di Roberto Giuliani
La casa vinicola Duca di Salaparuta ha origini centenarie: nata nel 1824 da un’idea di Giuseppe Alliata, Principe di Villafranca e Duca di Salaparuta, diventata celebre sotto la conduzione del suo pronipote Duca Enrico, fu ceduta alla Regione Sicilia, quindi divenne pubblica fino al 2001, anno in cui è stata acquistata dalla ILLVA di Saronno.
Nel 2003 torna siciliana con la nascita della Duca di Salaparuta S.p.A. della famiglia Reina, che con i brand Corvo e Florio, diventa il primo gruppo vitivinicolo privato della Sicilia.
Ma veniamo al vino: il Duca Enrico è nato nel 1984 come primo nero d’Avola in purezza e possiamo dire che è stato uno dei principali apripista del vino di qualità nella regione.
Quanto tempo è passato da quando ho acquistato questa bottiglia, se non sbaglio era il 1999. Devo dire che una certa preoccupazione nell’aprirlo l’ho avuta, non solo perché sono passate 26 vendemmie e si tratta di una 1992, ovvero non un’annata passata alla storia per qualità, ma soprattutto perché temevo sulla tenuta del tappo. Invece, come potete vedere dall’immagine allegata, ha retto benissimo, circa la metà non è stata raggiunta dal vino. Sfilarlo non ha creato problemi e l’odore non ha nulla di sospetto.
Purtroppo, dopo quasi vent’anni di conservazione in cantina, si è persa la fascetta in basso che dichiarava l’annata, ma per fortuna è scritta sul sughero.
Non ricordo bene quali fossero le regole dei disciplinari allora, ma oggi è certo che un vino da tavola non può riportarla in etichetta.
Scendiamo nel dettaglio: ottenuto da basse rese (erano già i tempi in cui si lavorava per produrre di meno e aumentare la qualità dei vini), ha subito una lunga macerazione ed è maturato un anno in barriques e tonneaux di Tronçais.
Alla vista è impressionante notare la tenuta di colore, siamo ancora su un granato pieno, di buona profondità, solo all’unghia si nota una sfumatura mattonata.
L’impatto olfattivo, dopo opportuna ossigenazione, manifesta note di tabacco in foglia, cuoio, muschio, prugna secca, un velo di cenere e polvere da sparo, humus, persino menta.
Al palato si coglie bene la nota terziaria e puoi immaginare un’età intorno ai 15-18 anni, questa è la sua condizione, grazie anche a una base acida che si è mantenuta intatta e supporta un sorso ancora piacevolmente fruttato; spuntano i fiori macerati, addirittura la scorza d’arancia essiccata, solo sul finale emerge una tonalità ossidata, ma al momento è contenuta e non disturba affatto. Fra l’altro ho aperto il vino da poco e, man mano che si ossigena, sembra assestarsi e aprirsi ancora di più.
Un bel risultato, tenendo conto che si tratta di un millesimo minore, che dimostra quanto avessero lavorato bene e quali incredibili potenzialità possa avere il nero d’Avola allevato nel modo giusto.
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