QUINTODECIMO
Uva: fiano di Avellino
Fascia di prezzo: nd
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno
Vista 5/5. Naso 27/30. Palato 27/30. Non Omologazione 30/35
Ed eccoci a quasi tre anni a riprovare il primo Exultet di Quintodecimo. Un Fiano di un millesimo non memorabile che però conferma alcune valutazioni di fondo, prima fra tutte il progressivo riequilibrio tra legno e frutto con il passare del tempo. Rispetto alle versioni successive, la prima apparve un po’ carica di note balsamiche dolci dovute proprio alle barrique nuove, a dopo quasi nove anni possiamo essere più che impressionati dalla prova del Fiano di Luigi Moio sul lungo periodo. Un vino ancora giovanissimo, fresco, assolutamente integro e affascinante, avviato su un percorso di lungo periodo con molto baldanza ed eleganza.
Le note dolci, che prevalgono al naso, sono bilanciate al palato da tanta acidità vibrante oltre che dalla nota amarognola finale che lascia ben pulito il palato. La dimostrazione che si può ragionare su un progetto di lunghissima portata sul Fiano di Avellino.
Avevamo già provato Via del Campo 2006 e ne eravamo rimasti ben impressionati dalla tenuta. Adesso Exultet ci conferma la marcia in più di questi bianchi da collezione.
Scheda del 9 gennaio 2012. Un vino è grande quando supera il tempo. Può farlo di slancio, come capita a tantissimi Fiano di Avellino, oppure perché dietro c’è un progetto preciso e articolato, ed è il caso dell’Exultet 2006.
Come tutte le persone proprietarie di idee chiare, Luigi Moio è destinato a dividere, soprattutto la critica specializzata: molti infatti hanno espresso vivaci dubbi sull’eccessivo uso del legno a discapito della forza del frutto. In effetti tra rosso e bianco si gioca quasi a parti rovesciate, ché il primo, soprattutto se si tratta di vitigni strutturati come l’Aglianico o il Nebbiolo, con il legno si presenta sempre più pronto mentre il secondo regala bevibilità proprio quando è lavorato solo in acciaio.
In realtà, conoscendo la formazione francese di Moio non si dovrebbero avere molti dubbi che i suoi vini sono stati fatti per essere bevuti sul lungo periodo. Il mercato, a dire la verità, li premia sempre giacché la domanda supera l’offerta, a dimostrazione forse che la critica specialista resta, in questo come in altri segmenti, molto poco influente sotto l’aspetto commerciale in Italia. Però bere adesso l’Exultet 2006, la prima annata di Quintodecimo, è sicuramente molto più appagante di sei anni fa: ci è capitato di farlo durante la festa degli auguri irpini organizzata da Giovanni Mariconda a Taberna Vulgi: effettivamente il bianco solo adesso inizia ad equilibrarsi, esplicitando una pera fresca e saporita assediata da note speziate, timo, erba da campo. In bocca la potenza dell’Exultet è assoluta: la beva è dinamica, veloce, piacevole.
Secondo noi, il Fiano di Luigi Moio è solo all’inizio del suo cammino perché, per quanto paradossale possa sembrare a chi non è esperto di vino, proprio adesso si apre il periodo favorevole alla stappatura del Fiano. Troppo tempo? Dipende: se si vuole bere ci sono tanti vini d’annata buonissimi, ma se avete voglia di emozionarvi, allora sei anni di attesa per questo grande bianco sono assolutamente pochi.
Scheda del 31 marzo 2011. Allora, nel mondo del vino funziona più o meno così in parte dell’ambiente della critica enologica.Mettiamo vi piaccia lo stile gotico e incontrate una chiesa barocca, in tal caso l’osservazione più gentile che vi potete sentir dire è: non è una chiesa. E viceversa. Così da tempo ci si divide sull’autentica interpretazione del territorio come valore fondante di un vino, ossia in quanto capace di esprimere diversità e dunque curiosità. La qual cosa per il vino è molto difficile in Italia fatte alcune piccole eccezioni tra le quali ci sentiamo di annoverare sicuramente il Fiano di Avellino e il Greco di Tufo che esprimono modelli comportamentali molto precisi al naso e in bocca, soprattutto se trattati solo in acciaio.
Detto questo chiuderemo mai la strada alle sperimentazioni, all’introduzione di modelli di vinificazioni importati da un paese come la Francia che ha molta più esperienza in questo campo?
