Uva: fiano di Avellino
Fascia di prezzo: da 5 a 10 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio
Vista: 5/5. Naso 24/30. Palato 26/30. Non omologazione 34/35
Eccola, dunque, ‘sta cazzo di collina. Uno di quei posti in Campania creato proprio per fare vino. Un particolare di cui spesso ci dimentichiamo: nelle visite e nelle degustazioni si insiste sulla tecnica in vigna e di vinificazione e dimentichiamo spesso una cosa molto naturale: non tutto può produrre tutto. Allo stesso modo.
La tecnica, l’iniziativa chimica, gli accorgimenti prodotti dalla ricerca, possono sicuramente rendere possibili cose inimmaginabili sino a vent’anni fa, come piantare sangiovese per Brunello in un campo di patatae a valle e produrre un vino enologicamente corretto. Ma è proprio l’eccellenza l’aspetto non facilmente replicabile, perché come la sapienza è frutto di visioni e letture oltre che di dna ereditario e condizioni sociali, così la vite, quella vite, si esprime al meglio solo in determinate condizioni.
Per distruggere il territorio devo dire che il ceto politico irpino ci si è messo d’impegno e con scientificità: l’unica cosa interessante da vedere ormai sono le vetrine del bar Moccia, da sempre prima tappa delle nuove aziende vitivinicole irpine, dotato di una buona cantina climatizzata. Per il resto è come Bagnoli, Porto Marghera: industrie e industrie, tra cui la Fiat che anche qui ha beccato i suoi bravi contributi pubblici.
Trattenendo il vomito, lo stomaco si riassesta dopo il passaggio al livello di una linea che non funziona più, era la strada ferrata del vino che da Avellino portava a Rocchetta. Qui finalmente querce e castagno tornano padroni del paesaggio, i boschi si infittiscono attorno ai vigneti, sino alla ciba dove il paese ha conservato sostanzialmente la sua impronta medioveale dal cui castello si controllava il territorio.
Qui c’è la vigna di Fiano piantata da Antonio Troisi, entrata in produzione per la prima volta nel 1984 che io vidi esattamente dieci anni dopo.
I vini del figlio Raffaele hanno tutti grande personalità: sapidi, freschi, poche tracce di frutta bianca, lunghezza. Anno più, anno meno, sono una chicca per amatori che chiunque può leggere e bere senza alcun problema. Dieci ettari e centomila bottiglie sono le due asticelle oltre le quali non si vuole, non si può andare. Così questo marchio aziendale, uno dei primi dieci nati in Irpinia, difficilmente può deludere.
Anche il 2006, annata sottile e difficile, provato all’Antica Osteria Marconi, si concede in maniera suadente. L’acidità che inizia a rientrare presenta il bicchiere quasi in equilibrio con uno sbilanciamento ancora verso la freschezza. Non ci sono note dolci, ma la sapidità assoluto che detta il tema enologico di questa piccola cantina. Buona lunghezza, non c’è il problema della magrezza rilevata spesso in campioni di questa annata, si ha anzi la senzazione quasi di una tendenza alla grassezza.
Le note sono piacevoli, ma il naso di questo territorio non è ruffiano come quello di Lapio, neanche qui trovi dolcezze marcate anche se non mancano note di frutta, albicocca. Dopo una decina d’anni di solito questi bianchi evolvono in note di idrocarburi, non si sa come mai, e molti li hanno per questo rimandati ai Riesling invecchiati. Sicuramente una ventina d’anni resistono bene se non si lesina sul tappo e si osservano le regoli elementari di conservazione (buio, temperatura fresca, umidità possibilmente costante).
Il Fiano si batte tra un paio di Aglianico del Vulture, noi lo usiamo alla nostra maniera, per spezzare con i rossi prima di tornarci, la struttura ce lo consente, ormai la prassi è collaudata e consolidata.
Se lo beccate conservatelo ancora un paio d’anni, potrebbe valerne davvero la pena.
Sede a Montefredane, contrada Vadiaperti.Tel.0825.607270. www.vadiaperti.it. Ettari: 10 di proprietà. Bottiglie prodotte: 100.000. Fa il vino Raffaele Troisi. Vitigni: fiano di avellino, greco di tufo, coda di volpe, aglianico.
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