ANTONIO CAGGIANO
Uva: fiano e greco
Fascia di prezzo: fuori commercio
Fermentazione e maturazione: acciaio
«Ho avuto più difficoltà ad avere quello per cui ho fatto persino ricorso al Tar, cioé la licenza per il ristorante aziendale, che a ricevere i massimi riconoscimenti con il vino sulle guide». Il buio ci avvolge gratificante sin dentro la cantina di Antonio dopo una giornata spesa fra il verde e il sole dell’Irpinia e del Sannio con gli amici di sempre, il simpatico accento franco-irpino di Milena Pepe e il sapore del suo Coda svanisce quando varchiamo la soglia dell’ultima tappa, il preludio alla nuova e rinnovata serata fra uomini, dove fra battute e discorsi seri, frizzi e lazzi, si intrecciano discorsi sul vino, la politica e le donne conditi da cibo maschio, per esempio i mugliatielli con salsa al peperoncino, altrimenti improponibili. Ma stavolta a Contrada Sala, da sempre il porto preferito delle mie zingarate taurasine, l’atmosfera è diversa: sta per aprire finalmente il salone, la cucina è pronta, ma è la rabbia, meglio, l’amarezza a colorire lo sguardo di Antonio, la stessa espressione di scoramento costruita dai sacchetti di munnezza sulle strade, capaci di ricoprire persino le auto lasciate in sosta più di un giorno come ho visto a Mercogliano, non a Caivano. Ma la munnezza alla fine non c’entra, il problema vero è l’assenza di potere. Da ragazzi studiavamo e lottavamo il Potere, quello simbolico con la pi maiuscola e identificabile che crollava fisicamente con l’assalto al Palazzo d’Inverno e alla Bastiglia. Oggi, probabilmente, il punto è l’assenza di potere, la paralisi incrociata fra poteri dove alla fine non c’è nessuno capace di prendere il capo in mano perché viviamo una società senza filo conduttore, la società delle recensioni del copia e incolla. «Ricordi l’articolo sul Mattino? – mi chiede Antonio – Quello su Taurasi, il paese che non c’è. Ti volevano querelare. Dopo dieci siamo allo stesso punto. Nessuno può aprire nulla nel centro storico, cosa si deve venire a fare qui?». Non è vero, ribatto, ci sei tu, e con te altre venti aziende, e ci sono le vigne sulla Carazita, a Pesano, Piano d’Angelo, c’è l’Enoteca Regionale e il castello non è più intubato come i palazzi nei Quartieri Spagnoli. Ma una cosa è rimasta uguale, quella sì: l’assenza di squadra, di sistema. «Ho paura – gli dico – che la storia si ripeta. I vostri nonni hanno pensato solo a produrre quando in Italia c’era la fillossera. Poi in pochi anni uno dei più importanti distretti vitivinicoli italiani è stato spazzato via e distrutto. Così è accaduto ai vostri padri con le nocciole quando la Turchia ha invaso il mercato americano. Anche adesso pensate solo a produrre, fate di tutto, dalla Falanghina all’Aglianico. Certo è importante farlo bene, ma poniamo che succeda qualcosa, che so, la scoperta che il vino fa venire il mal d’orecchio, come sopravvivere se non esiste il sistema? Se continuate a non parlarvi, a non scambiarvi neanche le visite in cantina? Non basta produrre bene, fate lobby oppure prima o poi restate fottuti. Basta un titolo di giornale in questa società delle recensioni del copia e incolla in cui nessuno va oltre, nessuno approfondisce». Uno studio analitico che sto completando, dico agli amici mentre degustiamo, rivela che il 2001, cioé l’anno delle Torri Gemelle, è l’unico a non aver visto la nascita di una azienda in Irpinia dopo il 1989. Il mondo è piccolo e i rischi aumentano quanto le opportunità. Ma, questo è il punto, ci hanno abboffato le palle con convegni sul turismo, sulla necessità di fare impresa e poi avere un’autorizzazione pubblica diventa una guerra, la burocrazia è la prima nemica di chi vuole fare qualcosa, va oliata e coccolata perchè i meccanismi discrezionali sono più o meno ampi come in una corte orientale e ogni mezzamanica è un satrapo potente qui al Sud, capace di uccidere un sogno. E magari quando ci sei riuscito arriva la Finanza mandata da qualche lettera anonima. E poi la camorra, e poi la magistratura, e poi i Nas a controllare se le mattonelle sono quelle, e poi gli ispettori regionali se hai usato i fondi europei. Parliamo, parliamo, parliamo, scorrono il Macchia dei Goti 2004 non ancora in commercio, il Salae Domini 2005 e 2004, il Devon 2006, il Taurì 2006. Antonio, incalzato da Giacomo si scalda, ci scaldiamo, finiamo di usare la sputacchiera e iniziamo a bere, sono le 8 di sera, fuori ci sono 5 gradi, il solito cielo stellato della Valle del Calore, e ci chiama, combinazione, Livia Iaccarino e il discorso cade di nuovo sulla munnezza, una delle prime lamentele che le ho sentito fare già dieci anni fa. Dieci anni? Dieci anni. Dieci anni! «Ora vi faccio provare una cosa», Antonio scende giù in cantina e torna con una borgognotta leggera talmente impolverata da non poter distinguere se c’è rosso o bianco. La lava tutta con cura come fece la levatrice con Mosé prima di lasciarlo andare sul Nilo, stap, è un Fiagre 1997, diamoci dentro. Avete qualche dubbio? Vino integro, filo ossidato, freschezza uguale, solo la dolcezza del Fiano ha finito per prendere il sopravvento, lo potrei bere su un babà casalingo con poca bagna oppure sul tortano tanta è la sua struttura grecale. Poteva andare diversamente con un vino fatto da Fiano e Greco, bianchi capaci di battersi con il tempo ad armi pari? Via, via. Ci portiamo le bottiglie ritappate come si faceva un tempo, prendiamo Nicola al volo e si guida sulle interpoderali sino a Grottaminarda, e lì che si continua a bere, con i mugliatielli, la trippa, il baccalà alla pertecaregna con i cruschi nel sabato di una Italia compìta e laboriosa, le ragazze che ricordano le foto in bianco e nero degli anni ’60. Come i nazisti nel 1943, il colera nel 1973, il terremoto del 1980, la guerra di camorra negli anni ’80, alla fine anche la munnezza se ne andrà, costruiranno i termovalorizzatori e Napoli, la Campania, come sempre, saranno affascinanti e irresistibili con la vita che pulsa fra le gambe. Ci saranno sempre, anche quando i pallidi razzisti che stanno venendo fuori dovranno imparare l’arabo e il cinese per farsi capire nelle loro strade con i nomi italiani. Le città nascono e muoiono, le crisi spazzano le civiltà ma Napoli c’è sempre stata, non ha mai avuto bisogno di mura per difendersi. Napoli sarà Napoli sino a quando esisterà il Sole. Come il Fiagre, nato per caso e più longevo di Matusalemme.
Sede a Taurasi, contrada Sala. Tel e fax 0827.74723. www.cantinecaggiano.it. Enologo: Giuseppe Caggiano con i consigli di Luigi Moio. Ettari: 20 di proprietà. Bottiglie prodotte: 20 di proprietà. Vitigni: aglianico, fiano, greco.
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