URCIUOLO
Uva: fiano di Avellino
Fascia di prezzo: da 5 a 10 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio
Ove si disquisce anche di punteggi
Non credo di rivelare il segreto di Fatima scrivendo che questo Fiano di Antonello e Ciro Urciuolo ha sbancato alle degustazioni di Paestum conquistando il primo posto assoluto fra i 900 vini campani, calabresi e lucani con un fantastico 88/100. Nasce da una vigna di circa 350 metri da sempre proprietà di famiglia su suolo argilloso e cretoso nella Valle del Sabato, altra grande zona di Fiano da qualche decennio con buone cantine al lavoro (I Favati, Cantine del Barone, Masserie del Nonno, Villa Raiano), corridoio di venti freddi che dal Partenio vanno al Terminio e viceversa. Spero che anche i degustatori delle altre guide ne apprezzeranno le qualità, ma state tranquilli del suo valore assoluto, è stato il primo nome uscito dalla bocca di Bruno De Conciliis quando abbiamo parlato delle difficoltà del Fiano nel Cilento a contraltare la grande stagione irpina, forse la migliore di sempre da quando mi occupo di vino. Un 2007 a ruoli rovesciati rispetto al 2006 perché il caldo ha penalizzato le acidità della zona di Agropoli mentre ha creato equilibrio in provincia di Avellino dove la media della temperatura è sempre di quattro, cinque gradi inferiore alla costa. Sicché cosa abbiamo avuto: rispetto ad altri anni un frutto più pieno ed evoluto, la componente della piacevolezza, in grado di sostenere riequilibrando le alte acidità che sempre penalizzano Fiano e Greco in questi mesi durante le degustazioni. Sono convinto che se i vini in Italia venissero giudicati a settembre non ci sarebbe partita per gli altri bianchi di fronte a queste due grandi espressioni dell’enologia irpina. La 2007 crea più o meno queste condizioni di anticipo: il balzo in avanti nella classifica delle preferenze è dato dalla tipicizzazione minerale, dalla struttura, dalla freschezza. Tre componenti che pongono subito il Fiano su un altro pianeta e non a caso anche i base delle grandi aziende hanno raggiunto la vetta delle preferenze.
Ho letto in giro le discussioni sulla validità di assegnare punteggi o meno al vino, alcune argomentazioni contrarie sono così forti da portare quasi alla resa, come il paradosso di Zenone che ci spiega perché Achille non potrà mai raggiungere la tartaruga. Argomenti che tornano in continuazione di questi tempi in cui si riuniscono le commissioni per poi sfociare in polemiche dure quando a novembre escono i risultati (ma i nostri del Touring si sapranno a fine luglio con le finali di Caserta e di Torino). Resta il fatto oggettivo che alla fine Achille supera la tartaruga e che le costruzioni dialettiche nulla possono di fronte alla realtà. Le valutazioni, soprattutto se coperte, riportano in definitiva i valori in campo salvo qualche sorpresa che resta appunto tale senza fare media come ormai mi insegna l’esperienza di tre anni: le aziende capaci di emergere alla fine sono le stesse che più si conoscono proprio perché fa parte del vino la qualità organolettica del prodotto come la capacità di costruirci una bella casa e comunicarlo con sapienza. I teorici della valutazione del prodotto in quanto tale dimenticano che in genere chi non ha gusto estetico difficilmente può fare un vino in grado di emergere nel corso degli anni: proprio perché pochi prodotti come questo sono il continuo interfacciarsi fra l’uomo e la terra e poi l’uomo con gli uomini. Per comunicare non intendo lo smaliziato linguaggio commerciale monocorde degli uffici stampa, ma la capacità di interpretare il proprio ruolo con semplicità, stile Caggiano, Silvia, Bruno, Libero Rillo per capirci. Il loro logos è anche nel bicchiere, nella capacità di entrare dentro il rapporto con l’uva e di interpretare l’annata.