E se questa ricerca ha rigore agricolo, etico, commerciale ed enologico potremmo mai dire che non siamo in presenza di un Fiano di Avellino? Sembrano questioni di lana caprina, ma spesso l’accusa di taroccare il vino non riguarda l’introduzione di agenti chimici o di vitigni non dichiarati. No, semplicemente basta anche un passaggio in legno per far scattare l’accusa di «tradimento» al territorio.
Queste questioni che dividono la critica sono assolutamente irrisorie per i consumatori e noi vi diciamo semplicemente che ci troviamo di fronte ad un Fiano da attendere una decina di anni prima di veder compiuto il progetto enologico di Luigi Moio.
A distanza di cinque anni, ad esempio, provato sui nuovi piatti di Gennaro Esposito, ci troviamo di fronte ad un vino ricco di personalità, con il legno in buon bilanciamento con il frutto, la spinta acida molto persistente e capace di reggere l’impianto, di ottima abbinabilità alla cucina di mare. Un capolavoro, insomma, che però vi consigliamo di lavorare ancora con la vostra capacità di aspettare.
Usando come consumatore quel buon senso che spesso manca ad alcuni degustatori con i paraocchi o che, più meschinamente, provano ad emergere dall’anonimato parlando male di chi ha fatto la storia.
Assaggio del 6 marzo 2009. Non è difficile rimanere affascinati dall’opera del professore Luigi Moio e dei suoi vini. In principio, una quindicina di anni fa, capitava non di rado di sentirsi rispondere – Moio chi? Ah sì, quello di Mondragone! – e con le dovute spiegazioni si riusciva a far comprendere che vi era tra quei Moio divenuti popolari per il loro Falerno Primitivo, un figlio, Luigi, enologo talentuoso che girava il mondo a mietere esperienze e si avviava con consulenze prestigiose ad iniziare a scoperchiare quel meraviglioso mondo dei vitigni autoctoni campani che si sono poi affermati negli ultimi anni. Grande tecnico Luigi Moio, sua la firma su tanti vini prestigiosi campani eppur mai domo, sempre alla ricerca di un risultato superiore, convinto di un potenziale degli autoctoni campani ancora inespresso ed inesplorato. E’ di questi profondo conoscitore, importanti, anche ai fini scientifici i suoi lavori sulla Falanghina, ha contribuito grazie a Peppe Mancini al successo del Casavecchia e del Pallagrello bianco e nero, molti si aspettano grandi cose dal suo progetto di studio sull’Aglianico tutt’ora in atto. Fondamentale a questo punto l’incontro con Antonio Caggiano in terra taurasina (siamo nei primi anni ’90), che diede il via al matrimonio d’amore con l’amata terra Irpina, patria d’elezione di questo vitigno, che porterà dopo poco più di un decennio alla nascita del progetto Quintodecimo a Mirabella Eclano: il vigneto giardino, il vino come essenza della terra, di una filosofia vitale a cui è impossibile rinunciare.
Il primo vino nato in questa nuova dimensione è stato proprio un Aglianico, il Terra d’Eclano venuto fuori proprio dalle vigne nel cuore del Taurasi docg ma volontariamente presentato al mercato come igt, seguito poi da due vini, il Nerochiaro ed il Rosachiaro disponibili esclusivamente per le degustazioni in cantina. Successivamente sono stati presentati sul mercato due vini bianchi, la Falanghina Via del Campo prodotta da uve conferite dalla vicina area del Beneventano, a pochi passi da Mirabella Eclano, e il Fiano di Avellino Exultet presentati entrambi con il millesimo 2006 lo scorso anno e che anticipano di almeno un paio di anni quel che sarà il gioiello aziendale, il Taurasi Riserva di cui già si fa un gran vociferare se non altro per il suo elevato prezzo franco cantina che sforerà probabilmente i 70 euro. L’attendiamo nel bicchiere, come sempre giudice infallibile di quel che sarà di una aspettativa così alta che mira oltretutto a dare una sferzata d’orgoglio campanilista in un momento economico così difficile. L’Exultet è certamente un vino bianco complesso ed intrigante, ha il colore di un bel giallo paglierino cristallino nonostante di solito ad oltre due anni dalla vendemmia è ipotesi plausibile immaginare un colore più maturo, ma qui la veste cromatica è addirittura ancora “verde”. Il