di Marco Galetti
Sensazione sgradevole, mi imbatto in una recensione, chiamiamola così, è il compitino di un competente che difende, senza crederci davvero, l’indifendibile, recensione che collochiamo nel 2016 senza nomi, né indicazioni ulteriori, è il concetto che mi interessa, perché la gente che legge, poi ci crede, viene naturale farlo, anche ai più smaliziati e diffidenti, carta canta e la musica si lascia ascoltare.
Hanno parlato male di me, affermano che io cucini pesce decongelato
L’hai letto da qualche parte o sono frasi supposte ?
Sono supposte, COMUNQUE.
Bad news travel fast, per questo si dovrebbe sempre fare attenzione a far correre i polpastrelli sulla tastiera, cercando di ricordarsi che da una parte c’è il lavoro del ristoratore e del suo gruppo di lavoro e dall’altra c’è chi, leggendo una recensione, decide o meno se andarci da quel ristoratore.
Se la critica viene fatta in forma privata, verbalmente e direttamente allo chef o al responsabile di sala, non credo ci sia nulla da eccepire, anzi sarebbe sbagliato non farlo, ci sta anche una mail chiarificatrice a piatti digeriti, magari non del tutto.
Per il rispetto che devo a me stesso non faccio certo buon viso a cattivo cuoco, se me la sento dissento, nonostante altri “autorevoli riscontri” se chiediamo un risotto all’onda e ci arriva sotto forma di “mappazza”, spiaggiato con l’ultima onda, non credo si debba aspettare l’alta marea per una protesta civile.
Per quel che mi riguarda ho sempre risolto, se tentano di assegnarmi un tavolo in posizione improponibile, risolvo, se mettono erroneamente nel mio conto un piatto mai ordinato e depennano con supponenza invece di scusarsi, risolvo, i miei conti tornano, al limite non ci torno io.
Se la recensione viene fatta in forma pubblica il discorso è diverso, delicato e al contempo spinoso, soprattutto da un punto di vista etico, chi scrive dovrebbe cercare anche di offrire un servizio pubblico che, proprio perché pubblico, necessariamente deve differire, almeno nel tono e nella forma da quello di una conversazione tra amici.
Si deve sempre cercare di non screditare pubblicamente un locale e, al contempo, mantenere l’onestà intellettuale indispensabile per chi scrive in modo che chi decida di recarsi in quello stesso locale, trovi riscontro con quanto esposto nei canali informativi.
Il discorso abbraccia tutto il mondo enogastronomico, ma le difficoltà maggiori si riscontrano con i solidi, di più difficile digestione, quando stappiamo una bottiglia, non abbiamo certezze e, non dovesse andare bene, non proviamo alcun imbarazzo, la facciamo sostituire e proseguiamo il percorso gustativo, solitamente davanti a noi non c’è quasi mai il produttore o l’enologo, se ci fosse, si supera il problema con una frase ad effetto, bottiglia non significativa.
Il ristoratore facendo da interfaccia ci mette volentieri la faccia, di norma si risolve, se un vino risulta imbevibile la colpa sembra sia di un’entità, stappiamo un’altra bottiglia contenti di notare le differenze, il lavoro di un’annata rimane, vedi quest’altro come si è evoluto in modo diverso, ci sentiremo dire…cosa più difficile da fare con un risotto che non riesce a fare surf perché ha perso l’onda o con rombo che ha perso le sue geometrie.
Se un piatto è squilibrato o addirittura immangiabile, il colpevole non è un’entità, è di là in cucina, è lo chef che oggi cucina per noi ma deve poter continuare a cucinare per altri perché quello è il suo lavoro.
Poche categorie di lavoratori sono così soggette a critiche pubbliche e scritte, difficilmente in rete leggeremo, sono stato in banca (segue nome della banca), la cassiera (segue nome e cognome) ha svolto male il suo lavoro, poi ho comparto la frutta da Fruttolo, il proprietario alfa beta, sembrava analfabeta, ho chiesto delle pere, nel sacchetto ho trovato solo mele marce.
L’ideale sarebbe saper scrivere tra le righe, riuscire a dire, in punta di forchetta, quel che sarebbe da dire con una mazza da fabbro, ma il rispetto per il lavoro degli altri, almeno pubblicamente, deve prevalere.
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