Pasquale Carlo
“Ciumachella… ciumachella de Trastevere – che miracolo che ha fatto mamma tua… – a creà sto non plus urtra de armonia… – sei ‘na rosa, sei ‘n biggiù ‘na sciccheria… – ciumachella… ciumachella de Roma mia – se ‘n pittore te volesse pitturà… – butta tutti li pennelli… e sta a guardà!!!”: così Rugantino, la maschera più famosa e caratteristica di Roma, si rivolge alla sua amata Rosetta in una delle canzoni più belle scritte da Garinei e Giovannini. Nella lingua dialettale della città del Cupolone il termine “ciumaca” viene utilizzato per indicare la lumaca, ma anche per descrivere una “bella ragazza”.
Nella cultura romanesca donne e lumache erano le protagoniste indiscusse di una notte particolarmente sentita: quella di San Giovanni. Nella credenza popolare si raccontava che in questa notte (quella tra il 23 e 24 giugno), le streghe sorvolassero Roma, passando proprio sulla basilica di San Giovanni in Laterano, per recarsi all’annuale sabba che prendeva vita sotto il noce di Benevento. La notte delle streghe, delle erbe magiche e delle lumache al sugo da consumare tutti insieme. Un piatto dal forte sapore allegorico, in quanto i molluschi stavano a simboleggiare la discordia, motivo per cui l’atto di divorarle avrebbe eliminato dissidi e avversità.
Potrebbe essere anche questa l’origine del tradizionale consumo di piatti a base di lumache nella piccola borgata di Fontanavecchia, in territorio di Faicchio, in uno degli angoli più magici della terra sannita. Un consumo che, non a caso, è legato alla ricorrenza del santo patrono del luogo, San Sancio. Questo santo, originario della Galla Comata, venne fatto prigioniero e portato nella città spagnola di Cordova. Finì martire, per spada, quando era ancora adolescente, il 5 giugno 851. Il suo culto incominciò soltanto otto secoli dopo, irradiatosi dalla diocesi di Cordova a far data dai primi anni del XVII secolo.
Avvolte nel mistero il momento e i motivi per cui si salda il legame di fede tra il santo e la piccola comunità di Fontanavecchia. Tutto quello che si conosce intorno a questa festa è la ricorrenza di consumare, in tale ricorrenza, piatti a base di lumache. Ogni anno le antiche strade di Fontanavecchia, dove questi molluschi sono chiamati “ciammette” (come in tanti altri luoghi del Sannio), si animano in occasione di una grande festa dedicata alle lumache (quest’anno in programma da venerdì 1 a domenica 3 giugno) in onore di San Sancio.
A cucinarle sono tassativamente le donne del posto, che custodiscono gelosamente le proprie ricette. Proprio da queste donne ha carpito i segreti Nicola De Martino, alifano trapiantato proprio in quel di Fontanavecchia. I trucchi per preparare e cucinare le lumache li ha appresi dalla suocera. Oggi li adopera per preparare i piatti a base di lumache ai fornelli de ‘Il Sauro’, il locale dei fratelli Marino e Giovanni Maturo. Piatti non in carta, ma che Nicola ha il piacere di centellinare ai pochi ospiti de ‘Il Sauro’ che lo richiedono preventivamente. Proprio come è successo a noi ad una cena, invitati da amici di Faicchio che hanno voluto così onorare l’imminente festa del patrono.
Tutto a base di lumache. Come piatto forte ecco la classica zuppa, pietanza povera della tradizione contadina dell’entroterra campano. Allora si preparava nei periodi primaverili e autunnali, quando si registrava il clima ideale (particolarmente umido e con temperature calde) per il reperimento in campagna dei molluschi. Le migliori lumache erano quelle che venivano raccolte nelle vigne. Quelle che abbiamo consumato noi sono state prodotte da ‘Le lumache del Sannio’, un allevamento sorto recentissimamente proprio a Fontanavecchia.
La ricetta tradizionale faicchiana ricalca quasi fedelmente quella utilizzata dalle fiaschetterie della Capitale in occasione della ricorrenza di San Giovanni, impiegando semplicemente olio extravergine di oliva, pomodori, aglio e l’aggiunta di erbe. Ingredienti simili anche per preparare il saporito ragù con cui sono stati conditi gli scialatielli, con Nicola che ha optato per l’inconfondibile profumo e aroma della pimpinella, erba particolarmente presente sulle alture che circondano la valle titernina. E’ stata insolita, invece, l’apertura, con lo chef che ha proposto una versione di lumache fritte (a polpettine) servite su una crema a base di prezzemolo: esperimento riuscitissimo.
Su tutte le preparazioni abbiamo preferito quella che nascondeva uno dei segreti di Fontanavecchia, l’utilizzo delle acciughe che impreziosiva incredibilmente il sapore dello “spezzatino” con cui è stata servita la bruschettina finale. Un piatto da applausi.
Sapore inimitabile e indimenticabile, che ci ha trasportato sulle ali di un’antica filastrocca romanesca, a ricordare ancora una volta questo insolito connubio tra le “ciumachelle” di San Giovanni e le “ciammette” di San Sancio. Questo il testo: “Esci, esci corna – fja d’na donna, esci, esci, che te torna; c’è la sora Menicuccia che cià pronta la mentuccia ajo, ojo e peperoncino, una presa di sale fino, quattro alici, un pummidoro, te prepara un sugo d’oro. Sarai magnata ar chiaro di luna perché le corna porteno fortuna!”.
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