formato magnum si conferma come il migliore in assoluto per queste esibizioni.
Assaggio del 25 maggio 2009. Il protocollo ormai è collaudato, le annata si esprimono così in modo semplice e diretto, vengono accompagnate nella direzione che decidono di assumere. Della 2007 si sa che è stato un millesimo pieno e ricco, con una bella botta di caldo nella seconda metà di agosto che per certi versi l’ha fatta paragonare alla 2003. Non è stato esattamente così, per fortuna. Il Fiano di Clelia parte anzitutto da una buona agricoltura su terreni adatti, ché questa è una precondizione di cui spesso ci si dimentica facilmente e che invece la vicenda del Brunello ci ha aiutato giustamente a ricordare. Siamo sempre tra i 500 e i 550 metri di altezza, su terreni argillosi e calcarei, su una collina che scavalla le valli disegnate dai fiumi Calore e Sabato.
Abbiamo bevuto il 2007 sia in abbinamento con la mozzarella di bufala durante la garetta Looking for white nel corso della quale si è classificato quinto. Ma soprattutto nella maniera più classica e naturale, che ha determinato il successo commerciale dei bianchi irpini, ossia su un pranzo di pesce in Costiera Amalfitana, a Casa Angelina per la precisione.
Il 2007 si presenta più ricco di frutta, agrumi e pera, rispetto alla media a cui eravamo abituati, anche il colore è leggermente più evoluto con un giallo paglierino un po’ carico, ma il sottofondo delicato di gelsomino e di erba da campo resiste con molta persistenza mentre in bocca, dove il bianco si presenta subito con un attacco fresco che conserva durante tutta la beva sino al finale lungo, ritornano le note di pera con un richiamo di mineralità e tono leggermente fumé poi sovrastato dalla sapidità imperante.
Il naso si mantiene intenso e persistente, con l’aumento della temperatura di servizio accentua i toni fruttati. Nel suo complesso il vino, a un anno e mezzo della vendemmia, appare ancora alla ricerca del suo equilibrio nonostante sia già abbastanza composto. Nel suo complesso è tonico, giovanile, fresco, promette una interessante evoluzione. L’abbinata tra Clelia Romano e Angelo Pizzi ci ha sinora regalato alcune tra le cose migliori della rivoluzione vitivinicola irpina, sino a poter affermare che siamo in presenza di un classico.
Un classico che resta il nostro Fiano preferito in assoluto.
Spero solo che non cambi l’etichetta affettuosamente d’antan.
Sede a Lapio, contrada Arianello 47
Tel. 0825.982184, fax 0825.982184
Enologo: Angelo Pizzi
Bottiglie prodotte: 60.000
Ettari: 8 di proprietà
Vitigni: fiano, aglianico
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