di Francesco Aiello
«Oggi ci sono decine di bravi cuochi, capaci di eseguire buoni piatti, ma organizzare e dirigine una cucina in maniera efficiente è tutta un’altra cosa e pochi sono in grado di farlo». Parola di chef. Per tutti, giovani e professionisti maturi, nuove promesse e cuochi affermati, talenti in cerca di notorietà e star dei fornelli pluripremiate, è lui a incarnare il prototipo dello chef. De cuisine, ça va sans dire.
Così, Enrico Cosentino, nato ad Amalfi e ormai sorrentino di adozione, continua il suo lavoro di scopritore di cuochi e gran consigliere di ristoratori che fanno cucina italiana in ogni angolo del mondo, da New York a Dubai, passando per Roma, circondato da una considerazione e rispetto che non conosce eguali nel settore. D’altra parte il suo curriculum parla chiaro.
Poco più di sessant’anni, dei quali cinquanta passati nelle cucine e trenta ad insegnare nelle scuole alberghiere. In mezzo la prima stella michelin della Campania conquistata con Angelo e Franchino Dipino alla Caravella di Amalfi e la creazione degli ormai famosi scialatielli, la pasta fresca ormai entrata nella tradizione della cucina marinara del sud che gli valse il premio Entremetier del concorso internazionale di cucina nel 1978.
E poi la guida come executive chef dei ristoranti del Quisisana di Capri, il titolo di Gran Maestro della Cucina Italiana e la nomina nell’ Euro-Toques. Infine, il ruolo di maestro per almeno tre generazioni di cuochi della penisola sorrentina e della costiera amalfitana, anche famosi, che a lui si rivolgono quando c’è una cucina di impostare o anche solo un menù da mettere a punto.
Per non parlare dell’attività di talent scout per tanti cuochi in cerca collocazione. «Sono fermamente convinto che, in particolare in un momento di notorietà come quello che sta attraversando la cucina italiana, ci sia bisogno di rimettere in ordine tra le competenze che deve avere un cuoco. Personalmente ritengo che, soprattutto in una zona ricca come la Campania, un approfondimento su quella che è la tradizione regionale dovrebbe far parte del bagaglio di chiunque cucini. Può sembrare paradossale ma verifico quotidianamente che così non è», sottolinea Cosentino.
Non a caso, infatti, in molte cucine della Campania risuona una sua frase, rigorosamente in lingua napoletana, ormai divenuta famosa: «torneranno ad avvolgere braciole, ammesso che sappiano farlo». Ben più di un ammonimento per i tanti sedicenti cuochi concentrati sull’estetica dei piatti e abituati a misurare il valore di una ricetta dal numero di “like” su Facebook. Inevitabile che il discorso dalle ricette passi ai prodotti che caratterizzano la proposta gastronomica dei ristoranti.
«Tranne poche eccezioni valide mi imbatto con frequenza in ricette che prevedono l’uso di prodotti estranei alla nostra tradizione per i quali non è stato neppure avviato un serio lavoro di conoscenza. In questo modo si rinuncia, offrendo tra l’altro un’alternativa modesta, anche a sfruttare le materie prime locali che rappresentano motivo di attrazione per i turisti di tutto il mondo» aggiunge Cosentino.
Ecco perché tra i cuochi che lo chef considera più vicini al suo modo di intendere la cucina e che, nonostante il successo raggiunto, continuano ad avvalersi dei suoi consigli ci sono Michele Deleo, oggi alla guida del Rossellinis di palazzo Avino a Ravello, e Peppe Aversa, del Buco di Sorrento.
In entrambi i locali, infatti, la proposta gastronomica interpreta con gusto e sensibilità moderne le grandi materie prime del territorio, riuscendo ad essere comprensibile ed apprezzata anche per la clientela straniera. Dunque tecnica, tradizione e semplicità come linee-guida per una cucina concreta e non autoreferenziale. «Se è vero che la scuola purtroppo non prepara adeguatamente a questo lavoro, deve far riflettere tutti coloro che hanno a cuore le sorti della cucina italiana il fatto che purtroppo ci sono tanti ragazzi che pensano di poter fare i cuochi senza avere basi tecniche solide. A tal proposito credo che la eccessiva esposizione sui mezzi di comunicazione di massa possa indurre i più giovani all’equivoco di avere come obiettivo la notorietà piuttosto che la professionalità», conclude Cosentino.
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