In questi giorni stiamo approfittando per stappare insieme ad amici alcune bottiglie vecchie. I rossi mantengono, a volte cedono, il Greco di Tufo dopo i sei, sette anni è sempre una scommessa e in ogni caso bisogna avere un palato allenato e laico per goderlo anche quando torna arancione come il suo mosto. Verdicchio e Fiano di Avellino non tradiscono mai e il tempo giova loro in una maniera incredibile, al di là di ogni ragionevole aspettativa e penso che non sia campanilismo affermare che in batterie alla cieca con bianchi blasonati e ipercostosi non avrebbero nulla da temere nel confronto, ammesso che li si riesca a riconoscere.
In Irpinia sui tempi lunghissimi stanno lavorando solo due aziende, Mastroberardino e Di Meo. Molte cantine per fortuna hanno allungato i tempi soprattutto dopo il riconoscimento della Riserva nel disciplinare e i risultati si vedono tutti e bene. Non deve stupire allora l’apertura di questa 2006 fatta a colpo sicuro, parliamo della terza annata di Ciro Picariello che contribuimmo a lancira bene con la guida Slow Wine a partire dal 2009 perchè eravamo sicuri e certi di un risultato straordinario. Ottenuto da uve di Montefredane e Summonte, il Fiano in queste prime edizioni, presentato a un anno dalla vendemmia sin dal 2004, ha ottenuto risultati grandiosi come potete leggere dalle due schede che seguono queste righe, scritte rispettivamente nel 2008 e nel 2013. A dustanza di quasi vent’anni, conservato bene ma non benissimo, questo fiano si è resentato all’appuntamento con una tonicità sorprendente, il colore ancora vivo, il naso complesso di fiori, frutta e idrocarburi, il palato freschissimo, la chiusura lunga e pulita. Un vero e proprio capolavoro che in Francia non avrebbe prezzo.
Purtroppo questo vitigno sconta la propensione alla rissa tipica delle zone interne dell’Appennino Meridionale dove si litiga anche con se stessi se si passa davanti a uno specchio, e della scarsa maturità commerciale collettiva. Non per questo il nostro amore incondizionato per questa uva, straordinaria anche quando viene piantata altro ma mai così ben caratterizzata, verrà mai meno. Il detto sui tedeschi (uno è intelligente, due sono straordinari, tre fanno la guera) può applicarsi anche agli irpini, laboriosi, costanti, affidabili presi singolarmente. Ed è questo il motivo, l’unico ve l’assicuro, per cui questa uva non sale alla ribalta mondiale come meriterebbe. Lo stupore di amici, anche esperti, che non conoscono il Fiano invecchiato quando lo provano è per me fonte di soddisfazione incredibile perchè si vado a colpo sicuro quando si presentano queste chicche enologiche straordinarie.
Non demordo su questa strada perchè sono ottimista, quando mi giro indietro vedo gli enormi progressi fatti nel corso dell’ultimo quarto di secolo e penso che prima o poi arriverà quella maturità commerciale collettiva che spingerà ciascuno al giusto compromesso personale da offrire all’altare delle opportunità commerciali.
Nel frattempo, vivo con questo segreto enologico ancora sconosciuto ai più.
SCHEDA DELL’8 APRILE 2013
Uva: fiano di Avellino
Fascia di prezzo: nd
Fermentazione e maturazione: acciaio
Nel nostro giro veloce negli stand abbiamo avuto modo di provare il Fiano di Avellino 2004 di Ciro Picariello con il quale eravamo stati alla grande in una serata fiorentina. Questo, rispetto a quello conservato a casa mia, era ancora più fresco e veloce.
Ciro sta proponendo agli appassionati e agli esperti anche la 2006, annata che a me piace molto per il Fiano. Se nel primo caso le uve venivano solo da Summonte, nelle vigne vicino l’azienda, in questo c’è ià il famoso blend che è la chiave del successo ecumenico di questo bravo artigiano del vino, al lavoro con la moglie Rita e i suoi due figli.