naso è molto piacevole, dapprima erbaceo, poi maturo nelle sue sfumature fruttate con un netto e finissimo sentore di nocciola. Vengono fuori con l’aumento della temperatura anche note burrose e minerali. In bocca è fresco, abbastanza intenso e persistente, richiama una certa polposità del frutto seppur non del tutto disteso ed espressivo. Non mancheranno, le prossime vendemmie a delinearci un profilo più altisonante per questo vino, degno insomma del miglior Moio; Aspetto personalmente le prossime uscite, il 2007 è stato certamente un millesimo più felice in Irpinia, per non dire entusiasmante, capace forse di mostrarci appieno la mano sublime dell’artefice. In poscritto una nota d’impressione, degustato dapprima alla cieca mi ha condotto con il suo imprinting olfattivo e gustativo immediatamente in terra di Francia, Chablis e dintorni, poi svelata l’etichetta la sorpresa, pur piacevole. Anche in questo caso è decisamente importante il prezzo, ad oggi, il Fiano di Avellino più “costoso” sul mercato, ma chi vuole camminare queste vigne…
Questa scheda è di Angelo di Costanzo
Assaggio del 5 aprile 2008. Quando il professore sale in cattedra non ce n’è per nessuno. Questo Fiano conferma ancora una volta che un vino, come ci ricorda Luigi Moio nel suo catalogo aziendale, nasce anzitutto dalla testa, dal progetto, da una idea di governo del territorio perché la terra senza l’uomo è solo un valore astratto, senza alcun significato. E poi, magnifico, far esordire al Vinitaly un Fiano del 2006 nella cui retroetichetta c’è scritto che va conservato per almeno una decina d’anni: così si fa se si vuole fare buona agricoltura, se si è sicuri delle proprie possibilità. Il problema dell’Italia, dice il professore, è nella mania di inseguire il mercato invece di imporre il proprio stile, produttivo e commerciale, al resto del mondo, proprio come si è fatto in altri campi, a cominciare dall’urbanistica e dalla moda. Se non ci fosse questa mentalità da bottegai non ci sarebbero neanche problemi come quelli di questi giorni relativi alla vicenda di Montalcino. Il Fiano mi ha stordito per la sua eleganza, lo avevo provato ancora in barrique ed ero, vi confesso, un po’ preoccupato per la capacità di un’annata non facile per i bianchi di esprimersi ad alto livello con personalità e determinazione. Invece, come al solito, sei, sette mesi di elevamento in vetro hanno fatto nascere il cigno dal brutto anatroccolo, con un legno oggi definito poco invasivo, che regge la sostanza di uno scheletro di acidità imponente e incredibile, capace davvero di tirare dritto alla lunga senza alcun problema. Un Fiano da collezione, insomma, che si può iniziare a godere adesso per i prossimi quattro, cinque anni grazie alla frutta e alla poliedricità olfattiva in continua evoluzione, uno spettro che varia dalle erbe di campo alle spezie, alla frutta bianca spaccata fresca, sino allo zafferano. In bocca, oltre alla struttura e alla freschezza, l’alcol appaga la beva in modo suadente e decisivo con un finale lungo, eterno, capace di portare dalla realtà all’irrealta per citare la definizione del vino di Luigi Veronelli. Un bianco talmente straordinario da essere vino di meditazione, anche se è assolutamente abbinabile, per esempio al risotto con la trippa di baccalà del Desco di Verona, uno dei piatti-capolavoro della cucina italiana in questo momento che ho goduto insieme ai miei amici Silvia, Patrizia e Isao. Credo che questo Fiano rappresenti le colonne d’Ercole per Luigi, come per Bruno lo è stato con l’Antece, la voglia di trovare un passo al di fuori delle piste battute dagli altri e creare con il bianco qualcosa di memorabile. Una impresa di cui la Campania ha assoluto e disperato bisogno perché non è possibile essere gione bianchista senza annate da raccontare alle generazioni che verranno dopo di noi..
Sede a Mirabella Eclano, via San leonardo
Tel e fax 0825.449321
www.quintodecimo.it
info@quintodecimo.it
Enologo: Luigi Moio
Bottiglie prodotte: 32.000
Ettari: 9 di proprietà più 3 in fitto
Vitigni: aglianico, fiano, greco e falanghina
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