di Annito Abate
Nel trailer per la serata vissuta mercoledì, percorrerei le emozioni dell’incipit di “Star Trek”: «Spazio, ultima frontiera! Il viaggio di un WineBlog diretto all’esplorazione di “strane vigne”, alla scoperta di nuove forme di vini e di estinte civiltà contadine, fino ad arrivare là, dove nessun vigneron è mai giunto prima … Diario di bordo del Capitano: Abraxas data astrale 21.11.2012»; uno “stargate enoico” ha permesso di attraversare lo spazio, ma soprattutto il tempo, per regalare emozioni allo stato liquido nei 9 calici andando indietro fino all’anno 2003.
In “sala comandi” l’enologo Maurizio De Simone, il vignaiolo flegreo della Cantina Agnanum Raffaele Moccia e lo storico del territorio e patron della Rassegna “Malazè” Rosario Mattera.
Alla “guida” per la verticale storica delle nove annate 2011-2003 di “Campi Flegrei Falanghina DOC Agnanum”, la giornalista e degustatrice Marina Alaimo che ha curato anche il progetto e la comunicazione dell’evento. Capitano … Luciano Pignataro!
Quali le potenzialità di tenuta nel tempo di questo vino-vitigno?
Come un “illuminato committente-vigneron” ed il suo “enologo-architetto del vino”, riescono ad inviare messaggi alternativi al grande pubblico inconsapevole ed abituato “all’annata in corso”, ovvero ad un consumo troppo rapido ed immediato?
Il valore della Degustazione all’Abraxas di Nando Salemme (Osteria, chiocciola Slow Food) è duplice; c’è un valore da attribuire allo “spazio”, inteso come resistenza delle vigne all’aggressione della conurbazione circostante, la “debole” terra contro “l’armato cemento” ed un valore da dare al “tempo”, come persistenza delle viti che regalano vini “integri” nella loro “moralità” e nei “caratteri organolettici”.
Comunicare questo “mondo enologico” vuol dire proporre un nuovo modo per appassionarsi alla degustazione non considerando solo le sensazioni organolettiche di un prodotto ma anche la capacità del territorio che lo ha generato, la capacità di chi crede nella sua terra, ci lavora e la abita nella consapevolezza che le difficoltà sono quotidiane; è il duro lavoro della “eroica resistenza contadina”.
Ai Campi Flegrei viene riconosciuta l’eccellenza del suo territorio ed una consapevolezza che qualcosa si sta muovendo, sta cambiando; si assiste ad un recupero dell’agricoltura, nello specifico, della viticoltura che diventa valore aggiunto alla conquista della conservazione della storia, dell’arte e dell’archeologia.
Anche il consumatore medio, stimolato dalla giusta comunicazione, diventa sempre più “colto”, comincia, ad esempio, a chiedere qualche “bianco” dell’annata precedente ed a partecipare a degustazioni, come questa, che presentano una “tac completa” (azienda-vino-vinificazione-comparazione di annate), un evento che fa curriculum per chi ama degustare vini.
La Falanghina da non considerare solo come vino di “pronta beva” ma dalle grandi potenzialità evolutive a patto di una qualità espressa in vigna ed in vinificazione.
«I vini buoni si soffermano sotto il palato ed ai lati della lingua» dice Luciano Pignataro durante l’assaggio, «che sinfonia di “naso”» a proposito dei profumi che salgono verticali dai nove calici.
«Raffaele è aperto ai “discorsi”, sa guardare oltre, sa vedere la falanghina con occhi diversi » racconta l’enologo della Cantina Maurizio De Simone che, autoironicamente, si definisce portatore sano di sogni e follie.
Raffaele Moccia ha origini contadine, ha ereditato dal padre la terra, l’amore ed un’etica che gli hanno impedito di cedere alla tentazione di rendere “suoli edificabili” le sue vigne. Per questo la sua uva pende da viti ultracentenarie, “a piede franco”, che hanno saputo combattere e superare la “fillossera”, grappoli “avvinghiati” alle “lignee falanghe” di greca memoria.
Il vignaiolo dei Campi Flegrei ha molto riguardo delle sue piante: «mio padre diceva che il vino si fa in vigna, non in cantina, i miei campi confinano con le Mura Borboniche del Bosco degli Astroni e li lavoro in maniera tradizionale, solo con la zappa, “a’ sepa”, “o’ fussato”». Ed infatti la natura dei terreni, molto sciolti, impone una cura meticolosa, una lavorazione tutta manuale che, giorno dopo giorno, per tutto l’anno, modella ogni singolo terrazzamento vulcanico per evitare che frani verso valle o venga dilavato dalle piogge; una tecnica antica prevede di aprire un solco e ribaltarne dentro la cotica erbosa, una sorta di sovescio ancora più naturale ed “autoctono”. La maturazione è lenta per mancanza di nutrimento che le radici dei ceppi cercano in profondità regalando ai vini stabilità, struttura e mineralità.
La Cantina Agnanum fa prodotti a tiratura davvero limitata: una manciata di ettari che non raggiunge le 4 unità, regalano meno di 2.500 bottiglie di Piedirosso e circa 9.000 bottiglie di Falanghina.
