Dopo una lunga serie sulle critiche di vino, il focus si sposta sulla produzione al femminile. Zone di ispirazione, stili produttivi e prospettive: ecco qual è l’approccio delle produttrici italiane.
Come membro dell’Associazione Nazionale Le Donne del Vino mi rivolgo alle produttrici di diverse regioni d’Italia per saperne di più.
Oggi lo chiediamo a Elena Fucci
L’azienda agricola Elena Fucci nasce nel 2000 a Barile quando Elena decide di occuparsi in prima persona della tenuta di famiglia ed evitare che fosse venduta con annessa abitazione. Nonno e bisnonno avevano infatti sei ettari di vigneto e vendevano le uve. Elena decide di occuparsene parallelamente agli studi in Viticoltura ed Enologia condotti presso l’Università di Agraria di Pisa. Inizialmente è affiancata da un professionista esterno poi, dal 2004, lavora in piena autonomia per produrre un’unica etichetta: “Titolo”, immaginato da subito come un cru. Un unico vino per rappresentare al meglio la specificità dell’Aglianico e la territorialità del Vulture. La nuova cantina sorge in adiacenza al corpo storico aziendale, a suo tempo ampliata scavando nella roccia vulcanica, al quale è collegata tramite un tunnel scavato ancora nella roccia secondo i principi della bioarchitettura. Elena è titolare, enologa, agronoma e volto dell’azienda. Oggi lavora su queste colline vulcaniche con il marito Andrea, la sorella minore Sophia, il padre Salvatore nonché il nonno Generoso con le sue 94 primavere.
Quando e come hai iniziato a fare vino?
La mia avventura parte nel 2000 quando si discuteva se vendere o meno i vigneti di famiglia che, appunto, erano del nonno e del bisnonno. Quando scopro che insieme ai vigneti avremmo anche venduto la casa in cui sono nata decido di cambiare percorso. Dopo il liceo scientifico, io mi diplomavo proprio in quell’estate, mi sarei iscritta a ingegneria genetica ma decido di cambiare programma e così mi iscrivo ad agraria per salvare casa e tenuta. Tutto, quindi, parte nel 2000 con la prima vendemmia di 1200 bottiglie da questi sei ettari di vigneto a 6oo metri sul Monte Vulture che erano di nonno e bisnonno per arrivare oggi a vinificare tutte le uve: non compriamo né vendiamo uve, vinifichiamo tutta l’uva che produciamo.
Quali sono i tuoi riferimenti o le tue zone di ispirazione in Italia e all’estero?
Sicuramente in un vino adoro l’eleganza e la finezza, non estrazione e corpo o struttura e potenza quindi mi rifaccio a vini che provengono da territori che offrono e consentono questo risultato. In Italia sono molto legata al Barolo e al Barbaresco e quindi al Piemonte in generale. In Europa, invece, mi rivolgo alla Borgogna più che altro. Amo l’eleganza e la finezza e questo cerco di riportarlo anche nell’Aglianico del Vulture che produco, infatti non mi piace quando l’Aglianico del Vulture viene classificato come “il tipico vino del Sud”. Qui siamo in territori freddi, abbiamo inverni con la neve, estati brevi con forti escursioni termiche quindi da queste parti, nell’entroterra, è molto facile lavorare con l’eleganza, la finezza, l’acidità, la mineralità, caratteristiche che io amo e su cui lavoro per produrre il mio vino.
Credi che lo stile produttivo possa cambiare tra uomo e donna?
Mah, credo di no sinceramente perché credo che lo stile produttivo di un enologo sia plasmato dalle esperienze, dal vissuto, dagli studi: cosa e dove ha studiato e, allo stesso tempo, dal gusto personale. Quindi non mi piace pensare, come spesso si dice, che le donne sono più attente all’eleganza. In realtà ci sono donne eleganti come uomini eleganti così come ci sono donne sciatte e uomini sciatti allo stesso tempo (ride). Quindi non credo che lo stile produttivo dipenda dall’essere uomo o donna ma dalle esperienze personali, dalla cultura personale e poi dal proprio gusto da cui, per quanto ci si possa discostare, si rimane comunque vittime se vogliamo (ride). È impossibile prescindere totalmente dal gusto personale come succede per chi degusta.
Qual è la tua firma stilistica?
Io amo definire il mio vino “moderno” ma non “modernista” quindi la mia firma stilistica è proprio questa: interpretare il territorio secondo me, così come interpretare questo vitigno anche abbastanza difficile che è l’Aglianico del Vulture. Quindi essere moderna ma non modernista lavorando nel massimo rispetto della varietà e del terroir in cu mi trovo. Infatti le caratteristiche principali del mio vino sono acidità, mineralità e tannicità, caratteristiche che io vado a privilegiare dalla vigna alla produzione perché io amo vini verticali soprattutto lavorando su questi terreni ai piedi del Vulture dove è d’obbligo preservare questi tratti. Credo che la mia firma stilistica sia questa e credo che Titolo sia un vino spartiacque: o lo ami o lo odi, non ci sono mezze misure, questa è la firma.
Quali sono le maggiori difficoltà nel fare vino in Italia oggi? E quali i vantaggi?
Io credo di essere stata fortunata per questioni anagrafiche, credo di aver vissuto uno dei ventenni più belli del mondo del vino e del cibo. Ho iniziato giovanissima nel 2000 e se mi guardo indietro vedo che tanto è cambiato nel mondo enogastronomico quindi sono fiera e onorata di aver vissuto questo grande cambiamento che ha caratterizzato non solo l’Italia ma il mondo intero, un cambio di passo anche in termini di comunicazione e nel modo di raccontare i territori.
In Italia, oggi, credo che il vantaggio e lo svantaggio siano frutto dello stesso aspetto. Il grande vantaggio è avere territori così diversi e un patrimonio di vitigni autoctoni infinito. Lo svantaggio è doversi impegnare il triplo o il quadruplo per poterli poi comunicare perché avere tante varietà, tanti vitigni autoctoni che raccontano anche la storia e la cultura di tutti i diversi territori, e non solo la parte enologica, diventa ostico. Servirebbe crescere in comunicazione non perché oggi non venga fatta bene, tanto è stato fatto in questi anni, ma la criticità resta andare a raccontare dall’altra parte del mondo le molteplici differenze di un grande paese come l’Italia.
In che direzione sta andando il vino italiano secondo te?
Mi rifaccio un po’ alla risposta precedentemente. Secondo me il vino italiano sta andando nella direzione giusta perché si è capito che bisogna valorizzare questo enorme patrimonio che abbiamo con vitigni autoctoni che poi vanno a caratterizzare le culture e la storia di ciascun territorio. Però, al contempo, serve essere molto bravi in comunicazione e crescere in questo senso perché avere tante sfaccettature non rende le cose semplici. Ma la direzione è corretta e questo posso dirlo con certezza anche rispetto al confronto che ho con altri colleghi.
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 1| Manuela Piancastelli
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 2| Donatella Cinelli Colombini
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 3| Angela Velenosi
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 4 | Chiara Boschis
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