JOAQUIN
Montefalcione (Irpinia)
Quante vite può avere la Falanghina? Quante maschere indossare mentre attraversa la Campania, il Molise, la Basilicata e persino la Puglia ormai? Impossibile contarle: c’è quella sulfurea dei Campi Flegrei incapace di fare sconti ruffiani, quella austera beneventana in competizione con il Fiano e il Greco di cui non riconosce la superiorità, e poi ancora passita, invecchiata, floreale, minerale, in acciaio, in legno. Uva, anzi uve perché in realtà si parla di due vitigni diversi accomunati solo dal nome, assolutamente poliedrica e capace di regalare grandi soddisfazioni ai produttori e agli appassionati. Chi sta seguendo la manifestazione Falanghina Felix promossa dalla Camera di Commercio di Benevento nella quale è stato stracciato ogni record di iscrizioni, oltre 60 aziende, ha potuto rendersi conto della varietà e della richezza dell’offerta sul mercato. Sempre in ottimo rapporto tra qualità e prezzo. Stavolta parliamo della Falanghina JQN 106 fatta da Raffaele Pagano, lunghissima tradizione familiare di vinificatori alle spalle, nel nuovo stabilimento costruito a Montefalcione dove si sperimenta sagacemente le potenzialità dei vitigni irpini cercando di percorrere però strade diverse, non battute dalle altre aziende, accomunate dal fatto di proporre tutte, o quasi tutte, le tre docg e la doc, quanto non anche la igt Campania. Adesso gioca la carta di una Falanghina raccolta tra la prima e la seconda decade di ottobre capace di raggiungere con la punta delle dita i 15 gradi, una quota sopportabile grazie al notevole impatto dolce iniziale e, a seguire alla struttura capace di camminare sulla freschezza, l’acidità, della frutta. Dopo la prima pressatura soffice, la fermentazione alcolica procede a temperatura controllata di 18 gradi per quasi un mese intero a cui segue una parziale malolattica. Tutti in acciaio, dove resta per altri due mesi prima di passare in vetro. Questa lavorazione, seguita da Sergio Romano, consente una piena valorizzazione del frutto e regala dunque un vino di potenza, capaci di imporsi all’attenzione di tutti come pure abbiamo sperimentato lunedì scorso a Roma durante la festa dei Premi Veronelli organizzata a GustLab di Emiddio Trotta. Il nuovo passo del progetto di Raffaele, l’uomo dalle etichette semplici di territorio e dai vini sofferti e concenttuali come solo uno che prova e assaggia molto in giro può essere capace di fare. Dote questa purtroppo non comune a molti produttori di vino, spesso fermi a se stessi e, di nascosto, al prodotto del vicino vissuto come concorrente e non come alleato. Ma la forza di questa Falanghina 2007 scaccia via i cattivi pensieri: l’abbiniamo alla mitica minestra di Pasta di Gragnano con i pesci di scoglio concepita da Gennaro Esposito.