di Carmen Autuori
“Si l’annata è ghiuta justa, ci verimmo quann’è austo”. E’questo un modo di dire diffuso tra la civiltà contadina, soprattutto dell’entroterra campano e racchiude una sorta di codice non scritto, un contratto agrario vero e proprio, che dettava le regole dei rapporti economici tra mezzadro e proprietario del fondo: in altri termini i bilanci si facevano ad agosto quando la natura aveva dato i suoi frutti, soprattutto il grano che insieme all’olio, ha da sempre garantito la sopravvivenza.
Dopo la mietitura non restava che preparare il terreno al nuovo raccolto con l’aratura dei campi e la semine delle colture invernali mediante la bruciatura delle stoppie la cui cenere avrebbe fertilizzato la terra. Era un grano diverso, sicuramente con una resa minore ma dai valori nutrizionali decisamente superiori. Prima di queste operazioni, i pastori vi portavano al pascolo le pecore, essendo un’ottima occasione di ingrasso del gregge. La pratica non era esente da rischi in quanto, molto spesso, accadeva che qualche frammento di spiga tagliata restasse conficcato nella gola dell’animale, condannandolo a morte certa e, di conseguenza, rendendone inutilizzabile la carne. Per evitare tutto ciò, il pastore non appena sentiva il caratteristico rantolo dell’animale che tentava di liberarsi dal corpo estraneo, provvedeva prontamente ad abbattere la pecora e a farne una grande pignata. Questa inusuale abbondanza di materia prima, immediatamente dava origine ad un importante momento conviviale, magari in aperta campagna: erano i tempi in cui la carne si mangiava solo nelle feste solenni.
In sostanza il piatto veniva preparato quando il bestiame moriva per cause accidentali. Poteva accadere, quindi, che la pecora morisse di parto oppure per una caduta in un burrone ma anche per malattia ed in quest’ultimo caso non mancano testimonianze in cui sebbene il veterinario ne vietasse il consumo, la carne degli animali venisse comunque cucinata dopo aver subito un trattamento di “sanificazione” costituito da una lunga immersione in acqua e aceto o altre pratiche simili. Per fortuna queste pratiche oggi sono solo un lontano ricordo e la ricetta viene realizzata esclusivamente con carni certificate provenienti da animali sani.
La ricetta, pur essendo costituita più o meno dagli stessi ingredienti (carne di pecora e verdure aromatiche) assume nomi diversi secondo la zona in cui viene preparata. Così, in Puglia, abbiamo la pecora alla Rizzola tipica dell’Alta Murgia, mentre in Abruzzo si usa chiamarla alla callara, pastorale o cutturidd è invece nome tipico della Lucania e delle zone campane a confine con la Basilicata, nonché del Cilento più interno.
La ricetta che segue ci è stata lasciata da Rosa Cestari, detta ‘a pattanese, storica cuciniera di Montesano sulla Marcellana, ultimo paese della provincia di Salerno, a confine con la Basilicata. Rosa, sin dagli anni Cinquanta, gestiva un’osteria in casa, una sorta di home restaurant ante litteram, dove proponeva i piatti tipici della cultura contadina tra cui proprio la pecora alla pastorale molto apprezzata dagli avventori.
La preparazione di questo stufato non è difficile, sebbene richieda un lungo tempo di preparazione. Si tratta di un piatto davvero succulento a patto che si abbandonino tutti i pregiudizi verso questo tipo di carne e ci si lasci trasportare dai sapori e dagli odori più autentici della nostra terra.
Ricetta di Rosa Cestari
3,5 Kg di pecora
2 grosse cipolle
5 spicchi d’ aglio
1grosso ciuffo di prezzemolo
3 peperoncini piccanti (indispensabili)
400 g di pomodori pelati
8/10 patate grosse , sale qb
Procedimento
In una grossa pentola far bollire la pecora con abbondante acqua, dopo averla ben lavata e privata da pelle e grasso in eccesso per almeno un’ora. Questa operazione è importantissima per eliminare eventuali odori troppo forti e per rendere più tenera la carne . Gettare l’ acqua di cottura e ripetere il procedimento.
Rimettere la carne nella pentola, riempire per 3/4 di acqua, aggiungervi tutti gli odori tagliati a pezzi grossolani tranne le patate. Far bollire dolcemente per altre 2 ore. A questo punto sbucciare le patate e, intere, aggiungerle alla preparazione. Una volta cotte è pronto pure lo stufato che va servito ben caldo.
Il piatto deve risultare non troppo brodoso ed è ottimo accompagnato da fette di pane casereccio leggermente tostato.