Ehi tu, si proprio tu: sei un ristoratore o un rivenditore di Selecta, Longino e Jolanda de Colò?

Pubblicato in: Polemiche e punti di vista
mercanti nel tempio

mercanti nel tempio

di Luciano Pignataro

Chilometro zero o prodotti Selecta, Longino e Jolanda? Come al solito le discussioni sul web degenerano perché non c’è l’inibizione fisica del confronto faccia a faccia e anche i gatti diventano leoni.
La questione che solleviamo parte da un assunto fondamentale: devono essere il grande cuoco, il grande pizzaiolo a decidere quali prodotti usare mentre è sbagliato il caso in cui sono i prodotti a indirizzare le scelte di un ristoratore o di un pizzaiolo.
Naturalmente si può decidere, per motivi economici, per comodità, o anche per ignoranza e magari in cambio di qualche viaggio spesato nello Champagne o nella speranza di partecipare a congressi gastronomici ipersponsorizzati, di fare le compere al catalogo invece di selezionare i propri fornitori. E’ una scelta legittima, ma che non ci emoziona perché va in direzione dell’omologazione contro il valore della biodiversità che è la vera ricchezza a tavola oltre che nella vita.
Quando si è ad alti livelli non è la tecnica a fare la differenza, ma la capacità di distinguersi nella scelta dei prodotti. La tecnica non crea l’identità a meno che non sei un genio con Adrià o Alleno, come un cellulare non forma le idee, è uno strumento che bisogna sapere usare ma se a questo non si aggiunge la conoscenza del territorio oltre alla creatività non si ha il giusto valore aggiunto da proporre nel piatto.
Naturalmente oggi nel mondo globalizzato il cibo viaggia in modo veloce e compulsivo come mai era accaduto dalla scoperta dell’America in poi. Ma questo è un altro discorso perché come non possiamo essere rigidi come coloro che comprano solo dai cataloghi al tempo stesso dobbiamo ammettere che l’altra faccia della medaglia è la visione rigida del chilometro zero e della cristallizzazione dei piatti della tradizione.

Noi siamo contro questi due estremismi ma sottolineamo che per il secondo estremismo, quello del chilometro zero, abbiamo più simpatia perché è una giusta reazione alla spaventosa ondata di omologazione iniziata negli anni ’60 e proseguita sino alla fondazione di Slow Food che ha dato un altolà psicologico e culturale a questa deriva mercantile e che è alla base di tutto il pensiero moderno del cibo. Oggi l’idea della ristorazione che vince è quella che tiene i piedi piantati nella tradizione e lo sguardo sul mondo.

Ovviamente le situazioni sono diverse, Milano non è Ostuni, ma dobbiamo anche chiederci perché in una città che vive su una piattaforma di cemento come New York la tendenza è verso i mercati dei contadini che non usano ogm e additivi chimici nella coltivazione.
Molto semplice: perché in questo modo i prodotti sono più sani e al tempo stesso più buoni. Ed è sempre di più in questa direzione che si sta andando a prescindere dalle ideologie vegane e vegetariane.

Dunque per noi il bravo ristoratore oltre a conoscere la tecnica ed essere aggiornato su quello che succede nel mondo è un bravo selezionatore di prodotti, può anche usare quelli delle marche citate sopra senza però farsi condizionare nelle scelte del menu.
Quando dico questo ho in mente una persona che fa questo lavoro da trent’anni ed è poco conosciuto fuori dal circuito gastronomico: Giulio Cantatore a Ruvo di Puglia dove si trova di tutto, dalla mortadella al provolone, dal salume alle olive, tutto il meglio che produce il nostro paese. 

Ma ho anche in mente Alfonso Iaccarino che nel lontano 1988 invece di farsi fotografare in cucina si proponeva con una cena di ortaggi al mercato.

Perchè combattiamo l’ideologia del catalogo? Intanto perché siamo contro la noia e mangiare la stessa guancia di vitello da Aosta alle Nebrodi o l’agnello neozelandese nella Murgia è sicuramente una cosa noiosa. Poi perché non solo porta all’omologazione del prodotto, ma anche dei menu: vedete nel corso degli anni come molti locali propongono le stesse ricette senza distinzione. Mangiare in questi posti è come fare sesso a pagamento.

Noi capiamo che dietro la filosofia di chi ostenta questi prodotti senza cercare la qualità sul proprio territorio, tradendolo e rinnegandolo, c’è una forte volontà di guadagno più che amore per il proprio lavoro. Infatti questi prodotti come sono acquistati dai cataloghi possono essere rivenduti ai clienti che li chiedono magari triplicandone il prezzo. Un po’ come accade per la vendita del vino. Non  fidatevi di chi tiene Champagne e Borgogna e neanche un Dolcetto.
E’ l’eredità degli sboroni degli anni ’80, gli yuppies della Milano da bere di craxiana memoria.

Capiamo questa filosofia mercantile ma, come si dice, non è qui l’emozione che può dare una ristorazione di alta qualità. E neanche una buona e onesta trattoria di servizio.
Usate i mercanti, ma non fateli entrare nelle vostre cucine.

 


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