di Adele Elisabetta Granieri
Teresa Bruno dà il benvenuto all’Opificio Irpinia, Giovanni Maria Chieffo ripercorre la storia del riconoscimento delle Doc e Docg irpine, Maurizio Petracca ribadisce la necessità di maggiore coesione, Tommaso Luongo elogia l’occasione unica e Stivie Kim brinda al nuovo corso della comunicazione del vino in Irpinia. Così si apre una degustazione memorabile che ha visto protagoniste le tre DOCG irpine, nell’ambito degli Irpinia Wine Days, messe sotto la lente di ingrandimento dai tre Master of Wine italiani: Gabriele Gorelli, Andrea Lonardi e Pietro Russo. Una grandissima opportunità per i produttori irpini, per capire le potenzialità e le criticità e ragionare su cosa si è fatto e cosa si dovrà fare per fare emergere un territorio ancora troppo poco conosciuto a livello internazionale.
Avulsi da ogni tecnicismo, inutile in questa sede, i tre Master of Wine hanno colto l’occasione degli assaggi alla cieca, per affrontare dei temi importanti, come l’identità e la riconoscibilità dei vini e la loro comunicazione.
“Non siamo qui per parlare di tecnicismi, ma per riflettere sulle tematiche di un territorio unico, sugli stili che si devono confrontare con il mercato, sul valore aggiunto degli autoctoni e sull’identità e la riconoscibilità dei vini irpini”, racconta Pietro Russo.
Andrea Lonardi invita i protagonisti del vino irpino a pensare meno alla politica e più al territorio, più ai giovani e meno alla storia e chiosa: “
il vino vive un momento di crisi e la partita si fa più dura, quindi vince solo chi gioca bene e chi gioca in squadra”.
“Venti anni fa è stato fatto un grande lavoro nel registrare delle denominazioni che mettono in luce nel nome il territorio – racconta Gabriele Gorelli – ora è tempo di celebrare il territorio univocamente, senza inutili campanilismi che portano solo dispersione delle energie comunicative”.
Ma cosa si può fare per migliorare il posizionamento del vino irpino? i Master of Wine sono coesi nel sostenere che per far conoscere il territorio e affascinare il consumatore sianecessario creare esperienze legate all’enoturismo e per posizionare bene i vini irpini sia fondamentale la figura del sommelier, capace di fornire delle alternative valide “value for money”, capaci di sorprendere il cliente.
Molti gli elogi al territorio irpino: “È un territorio che può offrire tanto in risposta al cambiamento climatico. L’aromaticità delicata fa pensare a climi freschi, come la tensione acida e salina che allunga il sorso. L’Irpinia ha il sole del sud e la freschezza del clima nordico: è un territorio unico e regala vini espansivi al naso ma tesissimi al sorso, con grandi potenzialità di invecchiamento.” – raccontano a voce unanime. Non mancano però le critiche: “La comunicazione deve essere semplice e immediata, perché il vino altrimenti non genera interesse e allontana il consumatore.
Bisogna costruire il marchio Irpinia e bisogna cominciare dal territorio con i produttori e i ristoratori, facendo lobby per fare emergere il territorio”.
Mentre Fiano di Avellino e Greco di Tufo convincono i tre tenori del vino italiano, per coerenza di stile produttivo, il Taurasi genera non poche perplessità: “L’aglianico è un vitigno difficile, con una componente ossidativa molto importante”, spiega Andrea Lonardi. “È un vitigno assolutamente contemporaneo, perché la vera identità dei rossi italiani è quella di vini con un grande potere tannico, perché acidità e tannini li rendono gastronomici. È vero, non è il vino di questo momento, ma chi ci dice che tra tre anni non ci sarà una contro tendenza, come abbiamo già visto, e che la gente dal mettere il vino rosso in ghiaccio comincerà a ritirarlo fuori e servirlo alla giusta temperatura, che apprezzi l’importanza di avere un vino gastronomico con un piatto specifico?
Il Taurasi ha bisogno di trovare la quadra per dare un’indicazione ai consumatori, perché il panorama produttivo è troppo eterogeneo e questo in un contesto internazionale crea insicurezza. Il consumatore, specialmente quello internazionale, vuole sentirsi sicuro e per sentirsi al sicuro deve sapere che, indipendentemente da quello che sceglie, non sbaglia.
Io penso che l’intento dei produttori debba essere quello di cercare delle versioni di aglianico che esprimano
quel vitigno in quel territorio in quelle determinate condizioni e non cercare di scimmiottare altri stili per guadagnare una vendita di un cartone più.
Rincorrere un mercato, soprattutto in un contesto internazionale dove il profilo dell’aglianico oggi non è ancora riconosciuto
non è l’atteggiamento giusto per costruire valore.”
La conclusione di Stivie Kim, suona da monito: “Questi Master of Wine sono un esempio di coesione e io brindo a un nuovo corso per il vino irpino, affinché i protagonisti finalmente inizino a lavorare nella stessa direzione.”
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