L’incontro tra un artigiano ed un artista del vino hanno generato un “progetto” davvero sorprendente che ha sfidato lo spazio ed il tempo; poche “operazioni” sul vino evitando di “togliergli” sostanza, quindi qualità, filtrazioni ridotte al minimo, nessuna stabilizzazione contro la precipitazione dei tartrati (non è un problema se si scopre qualche cristallo di sale ad illuminare ed impreziosire le bottiglie). Tutto deve essere naturalmente armonico ed abbinato agli aspetti pedoclimatici, tutto volto a portare “la natura nel bicchiere”.
La scelta fondamentale è di ritardare la raccolta, anche fino alla prima settimana di novembre, per avere uve più mature, quasi una vendemmia tardiva con grande attenzione al controllo dell’acidità. «Non esiste una maturazione ma una condizione in cui si decide di raccogliere raggiunto il momento ritenuto migliore per fare il vino che si ha in mente» dice l’enologo della Cantina.
Dalla “console” arriva il via libera, i partecipanti, nelle loro postazioni di degustazione, attraversano lo stargate, viaggiando a ritroso nel tempo, dall’anno 2011 all’anno 2003, in uno dei format-sequenza che preferisco di più: 1) sintesi dell’annata e relative aspettative di corrispondenza nel campione di vino (racconta l’enologo Maurizio De Simone) – 2) approfondimento specifico e verifica “sul campo” (parla l’esperto di Cantina Gianluca Tommaselli) – 3) degustazione guidata (Marina Alaimo) – 4) commenti ed approfondimenti (intervengono i partecipanti).
Una estrema sintesi dei nove vini cerca soprattutto di coglierne le differenze più evidenti attraverso il racconto dell’annata e delle scelte operate in cantina.
- Nell’annata 2011 le escursioni termiche hanno avuto un buon peso insieme alla leggera necessità di anticipare la vendemmia per mantenere l’acidità auspicata; nel calice si riconosce un vino giovane, fresco e profumato di fiori.
- Anche per la 2010 si decide una leggera anticipazione (fine ottobre, circa 10 giorni) ed una lieve macerazione (circa 4-5 ore) che dona al vino un colore oro più accentuato; la regolarità dell’annata, anche in questo caso, ha regalato al vino sentori floreali ed una buona freschezza di acidità.
- L’annata 2009 è siccitosa fino all’autunno e la raccolta non viene anticipata; il vino è estremamente luminoso e con ottimi potenziali di tenuta nel tempo, prevalgono i profumi di spezie, le note tostate ed un leggerissimo sentore fumè, al gusto è pieno di corpo.
- Il 2008 è più piovoso; al naso i profumi dominanti sono di frutta matura con note più “dolci”, in bocca il vino è più “sottile” di corpo.
- L’annata 2007 rispecchia l’andamento della 2009 con piogge soprattutto primaverili, estate secca ed autunno di nuovo molto piovoso, nel complesso una buona riserva idrica per le fasi fenologiche e di maturazione, macerazione spinta in avanti di qualche ora; predominano i “gialli”, una nota di zafferano e delicati sentori agrumati, al gusto si riscontra buona struttura, acidità e sapidità.
- L’annata 2006 è stata l’esatto contrario della 2007, la più difficile degli ultimi 10 anni: primavera secca con uve già mature e piante in equilibrio, settembre piovosissimo. La vendemmia è stata anticipata e la macerazione cancellata. Con sorpresa il vino è risultato finissimo, elegante al naso ed in bocca estremamente equilibrato.
- Nel 2005 la pianta ha subito un notevole stress ed asfissia, la macerazione è stata spinta verso tempi lunghi per riequilibrare le componenti e dare al vino maggiore longevità. Un vino di carattere, dinamico nel bicchiere, bouquet complesso con note di idrocarburi, frutta e spezie, la bocca resta fresca. Una vera chicca di Cantina!
- La 2004 è l’annata perfetta! Privavera piovosa con piante ben idratate ed in grande equilibrio, estate secca con rinfreschi settembrini, escursioni termiche prolungate. Come da un figlio dal quale ci si aspettano grandi potenzialità, si resta delusi se si scopre che è solo bravo. Il vino è risultato ottimo ma non straordinario senza esprimere l’unicità e la personalità auspicate.
- Nel 2003 un andamento siccitoso prolungato è stato sostituito alla fine da piogge che hanno bagnato le uve secche. E’ stato necessario seguire tutte le fasi enologiche previste. Il vino è spettacolare, minerale, fresco ed elegante, molto coerente tra “naso” e “bocca”. Un vino eccellente che ha trovato il suo stargate, facendo “saltare” i consueti parametri e spingendo l’evoluzione verso un tempo indefinito. Per molti la migliore annata degustata!
Raffaele moccia è anche un Grande Allevatore di conigli che, consegnati nelle abili mani dello chef Nando Salemme, sono diventati l’ingrediente principale di una eccellente quanto raffinata cena; ottimi gli abbinamenti da “combinare” con quel che rimane nel calice dei nove vini appena degustati e, per purpurei accoppiamenti cibo-vino, viene anche servito un Piedirosso Agnanum 2010.
Molti i partecipanti che hanno risposto al “richiamo” di un vino campano che ha dimostrato di saper sfidare il tempo.
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