La prima volta sotto Roma, in Italia. Ed è stato divertente vedere Ferran Adrià addentare un bocconcino di mozzarella pestana di raffaele Barlotti, lui il fondatore della cucina molecolare. Chiacchieriamo con lui tra un piatto di genovese, una parmigiana di melanzane, una pizza: piatti della tradizione abbinati a un buon Aglianico nel ristorante Il Saracino del papà di Vittoria, dove è partita l’avventura di Gennaro Esposito. Insieme ad Arzak scherzano e sono distesi: tutti i grandi sono fatti così, alla mano. Poi però sul cibo Adrià è preciso, non lascia cadere nessun luogo comune a terra, gli piace puntualizzare. Ecco l’intervista pubblicata oggi sul Mattino e ripresa dall’Agenzia Ansa.
Come trova la cucina napoletana?
«È una grande cucina in tutto simile a quella spagnola, ha le stesse materie prime e spesso anche tecniche di cottura simili. È fatta con i prodotti del mare dell’orto».
Conosceva la pasta e la mozzarella?
«È la prima volta che vengo in Campania. Per noi spagnoli la pasta è un prodotto… spagnolo, perchè rientra anche nella nostra tradizione e la mangiamo con ricette tradizionali nei giorni di festa. Sto verificando che in Campania c’è una grande cultura della pasta».
E la mozzarella di bufala?
«È un grande prodotto. L’altra sera a Bacoli ci siamo divertiti a fare un test insieme ad Arzak e a Gennaro, abbinando la mozzarella ad altri formaggi. Mi piacerebbe provare questo latticino nella sua evoluzione e studiarne la trasformazione».
Ma la mozzarella, secondo lei va cotta o mangiata fresca?
«In entrambi i modi. Del resto sulla pizza si usa cotta»
Insomma un uso semplice, come nei piatti della tradizione?
«Attenzione, la tradizione non vuole affatto dire semplicità. Spesso richiede cucina lunga ed elaborata da intere generazioni. A volte cucinare un piatto di tradizione ben eseguito è molto piu difficile di un piatto moderno».
Lei è stato l’artefice di una rivoluzione. Qual è il rapporto tra tradizione e modernità in cucina?
«In Italia ci si divide su questi temi. In realtà da noi in Spagna – come in tutto il mondo – convivono normalmente. La vera differenza è tra cucina buona e cucina cattiva».
Come vede la nuova ondata gastronomica partita dal Noma di Copenhagen?
«Una moda, una tendenza. Sicuramente interessante ma non è una rivoluzione».
Cosa intende per rivoluzione?
«La grande trasformazione che ci ha visto protagonisti in questi ultimi trent’anni: siamo partiti da una qualità spesso di basso profilo e siamo arrivati molto in alto, cambiando le tecniche, cambiando il concetto di cucina e trasformando completamente l’idea di alta gastronomia che prima era solo francese».
È possibile aspettarsi altri cambiamenti?
«Non credo. Dopo questi passi in avanti dovranno trascorrere almeno altri trenta anni. Oggi è possibile mangiare bene ovunque nel mondo e ciascuno di noi ha la possibilità di scegliere tra diversi stili. Vedo grandi novità in America Latina, soprattutto in Perù e in Brasile».
Lei crede che il futuro della cucina sia nei cibi buoni e più salutari?
«Assolutamente no. La gastronomia è festa. La cura del corpo vale per il resto della giornata. Quando si cucina ciò che conta è il piacere di mangiare e di fare grandi esperienze. Questo è il motivo per cui la gente va nei ristoranti. Le alici sotto sale sono molto dannose, eppure sono tra i cibi più ricercati Unire salute e cibo è solo marketing, business».
La crisi pesa sul futuro gastronomico europeo?
«È una crisi sociale, molto profonda, ma io ne ho viste già altre e per fortuna la gastronomia sta migliorando in tutti i paesi».
Tornerà in Campania?
«Sicuramente si. È una regione ricchissima e ho tante cose da imparare e ristoranti da visitare».
Ci salutiamo, gli chiedo: “Ferran, hai finito di riposarti?”. “Ho bisogno di vacanza, ho lavorato moltissimo nella mia vita, ora ho dovuto rallentare un po’”. Ecco, tra il Golfo di Napoli e quello di Salerno c’è solo l’imbarazzo della scelta per ritrovare se stessi.
Una delle serate in cui il lavoro ti arricchisce davvero e penso: il vero segreto del successo è avere il senso della misura.
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