di Luciano Pignataro
Che cosa fa il FodLab? Cerca di realizzare idee alle quali la nostra tecnologia non è ancora arrivata. Ad esempio: l’utilizzo di nuove tecniche di agricoltura imposte dalla siccità in diverse parti del mondo e quindi anche un nuovo approccio gastronomico agli alimenti; studiare come prodotti che erano cotti in maniera tradizionale possono cambiare attraverso l’introduzione di tecnologie avanzate; oppure l’abbinamento tra diverse materie, come gli insetti e le alghe marine. Il pensiero dei cuochi non sempre ha strumenti tecnologici per essere realizzato: il FodLab ha appunto questo nuovo obiettivo. Come il volo che immaginò Leonardo, il quale capì che era una cosa possibile ma per realizzarla è stato necessario aspettare qualche secolo.
Copenhagen, grazie al movimento iniziato da René Redzepi, con il Noma è diventato un riferimento mondiale per il cibo: tanta tecnica, ma anche visione umanistica per dei menu che parlano di compatibilità ambientale, recupero di materia prima ormai diventata di scarto nelle opulente società occidentali, gestione del risparmio delle risorse. Se gli spagnoli hanno rotto gli schemi imposti dalla Francia, il vento del Nord Europa ha portato una ventata etica che adesso inizia a far capolino anche in Francia e in Italia.
Per pensare nuove soluzioni tecniche e rivedere il modo di portare la materia a tavola, Renè Redzepi avviò il suo laboratorio nel 2008, poi divenuto Nordic Food Lab nel 2014 all’Università delle Scienze nel centro di Copenhagen dove ben presto un giovane sardo, Roberto Flore, ha avuto un ruolo da protagonista. Ogni anno si è aperto un bando internazionale per selezionare i progetti di ricerca, e, dopo un’accurata selezione, i prescelti entrano nel programma di ricerca che copre i costi della ricerca ed offre loro un supporto economico. I ricercatori avevano accesso alle attrezzature del laboratorio, a quelle all’avanguardia dell’università e potevano interagire con gli altri integrando le competenze multiple necessarie a condurre una ricerca.
Questo metodo interdisciplinare si è trasferito allo SkyLab della Danish Technological University, la più importante università europea di ingegneria, una delle prime al mondo, fondata nel 1826. La domanda viene spontanea: cosa c’entra il cibo con gli ingegneri? La risposta viene proprio da Roberto Flore, manager del Food Lab creato alla fine si settembre nella stessa struttura: «Applichiamo – dice – un metodo rigoroso e trasparente interdisciplinare che non è aperto solo a cuochi, può capitare di trovare nel team di lavoro filosofi, fisici, chimici. Lo scopo delle ricerche è studiare delle soluzioni per la alimentazione da mettere a disposizione di tutti. La quasi totalità dei progetti di studio infatti, vengono condivisi in open source. Attenzione, si tratta di un allargamento della visione, perché oggi i ristoranti più importanti hanno i loro laboratori di ricerca che studiano e applicano alla tecnica ciò che la migliore tecnologia può offrire. In questo caso invece si parte da un pensiero e si cerca di trovare una soluzione, un prototipo, che se funziona, può diventare poi un oggetto commerciale».
La decisione dell’Università parte da una considerazione politica: la Danimarca si è distinta per essere all’avanguardia nel settore gastronomico negli ultimi quindici anni. Come si deve fare per restare innovatori? Investendo nelle innovazioni.
Dunque pensatoio e cucina, reparto grafico e vero e proprio laboratori. Nello Skylab, aperto nel 2013, si registrano 83mila visite nei primi mesi del 2018 e ci lavorano 25 persone, di cui tre fanno parte del Food Lab. L’Università ha 11mila studenti e tremila tra professori e personale accademico. Giusto per avere una proporzione che in Italia, sappiamo, è molto diversa.
Un problema da risolvere: cosa comporterà il riscaldamento del Pianeta, cosa si potrà coltivare? Come si potrà cucinare per risparmiare energia? Come applicare alla gastronomia questi macroproblemi che riguardano la vita di tutti? Il FodLab, nel campo alimentare, punta a ricomporre questo divisione tra scienza e filosofia. Una direzione che oggi farebbe felice il grande Ludovico Geymonat che a questa ricomposizione ha dedicato quasi tutti i suoi studi. Sinora infatti i consumi alimentari sono stati orientati quasi esclusivamente dalla grande industria, che proprio in Danimarca ha avuto una delle sue roccaforti capaci di fare lobby e di imporre regolamenti europei assurdi e impossibili da seguire per i piccoli produttori. Ora proprio in questo paese c’è la reazione, una sorta di ritorno alle orgini che non è passatismo, reso possibile proprio dalla tecnica.
«La tecnologia – dice Fiore – non è un nemico, non è un mostro. Siamo noi che dobbiamo decidere come va indirizzata e che cosa può servire, il problema è sempre prima politico. I guasti provocati dal tecnicismo hanno insospettito le persone, ma questo è sbagliato. Senza un’alta conoscenza, senza la scienza, è impossibile tornare al biologico e rispettare i processi produttivi compatibili con l’ambiente».
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