Uva: fiano di Avellino
Fascia di prezzo: nd
Fermentazione e maturazione: acciaio
Il tema è quello della decadenza. Non del vino, ma di chi beve. Con il tempo alle spalle, soprattutto se la vita è stata intensa, magari lo è ancora nei colpi di coda, è davvero difficile trovare persone che ti colpiscono. Persone con le quali hai piacere non di passare ma di perdere tempo insieme. Perché la differenza è proprio qui: puoi godere nell’impiegare tempo per fare qualcosa di utile con molta gente, ma sono davvero pochi coloro con i quali non hai la sensazione di impiegare male le ore senza fare nulla. Succede agli innamorati, ai genitori con i figli, agli amici veri o quando trovi qualcuno a cui devi succhiare l’anima perché ti intriga e ti arricchisce la sua compagnia, anche banalmente la sua conversazione.
Passano gli anni e ad alcuni uomini o donne si resta legati al ricordo, per ciò che hanno rappresentato per te in un determinato momento. Hai bisogno di uno stress emotivo sempre più forte per provare interesse verso qualcuno di nuovo. Poi ci sono casi in cui il passato continua ad emozionarti, un amore incompiuto, una occasione persa, che tornano inaspettati. Ma succede poche, pochissime volte nella vita.
Proprio come con il vino. Pochi bicchieri continuano ad emozionarti quando ne provi duemila l’anno per venti e passa anni. E uno di questi è il Ciro Picariello 2007 bevuto l’ultima volta al Papavero di Eboli sulla cucina sempre più consapevole di Fabio Pesticcio.
Stavo a mio agio, in quella carta colta e attenta c’è sempre qualcosa da spiluccare. In quelle stanze che ricordano i salotti degli anni ’20 piene di contaminazioni postmoderne è bello stare e le ore sono sempre poche.
Così la scelta bianca va sul Ciro Picariello 2007, una certezza ancora prima dello stappo.
Abbiamo fatto ultimamente una verticale del Fiano di Avellino di Ciro Picariello descritta da Teresa Mincione. Da allora penso sempre che per bere questo bianco bisogna aspettare una decina d’anni o giù di lì. Il 2007 ne ha nove e va bene.
Il naso è semplicemente sconvolgente: la frutta evoluta si fonde con sentori fumé e cenni di idrocarburi tipici di Summonte per poi lasciare spazio ad alcune spezie come la cannella o lo zafferano, note agrumate e candite. Diresti che è impossibile che un vino lavorato in acciaio abbia questa complessità, questa possibilità evolutiva, senza un filo di stanchezza, di decadenza, al naso. Eppure è proprio così. Se pensi a quanto costa poco e quanti nobili chardonnay potrebbe mettere sotto lo schiaffo in una degustazione coperta resterai stupito. Forse capisci che è un vino del Sud per la esuberanza fruttata che non molla la presa, nè quando è freddo, tanto meno quando si riscalda.
Al palato non scherza, entra fresco e acido senza dolcezza, aggredisce la lingua ai due lati, poi riempe la bocca riportando alla mente i sentori olfattivi per poi subito ripiegare e rilanciarsi come un’onda nella risacca verso una chiusura amara, fresca, pulita e sopratutto precisa. Un vino snello ma di corpo, elegante ma anche potente, è il blend di uve di Montefredane e di Summonte. L’etichetta ingenua appartiene ad una estetica rurale che poi viene abbandonata per un disegno più figo e moderno. Più bello ma anche più costruito. Ciro e la sua famiglia restano al momento con la immediata innocenza di quella etichetta, non sappiamo per quanto. Ma sicuramente questo Fiano di Avellino, bevuto con la giusta compagnia in grado di apprezzarlo e di goderne, è uno dei migliori di sempre.
E siamo contenti di aver potuto raccontare il Sud di Fabio e di Ciro nella nostra vita.
Siamo stati fortunati. Privilegiati.
Perchè il Sud emoziona sempre. Sempre.
Ciro Picariello
Località Acqua della Festa
Via Marroni
www.ciropicariello.com
info@ciropicariello.com
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