Nel film Harry ti presento Sally, Jess (interpretato da Bruno Kirby) in una delle frasi che hanno reso “cult” questo film dice: “I Ristoranti per gli anni Ottanta sono ciò che il teatro era per gli anni Sessanta”. Sicuramente questa considerazione ha dei fondamenti di verità, la spettacolarizzazione dei grandi ristoranti, il provare a coinvolgere sempre di più l’ospite, il provare a rendere ogni esperienza unica e indimenticabile. In questi anni viviamo questa considerazione come non mai, per fortuna aggiungo io. Se andare nei grandi ristoranti è come andare a teatro, sicuramente l’Eleven Madison Park è il teatro più bello del mondo. L’ambientazione, il fascino, la cura del dettaglio fanno di questo ristorante un luogo che difficilmente si riesce a scordare nella vita.
Una ottantina di posti a sedere, una sala centrale, i soppalchi, il grande bar sulla destra dell’ingresso, il soffitto altissimo, la porta girevole all’ingresso che fa molto “Colazione da Tiffany”. Come a dire se ti catapultassero senza sapere dove, come e perché, saresti sicuro di essere a New York, magari in un film degli anni ’60, dove potresti incontrare Frank Sinatra o Dean Martin con il loro cocktail in mano.
A questo grande fascino, si aggiunge un servizio di sala al top nel mondo, che per presenza, mai invasiva o troppo asfissiante, ma sempre costante, fatto di tante piccole attenzioni e premure, di professionalità e cordialità, con un mantra sempre ben preciso a tutti, perché la parola d’ordine quando un cliente chiede qualcosa è la stessa per tutti: “No problem”.
Ho provato a contare quanti fossero in sala, mi sono sempre perso, spuntavano dappertutto, sempre sorridenti. Il coinvolgimento dell’ospite, il più possibile, è la base di tutti i ragionamenti del ristorante, dal giro in cucina per mangiare un gelato dopo gli apetizer, fino al giochino finale di provare i cioccolatini e indovinare con che latte sono stati fatti.
Un modello vero e proprio, vincente, perché oltre ai risultati di guide e critici, lo dicono i numeri, i coperti fatti, il tempo di attesa per avere un tavolo. Lo chef exetuvive è Daniel Humm, svizzero di nascita, 40 anni, ci ha accompagnato nel giro in cucina, anche lui prende parte alla rappresentazione teatrale, non solo con la sua cucina.
La cucina di Daniel è Newyorkese come quella di Massimo Bottura è italiana. Questa è stata la grande rivoluzione della cucina moderna, la cucina di Gaston Acurio è peruviana, quella di Alex Atala è brasiliana e così via, non c’è più un paradigma preciso, imposto dalle grandi cucine francesi, che prevede ingredienti e tecniche comuni a tutti per definire la qualità.
La cosa che più mi ha stupito è stato il rispetto della stagionalità di questa cucina. La primavera con gli asparagi i piselli, le fave, una primavera newyorkese con i suoi colori ed i suoi sapori a dimostrazione che le grandi cucine in giro per il mondo sono distinte sempre di più dal mondo vegetale, sempre restando legato alla “BigApple”, valorizzando i piccoli artigiani delle “farmers” e i prodotti locali.
La tecnica è un mezzo, non il fine, serve ad alleggerire e rendere elegante qualche ingrediente, mai ostentata e mai messa al “centro”. I prodotti sono “veri”, chi è abituato, come me che vengo dalla campagna, a mangiare prodotti saporosi, non resterà affatto deluso.
La parte iniziale della cena è molto divertente, gli starter sono calibrati, freschi e non pesanti.
Il piatto della serata, a detta di tutto il tavolo è stato il luccio. Le note vegetali esaltavano il pesce, senza coprirlo. L’eleganza, il tratto distintivo del piatto, anche nella presentazione, mai facile da trovare quando parliamo di pesci di acqua dolce.
l’intero menù ha una “musicalità”, un modo di scorrere piacevole, crescendo sempre nei sapori, dove la nota vegetale è sempre il vero leitmotiv. Cresce l’intensità dei piatti, cresce anche l’intensità della nota vegetale.
Le main course, invece le abbiamo trovate si buone, ma un filino meno emozionanti delle portate precedenti. Questo però non ha minimamente intaccato la nostra esperienza, di assoluto riferimento.
I dolci sono in linea con le mode attuali, zucchero al minimo sindacale, acidità anche qui sempre cercata, un fine pasto che deve aiutare la digestione e non appesantirla.
Conclusioni
Uno dei migliori ristoranti del Mondo, senza se e senza ma, esperienza da fare almeno una volta nella vita (spero di tornarci presto, sento già la nostalgia). New York, non quella dello street food, degli hamburger e del cibo spazzatura, quella della qualità, vede nell’Eleven Madison Park il proprio faro.
Eleven Madison Park
11 Madison Avenue, New York, NY 10010
001 212.889.0905
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