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Oggi vi parlo di una società che, come un grande sarto, conoscono solo gli intenditori veri. Perché parto da una domanda semplice semplice: non è la Terra a girare attorno al Sole? Si parva res licet componere magna, proviamo anche noi a rovesciare la prospettiva con cui in genere la critica gastronomica guarda le cose: e se fosse proprio la banchettistica la vera cartina da tornasole della qualità, il traino della filiera agroalimentare, il modo per considerare un territorio a tavola? Si consumano dispute e amicizie a discutere di stellati, pagine, video e tag dedicati ai ristoranti di 40, 50 posti, in Italia unanimente giudicato il numero giusto per avere alta, altissima qualità a tavola, ma cosa dire invece delle grandi cerimonie, del banqueting di rappresentanza, della convegnistica? Dobbiamo partire dal presupposto che in ogni caso non si proveranno emozioni, non crescerà la conoscenza, non si avrà piacere? In fondo, il problema del rapporto tra piccoli e grandi numeri con l’essenza dei prodotti può sicuramente essere traslato anche nel vino dove viene spesso data per scontata la migliore qualità quando le dimensioni sono a misura d’uomo, memo per il detto sulla botte piccola. In realtà non sempre l’aumento della dimensione vuol dire perdere particolari, i casi della pasta, del parmigiano o delle conserve da questo punto di vista sono tassativi perché l’industria ben fatta non ha nulla da temere dai laboratori artigianali, anzi li mette in riga. E la qualità alla fine si misura proprio con l’abilità del produttore di misurarsi sempre più in grande senza dover barare sulla materia prima: il Montevetrano è passato in quindici vendemmie da 3000 a 30000 bottiglie ma nessuno ha mai potuto affermare nulla sullo sfumare della complessità e delle emozioni, anzi, direi il contrario. Del resto i grandi numeri a volte sono il vero biglietto da visita di un territorio e della sua capacità di far fronte alla domanda di consumo. Pensavo questo quando, esattamente dieci anni fa, seguii come redattore economico la convention della Stet (allora così si chiamava la società telefonica pubblica) a Castel dell’Ovo a Napoli dove i greci fondarono il loro primo insediamento. Le partecipazioni statali sono state l’ultimo scampolo di Prima Repubblica e in quella occasione non si badava a spese: ministri, manager, giornalisti, circa 800 persone ogni giorno pranzarono su quelle terrazze dove si ammira Capri e si intravede l’ingresso principale del Paradiso, collocato per chi non lo sapesse tra l’Isola di Tibero e Punta Campanella.
Fu allora che conobbi una giovane società ebolitana che stupì tutti: delle cazzate esaminate in quei convegni non è restato assolutamente nulla, non la stessa possiamo dire per alcune innovazioni oggi considerate normali e che allora choccarono i partecipanti, come portare il casaro e produrre la mozzarella facendola mangiare calda, la tecnica della frittura del pesce azzurro, il fiorire di primi piatti caldi. Fu quella una delle più importanti promozioni mai avute dalla Campania perché su quelle terrazze si mangiò per tre giorni molto meglio che nel 99 per cento dei ristoranti italiani. Da allora il patròn di questa società, Emidio Trotta, ne ha fatta di strada: basta uno sguardo al suo sito per vedere i suoi clienti, non ultimi l’Espresso e il Gambero Rosso, ove si tace del matrimonio di Franco Ziliani della Berlucchi, delle cene dei ministri a Roma e negli alberghi a Montecarlo, perché l’elemento vincente di questo lavoro è anche l’assoluta discrezione su come si comportano le persone che contano nel mondo. Emidio ha le sue origini professionali nell’albergo di famiglia, l’Hotel Grazia di Eboli, dopo una esperienza per proprio conto in un albergo di Agropoli, si è lanciato in questo settore. Oggi l’azienda ha cinque milioni di fatturato, ha una sede nuova di zecca in cui la struttura moderna fa da contraltare a pezzi di antiquariato e quadri importanti, i laboratori di formazione ne costituiscono il cuore quanto lo stoccaggio, ed è in grado di organizare un evento in qualsiasi parte dell’Italia oltre che in Francia dove a breve sarà a Cannes. L’impatto con l’alta qualità Emidio lo ebbe gestendo il ristorante di famiglia nel quale introdusse i migliori produttori italiani, lo scandalo del metanolo era ancora vivo nella memoria della gente, il suo maestro è stato Luciano Caterina, un agente di vino che gli ha trasmesso una visione maniacale dei prodotti: mangiava ad esempio esclusivamente i ceci prodotti in provincia di Matera e per procurarseli faceva viaggi da 300 chilometri. Era un esperto vero e raffinato, non come alcune bestie per fortuna in via di estinzione che non credendo nella loro terra hanno fatto di tutto per evitare l’affermazione dei vini di qualità meridionali pur di continuare a vendere le loro griffe ormai ingiallite.
Entrando nel mercato dei banchetti, Emidio ha scelto di posizionarsi appena un poco al di sopra della media, vuoi nella scelta dell’hotellerie, vuoi appunto nella selezione dei prodotti: è lui a sostenere, tanto per fare un esempio, la rinascita del fagiolo a formella e della morzella vesuviana, così come gran parte della produzioni vitivinicola campana di qualità, visto che siamo nell’ordine di almeno centomila coperti l’anno, la media di almeno un evento al giorno.
In Italia non ci sono più di altri due competitor dello stesso livello, cito a memoria il Salsa di Pisa. Dunque la filosofia gestionale porta ad interfacciare sia con il livello medio, cioé quando ci si accontenta di avere buona qualità, sia quello massimo, del gourmet sofisticato in cerca del podolico stagionato come della colatura di alici di Cetara: non c’è un solo alto ristoratore che non conosca InTavola, direi anzi che solo se hai raggiunto un buon livello di espressione professionale riesci ad ad averne bisogno. La festa di Gennarino a Vico Equense ha la sua impronta organizzativa, come pure la presenza Campana a Slow Fish. Emidio lavora con il 90 per cento di prodotto campano, e questo è uno dei suoi punti di forza perché la ricchezza della tradizione gastronomica napoletana, integrata dal parmigiano e dal prosciutto emiliani e forse dal pesto ligure, è tout court la tradizione gastronomica italiana in quanto Milano e Roma hanno da poco, in termini storici, sopravanzato Napoli come mercato di consumo e di selezione delle materie prime oltre che di elaborazione dei prodotti.
Dalla pasta al caffé, dalle verdure al limoncello, dalla mozzarella alla pizza, Napoli è al cibo come la Toscana alla lingua, Milano al business, il Piemonte alla capacità organizzativa. Luoghi comuni? Anche, ma sicuramente la gastronomia campana costituisce un punto di forza, fa tornare bambini perché parla al ventre oltre che ai sensi: mi si raccontava di grandi industriali che rubavano i fichi ‘mpaccati nel Cilento a tavola pur avendo disponibilità di comprare tutta la produzione mediterranea. Dunque la mia risposta alla domanda iniziale è proprio chiara: i grandi numeri non fanno qualità, ma neanche i piccoli, è invece la qualità a creare i grandi numeri e ad accontentarsi dei piccoli.
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