La 2006, si presenta anche in questo caso molto ricca al naso, dai sentori di pera al sottobosco, dai funghi alle note di salvia e menta, in bocca è una esplosione di elegante potenza con tutti gli elementi in perfetto equilibrio tra loro.
Ciro, come la maggior parte delle piccole aziende, non ha uno storico molto voluminoso e le occasioni di assaggio sono sempre molto preziose. Una cosa è sicura, come nel caso dei grandi fianisti (Clelia Romano, Villa Diamante, Marsella, Rocca del Principe) ormai verificati e riverificati, le sue bottiglie sono un investimento.
Da comprare cioè quando entrano in commercio, e conservarle per almeno tre, quattro anni prima di proporle. In Italia la liquidità di enoteche e ristoranti consente a pochi questo lavoro di immobilizzo, ma siamo sicuri che i tanti amici impegnati all’estero capiscono bene cosa devono fare.
Pochi bianchi mondiali potranno regalare soddisfazioni pari al Fiano di Avellino.
SCHEDA DELL’8 MARZO 2008
Non so in verità se possa durare di più un Fiano o un Aglianico, ma certo il grande vino bianco irpino attraversa il tempo in modo spavaldo, soprattutto se trattato con un certo riguardo in vinificazione, sia pure in solo acciaio senza passaggio in legno. Purtroppo la maggioranza dei consumatori e, quel che è più grave, dei ristoratori, non capisce che il Fiano non può essere bevuto subito come la Coda di Volpe o il Biancolella d’Ischia. Alcuni produttori, pochissimi, stanno sfidando con coraggio questo mercato impossibile, sarebbe come far uscire un’auto dalla fabbrica senza carrozzeria, e aspettano almeno un anno prima di presentarsi al giudizio dell’appassionato. Il primo, come è noto, è Marsella, il quale purtroppo ha commesso l’errore di non creare un archivio storico, ma in questo è in buona compagnia con il 90 per cento dei produttori del Sud. Vicino le sue vigne ha iniziato anche Ciro Picariello a fare la stessa cosa anche se quest’anno ha anticipato a prima di Natale, speriamo non sia l’inizio di una brutta abitudine perché in realtà ogni Fiano di Avellino dovrebbe uscire a due anni esatti dalla vendemmia, mese più, mese meno. Il mercato volge al bianco, era ora, e cresce la domanda di emozioni e complessità in questo segmento dopo l’abbuffata di tannini e marmellate degli anni ’90, chi ha il coraggio di capitalizzare adesso potrà vendere a qualsiasi prezzo dopo. Il Fiano di Rita e Ciro Picariello è il risultato di un blend fra due vigneti, quello storico a Summonte e quello sulla collina di Montefredane, non lontano da Vadiaperti e Pietracupa. Visto che parliamo di sette ettari complessivi con un potenziale a breve di almeno 60.000 bottiglie tenendo conto della bassa resa per ettaro, ho consigliato loro di creare subito due cru distinti da proporre dopo due anni in poche bottiglie: sarebbe un avvenimento come la Falanghina 2001 di Libero Rillo. Il loro 2006 conferma la difficoltà della stagione, come del resto anche quello di Marsella, ma al tempo stesso rivela che con alcuni accorgimenti molto semplici, primo fra tutti una serrata politica di potatura in vigna, sia possibile presentarsi in maniera smagliante sul mercato. Rispetto alle precedenti due versioni, infatti, c’è una spinta acida minore e il bicchiere appare già composto, compiuto, con una sostanziale corrispondenza fra naso e palato, in genere molto difficile da ottenere nei vini irpini se non dopo alcuni anni. Prevale la pera, a seguire odori di campo, agrumato, note minerali tipiche di queste due aree. Lo berrei sulla genovese di tonno preparata da Pasquale Torrente del Convento o su quella della tradizione napoletana: certo, non è sempre facile scegliere nella vita!
Sede a Capriglia Irpina, via S. Felice.
Tel e fax 0825 702516. cell. 3478885625.
Enologo: Ciro Picariello. Ettari di proprietà: 5 ettari.
Bottiglie prodotte: 15.000.
Vitigno: Fiano; vitigni: fiano di Avellino.
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