di Giulia Gavagnin
«Sapete cos’è un pomodoro? È una pianta? Un ortaggio? Un frutto? È un prodotto naturale o artificiale? Sapevate che l’idea di prodotto naturale che avete è sbagliata? Non è naturale il vegetale privo di pesticidi, ma quello prodotto senza alcuna influenza dell’uomo..». È un fiume in piena Ferran Adrià, il cuoco più importante degli ultimi trent’anni. È sempre stato così, fin da quando era al comando di El Bulli a Roses a nord di Barcellona, per alcuni il ristorante più innovativo di sempre, chiuso nel 2011 per lasciare spazio all’omonima fondazione di studi, animata dalla stessa fame di ricerca.
Si, perché Adrià da quando ha smesso la casacca di cuoco non si è mai fermato, ha solo cambiato focus: l’innovazione ai fornelli ha lasciato spazio alla ricerca dell’innovazione tout court, che lo chef catalano chiama “Metodo Sapiens”. Un rivoluzionario sistema di catalogazione e conoscenza, fondato sul maggior numero di domande (e risposte) possibili su ogni argomento dello scibile umano. Un metodo che può essere applicato a ogni branca del sapere, ma che Adrià, insieme ai ragazzi della fondazione e a un pool di docenti universitari delle più prestigiose università del mondo (tra le altre Harvard, MIT, London School of Economics) ha pedissequamente utilizzato per dare vita alla più ambiziosa opera editoriale di sempre nel settore eno-gastronomico: Bullipedia, una sorta di enciclopedia universale in 35 volumi da pubblicare entro la fine del 2021 che può soddisfare le curiosità di chiunque, dal docente universitario all’uomo comune su tutti i temi dell’enogastronomia: dal vino, al sale fino al caffè. Nei giorni scorsi Ferran Adrià era in Italia per presentare il volume “Coffee Sapiens – Condividere per innovare”, dedicato proprio al caffè. Un tomo ponderoso di 697 pagine realizzato in collaborazione con Lavazza, che in vent’anni di partnership con lo chef catalano ha realizzato importanti progetti, come l’espresso liofilizzato per gli astronauti e il ristorante Condividere nella nuvola di Torino, tra i pochi al mondo dove si possa ritrovare la filosofia di El Bulli. “Coffee Sapiens” non è soltanto un trattato sulle caratteristiche biologiche, scientifiche, antropologiche del caffè come pianta e come prodotto finale.
E’ un’introduzione vera e propria al “metodo sapiens”, che potrebbe cambiare per sempre l’approccio all’enogastronomia. Adrià l’ha spiegato davanti a una cinquantina di persone venute apposta per capirne di più al Coffee Festival, tenutosi nei giorni scorsi a Milano. “Sapete cos’è questo?”, ha chiesto all’uditorio in castigliano, indicando una tazzina di caffè ovviamente Lavazza. “Claro, es un cafecito!”. Fin qui tutto chiaro, il bello arriva dopo. “Secondo voi, un espresso si beve soltanto o si degusta? E come funziona l’essere umano quando degusta?. Per caprirlo, dobbiamo prima comprendere chi siamo e dove andiamo. Se siamo bambini, adolescenti o adulti, perché la nostra risposta gustativa ed emozionale sarà diversa. Se siamo sani o malati. Se e come i nostri organi sapranno riconoscere le consistenze”. Qui il gioco si fa complesso. E’ necessario conoscere approfonditamente non solo l’oggetto della trattazione, ma anche il soggetto che è l’essere umano, fatto di mente, corpo, spirito, cultura. Perché è necessario arrivare a un livello così elevato di conoscenza della macchina umana e dei suoi meccanismi durante il processo degustativo? Secondo Adrià, per essere più efficienti nel processo innovativo. “La storia dell’essere umano è caratterizzata dal concetto di “innovazione”, senza il quale saremmo ancora all’età della pietra. Ci sono fatti e azioni ripetitive che ottengono il favore dei consociati, che in poche parole hanno successo, mentre ce ne sono altre che sono innovative e non ottengono successo perché non sono ancora comprese. Sono queste ultime, tuttavia, ad interessarmi perché generano progresso. Il compito di “sapiens” è fornire gli strumenti necessari per poter mettere in dubbio lo status quo, perché la stasi non genera progresso, il suo superamento si”.
«Comprendere per innovare» è, dunque, il compito dell’uomo, che è l’artefice unico del progresso. «Esistono tredici tipi di pomodoro nelle Ande, dodici di questi sono immangiabili. Un unico tipo di pomodoro è per noi commestibile, anch’esso è originario delle Ande, ma è stato modificato dall’uomo nel corso dei secoli, ed è quello che abbiamo tutti in frigorifero. Si tratta di un prodotto artificiale, perché originariamente nel suo habitat naturale non si presentava così. Con i miei studi sul caffè ho cercato di darmi gli strumenti per capire, ad esempio, se posso innovare il cappuccino. Se sia più adatto lo zucchero bianco o lo zucchero di canna, se la schiuma debba essere più o meno densa eccetera».
Ferran Adrià da cuoco a scienziato, mai stanco di evolversi, quindi. Del resto, cosa avremmo dovuto attenderci dall’uomo il cui mantra è il verbo «reinterpretare», al punto che una volta disse: «Anche i romani indossavano la toga sopra al ginocchio ma ci è voluta Mary Quant per fare la minigonna»?
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