Ettore Prandini, presidente nazionale dell Coldiretti: non siamo quelli che vogliono sfruttare il lavoro nero, chiediamo di poter lavorare subito altrimenti il 40% del raccolto andrà perduto. Si ai vaucher

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Rilanciamo l’intervista fatta sul Mattino e pubblica ieri al presidente nazionale della Coldiretti Ettore Prandini

Il mondo agricolo paga lo scontro nel governo, una contrapposizione puramente ideologica che non tiene assolutamente conto della realtà. Il presidente nazionale della Coldiretti Ettore Prandini è furioso per l’intesa raggiunta sulla regolarizzazione dei migranti: “Non è assolutamente risolutiva risolutiva dei problemi del mondo agricolo anche per i tempi che non combaciano con quelli delle imprese”.

Però vista da fuori potrebbe sembrare che il governo sfrutta il momento per risolvere un tema che si trascina da tempo.
“Mah. Sa quando saranno regolarizzati? Se tutto va bene alla fine di settembre, giusto in tempo per partecipare alle vendemmia tardive, nel frattempo avremo perso il 40% del raccolto di frutta, ortaggi e verdure. Non c’è male come prezzo da pagare per una questione ideologica”.

La Bellanova  conosce bene i temi dell’agricoltura, come mai non è riuscita ad imporsi?
“Se è per questo ci ha anche detto che è d’accordo con le nostre proposte, ma ha trovato un muro alzato dai sindacati industriali  e dalla ministra del Lavoro Nunzia Catalfo. Ma c’è una cosa che mi fa davvero arrabbiare”.

Cosa?
“Passare per quelli che vogliono sfruttare i migranti con il lavoro nero. E’ assurdo, ogni anno le imprese agricole assumono con contratti regolari centinaia di migliaia di persone e il fenomeno del nero è circoscritto a poche migliaia di casi. Ma ad ogni modo il tema non è questo, perché noi parliamo per la maggior parte di manodopera qualificata, le imprese agricole hanno bisogno anche di professionalità;  in agricoltura ci si può improvvisare, ma per la maggior parte serve manodopera formata e qualificata, dalla potatura alla guida dei mezzi agricoli”.

Quali erano le vostre proposte?
“In primo luogo creare i cosiddetti corridoi verdi per i lavoratori che vengono dalla Polonia e dalla Romania che costituiscono la stragrande maggioranza della manodopera impiegata. Lo ha fatto la Germania, lo sta per fare la Francia, non si capisce perché non lo possiamo fare noi. Le motivazioni di sicurezza sanitaria non reggono: non è necessaria la quarantena per chi viene da fuori come non è stata necessaria per medici e infermieri venuti a darci una mano in questi mesi. Bastano i controlli sanitari che si applicano a tutti i lavoratori, dalla misurazione della temperatura ai tamponi. Questa era la cosa da fare subito. L’altro elemento è la reintroduzione dei vaucher, misura su cui la Bellanova era assolutamente d’accordo”.

Una misura secondo voi indispensabile?
“Non c’è proprio dubbio. Le crisi impongono elasticità mentale e rapidità di decisione. In una pandemia come questa si può benissimo decidere di introdurre a tempo i vaucher, il mezzo più pratico ed efficace per salvare i nostri raccolti. I lavoratori servono adesso, non tra una settimana, un mese, o, peggio, dopo l’estate. Abbiamo calcolato che in aprile abbiamo perso oltre mezzo milione di giornate di lavoro e altrettante ne perderemo a maggio. La situazione è paradossale: i prodotti ci sono, ma non vengono raccolti e messi sul mercato solo per una scelta ideologica”

Quali sono le conseguenze di questa scelta.
“Due. La prima colpisce le fasce più deboli della popolazione perché inevitabilmente i prezzi tendono ad aumentare. Già abbiamo visto come questo fenomeno sia in atto e questo non dipende da speculazioni ma dal fatto che manca il prodotto. La seconda è che senza lavoratori non possiamo neanche organizzare il nostro export agricolo che costituisce un fattore molto importante nella bilancia dei pagamenti. Conquale risultato? Largo agli altri paesi europei come la Spagna e la Grecia che non sifanno i nostri problemi o quelli del Mediterraneo”.

Insomma per la nostra filiera agricola si prospetta una vera catastrofe e tutto per uno scontro politico-ideologico dentro il governo.
Mi pare evidente.

Come valutate l’azione del governo nei confronti del settore agricolo in questa crisi sanitaria?
“Non giudichiamo le intenzioni ma gi effetti pratici. Il problema delle aziende agricole è la mancanza di liquidità. Non dimentichiamo infatti che tutto il settore Horeca è stato chiuso da un giorno all’altro, i pagamenti sono stati bloccati mentre le spese vive restano tutte. I lavori nei campi devono comunque andare avanti. Ad essere penalizzata soprattutto la nostra agricoltura di qualità. Ma poi dobbiamo pensare agli agriturismi, un asset fondamentale in tutte le regioni italiani, presenti anche nelle zone interne che non hanno altre risorse. Il settore zootecnico è andato in difficoltà, pensiamo a quello bufalino per eccesso di scorte che non possono venire smaltite visto che bar, pub, ristoranti e trattorie sono chiuse. Insomma, una delle due gambe su cui cammina il nostro paese rischia di restare azzoppata”.

C’è un rimedio concreto alla crisi di liquidità?
“Anche qui bisognava eliminare la burocrazia. Basterebbe assegnare i crediti fino a 5 milioni all’Ismea che si occupa solo di questo settore invece di passare attraverso la Sace che è ingolfata di pratiche”.

E adesso cosa farete?
“Non ci arrendiamo certo, la ragione e il buonsenso sono dalla nostra parte. I nostri interessi sono quelli dell’Italia.”


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