Un altro elemento, che spesso ha giocato a favore dell’uso dei vitigni internazionali, è che anche le commissioni più qualificate non possono non riscontrare i valori oggettivi delle uve: si ha un bel dire che è difficile dare un voto, però quando, magari dopo una batteria di Biancolella o di Falanghina, entrano in scena Fiano e Greco immediatamente il livello della valutazione si alza. Uno può essere l’eccezione, due il conformismo, ma quando la cosa riguarda sette commissioni di tre e quattro persone diventa un dato statistico. Manco a farlo apposta di questo abbiamo parlato ieri con Andrea D’Ambra quando gli ho chiesto del Calitto. Già, perché è proprio la statistica il punto di svolta da considerare in questi casi: la media, cioé quella componente che alla fine forma il genius loci che mai può essere interpretato dal singolo. C’è chi boccia un Vigna Cicogna perché ha troppo naso di zolfo e chi lo esalta per questo, ed entrambe la valutazioni hanno ragione d’essere perché affondano le loro ragioni nel gusto medio del consumatore.Perché è vero che il vino cambia, che quel giorno posso stare nervoso e stanco, che possono aver messo un po’ di bubazza nel campione in degustazione, che è stato servito male in batteria, insomma ogni obiezione ha la sua validità ma alla fine nessuna contribuisce a demolire la costruzione formata appunto dalla statistica. Si è parlato spesso di una certa omologazione fra le guide, il ché per certi versi corrisponde a verità, ma il punto è che questa tendenza non parte da un burattinaio o da un accordo fra i curatori, ma è semplicemente il dato statistico medio che emerge. Poi ciascuno potrà fare lo scoop o prendere un abbaglio, ma la qualità media di una annata e di un vitigno è destinata ad emergere con chiarezza. Prova ne sia proprio il trattamento che tutti hanno riservato al Fiano di Avellino del 2006 lo scorso anno proprio perché era oggettiva la sua difficoltà stagionale. Una guida deve guidare il consumatore medio e medio-alto, non è interlocuzione personale, deve tenere conto cioé delle sensibilità personali che costituiscono poi la ragione del vino di stare sul mercato e produrre reddito a chi se ne occupa. Su questo grande fiume che scorre ci sono poi diversi affluenti, quello degli amanti dell’acciaio, quello dei vini booble gum, quello della tipicità, del gusto speziato o del tostato dolce delle barrique usate in eccesso, dei biodinamici, alla fine però conta quello che arriva in mare, ossia la media. Il punto, infatti, è che la nicchia non fa tendenza, ma resta tale e diventa essa stessa sbocco commerciale per quel produttore capace di individuarla. Per dirla in termini giornalisti, è il mercato di chi odia il mercato. A meno che il vino non venga prodotto e regalato, solo un idiota può far finta di non veder questi meccanismi. Il punto non è se si commercia o meno, ma come si commercia come ben sa chi, per esempio, vende stoffe o articoli per la casa. Conta allora il consumo complessivo, consapevole e inconsapevole, e questo enologi e produttori lo sanno benissimo. Le guide servono dunque ad intercettare questa tendenza generale provando ad interpretarla nel migliore dei modi e non c’è altro mezzo per farlo che assegnare i punteggi. La valutazione non è un elemento penalizzante del vino, ma spesso la sua esaltazione, come quando il Touring lanciò il Greco 2005 della Cantina del Taburno che ancora oggi è un gran bel bicchiere come posso verificare con comodo perché all’epoca, complice il prezzo franco cantina di tre euro ne feci scorta abbondante. Uno dei cento casi che potrei fare in questa sede. La valutazione spinge alla competizione ed è il sale del miglioramento complessivo, non a caso stanno fuori e perdono battute ogni anno quei (pochi) produttori coglioni che ancora sono convinti di essere i migliori ma incompresi, bersaglio di chissà quali congiure ordite alle loro spalle. Questi, sì, sono atteggiamenti fuori mercato che non portano da nessuna parte. Spesso essere fuori dalle guide proclamandolo con ostentazione e teorizzandolo è solo una forma di sottile e sofisticata strategia commerciale tipica di chi ha poche bottiglie e che così conquista facilmente il partito degli insofferenti alle guide, pur presente in forma massiccia soprattutto nella blogsfera ma non nella realtà dei fatti che si consumano ogni giorno. In poche parole, se si ha un approccio professionale è impossibile non confrontarsi con questo tema, sarebbe come dire che all’Università si possono fare esami senza i voti. Da ragazzi abbiamo teorizzato il 27 politico con analoghe motivazioni usate ieri per gli uomini e oggi per il vino: il risultato è stato lo sfascio del nostro sistema accademico, la sua feudalizzazione e, purtroppo, il distacco ancora maggiore fra chi ha la possibilità di mandare i propri figli nelle università straniere e chi no. La meritocrazia, il sistema di selezione, non sono valori negativi come pensavamo scioccamente a vent’anni troppo fiduciosi sulla onestà dell’animo umano, ma valori positivi se imposti con regole trasparenti e un pizzico di saggezza: un’Agostinella del buon Maurizio De Simone difficilmente potrà avere gli 88 punti del Fiano di Antonello e Ciro, ma la possiamo segnalare lo stesso per la sua bevibilità, per il tentativo identitario fatto dal produttore, per la curiosità. Stesso discorso per una Catalanesca, che buona quella di Sorrentino. Intanto vi invito a fare scorta di questo fantastico Fiano, uno dei miei vini del cuore nella guida perché ho capito quando li ho conosciuti che non era un vin de garace qualunque, ma un’azienda le cui radici affondavano nel commercio dei pali di castagno da tre generazioni. E chi ha dato pali per le vigne di mezza Campania alla fine, dopo tre generazioni, deve per forza aver imparato qualcosa di buono. Quando ho visto che una delle sette commissioni gli ha dato quel punteggio fantastico, ho gioito. Il Faliesi andrà di diritto a Caserta, spero che i colleghi coordinatori delle altre regioni l’approvino perché quest’anno nessuno vota per i vini che ha portato in batteria, altri 40 campioni dovranno invece confrontarsi fra loro nuovamente al Savoy per conquistare i posti disponibili per la Campania perché la guida è a numero chiuso. La sua frutta agrumata integra, la sua mineralità, la freschezza ne fanno un bicchiere eccezionale, una delle migliori espressioni di Fiano mai provate in vita mia.
Sede a Forino, Contrada Rapone 1. Tel. 0825.761649, fax 0825.762956. Enologo: Carmine Valentino. Ettari: 25 di cui 4 di proprietà e 21 a conduzione. Bottiglie prodotte: 150.000. Vitigni; falanghina, fiano, greco, aglianico.
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