di Carmen Autuori
Questa insolita ricetta, fasuli e pistiddi, mi è stata donata da un padre francescano, Alessandro Compagnari, originario di Lagonegro, grande buongustaio e appassionato ricercatore di tutto ciò che concerne il bagaglio tradizionale della sua terra d’origine, la Basilicata. Purtroppo la storia gastronomica di questa regione per lunghissimi anni non ha goduto di molta fama. La si identificava, al limite, con la salsiccia o altri insaccati (ricordiamo che qui, in epoca romana è nata la lucanica), con il peperone crusco, quello di Senise dal 1996 ha ottenuto l’Igp, con le carni caprine e ovine e, per i più attenti, con il baccalà. Ad ogni buon conto una cucina esclusivamente contadina. Invece la Lucania vanta anche una cucina aristocratica il cui protagonista, Antonio Camurìa, che in pieno Rinascimento è stato cuoco alla corte del Principe Carafa a Napoli.
Ce lo testimonia Salvatore Pezzella nel suo libro “Le ricette del cuoco Camurìa sulla tavola rinascimentale di Lagonegro”. Il ricettario è ricco di prodotti tipici della Lucania declinati, però, all’uso partenopeo. Ricchissima la sezione dedicata alle salse, ai “potaggi” dal francese potage, ai pasticci di carne e quella dei dolci.
Tornando a noi, la ricetta appartiene all’antica tradizione contadina, gli ingredienti sono pochi e semplici: fagioli, castagne spellate, ma anche fresche, e nepitella (calamintha nepeta).
La presenza di questa erba spontanea dall’aroma antico che somiglia al gusto della menta pur essendo meno intenso,
rende il piatto più digeribile, infatti è molto usata sotto forma di tisana per curare i disturbi gastrointestinali. Certo, non è semplice trovarla, in tal caso può essere sostituita dall’alloro, le cui caratteristiche (tranne l’aroma) sono pressocchè uguali.
Ingredienti semplici che, insieme alla carne di maiale, non mancavano mai, neanche nella dispensa dei più poveri.
I fagioli erano coltivati nell’orto, mentre le castagne raccolte in autunno venivano essiccate in grossi contenitori di creta chiamati “ciarle” per essere consumate lesse, arrostite o a zuppa, come nel nostro caso.
Era usanza diffusa cuocere gli ingredienti di buon’ora, nella” pignata”, una pentola di coccio in un angolo del camino accanto al fuoco, “a lu
cuosto de lu fuoco”, come direbbero i lucani.
Era il piatto caldo da consumare riuniti tutti insieme dinanzi allo scoppiettio del fuoco dopo una giornata di duro lavoro nei campi.
Molto equilibrato dal punto di vista nutrizionale, il piatto si presta a fornire l’energia necessaria nei freddi inverni lucani, ma veniva consumato già all’inizio dell’autunno sostituendo le castagne secche con quelle appena raccolte.
Il gusto pieno e l’amalgama dei saporiti ingredienti fanno sì che il piatto si abbini molto bene ad un vino rosso corposo quale l’Aglianico del Vulture. D’altra parte non potrebbe essere altrimenti, sono entrambi figli di quella straordinaria regione che si chiama Basilicata.
Fasuli e pistiddi
di Padre Alessandro Compagnari, francescano
Ingredienti per 4 persone
300 g di fagioli secchi
300 g di pistiddi (castagne secche sgusciate e spellate) o in alternativa castagne fresche
2 rametti di nipitella oppure di alloro
Olio evo
Sale
Procedimento
I fagioli e le castagne spellate vanno messi a bagno la sera prima in abbondante acqua. Questa fase non è necessaria per le castagne qualora si usino quelle fresche che vanno unicamente private della buccia compreso la pellicina che avvolge il frutto. Il mattino successivo, dopo averle sciacquate, si mettono a cucinare in un tegame di coccio con i fagioli a fiamma lentissima insieme al sale e sufficiente acqua.
Dopo circa 2 ore di cottura si aggiunge l’olio e gli aromi secondo i gusti e, qualora occorresse, un po’ di sale. La cottura dovrà proseguire per ancora un’ora circa.
La zuppa può essere accompagnata fa fette di pane, meglio se del giorno prima, tostato oppure, secondo l’uso antico,
su crostoni di polenta abbrustoliti, ottenuti dalla polenta avanzata dal giorno prima
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