Dopo una lunga serie sulle critiche di vino, il focus si sposta sulla produzione al femminile. Zone di ispirazione, stili produttivi e prospettive: ecco qual è l’approccio delle produttrici italiane.
Come membro dell’Associazione Nazionale Le Donne del Vino mi rivolgo alle produttrici di diverse regioni d’Italia per saperne di più.
Oggi lo chiediamo a Daniela Mastroberardino
Nata nel 1968, dal 1992 e fino al 1993 lavora alla Mastroberardino. Convinta che nella vita è importante essere aperti al cambiamento, nel 1994, quando i destini della famiglia Mastroberardino prendono percorsi differenti, contribuisce, insieme al padre Walter e ai fratelli Paolo e Lucio, alla trasformazione e allo sviluppo della tenuta agricola di famiglia, Terredora. L’azienda era stata fondata alla fine degli anni Settanta per produrre uve di qualità, avvalendosi delle necessarie competenze e innovazioni per il miglioramento e la valorizzazione degli antichi vitigni campani – Aglianico, Fiano, Greco e Falanghina. Costruita nel 1994 la cantina a Montefusco, viene attuata quell’integrazione produttiva che ha reso i vini Terredora pregevole frutto che mani sapienti assecondano. Molti i riconoscimenti della critica in questi venticinque anni come l’inserimento per tre volte nella Top 100 di Wine Spectator e gli apprezzamenti da tutte le più autorevoli riviste e alcune medaglie d’oro in prestigiosi Concorsi internazionali (IWC, DWWA). Daniela Mastroberardino è dal 2013 Export Manager della Terredora, oltre che responsabile amministrativo e comunicazione sin dal 1994. Attualmente ricopre gli incarichi anche di Vicepresidente dell’Associazione Nazionale Le Donne del Vino. Da giugno 2012 a giugno 2015 è stata Presidente Nazionale del Movimento Turismo del Vino, l’associazione che ha inventato Cantine Aperte. È stata premiata nel 2016 con il Premio Standout Woman Award.
Quando e come hai iniziato a fare vino?
Nasco non solo in una delle famiglie del vino italiano, ma anche in una storica annata di Taurasi. Autentiche le radici che affondano in una tradizione secolare, eppure la mia è una storia moderna, come sono le architetture della cantina Terredora, la cui prima vendemmia fu nel 1994. Erano passati pochi mesi dalla divisione dei destini imprenditoriali fra mio zio Antonio e mio padre Walter, quando, nella primavera di quell’anno, con i miei genitori e mei fratelli, Paolo e Lucio, iniziò un nuovo capitolo della nostra vita. Non decidemmo di guardare verso altri orizzonti, il vino rimase il baricentro delle nostre esistenze, pur ricercando nuovi equilibri. Per il nostro progetto, scegliemmo Montefusco, per secoli una cittadina importante, oggi un piccolo paese nell’area di produzione del Greco di Tufo e, soprattutto, non distante dalle vigne di famiglia, il cuore pulsante della cantina cui stavamo dando vita. Avevo 26 anni, studiavo economia e commercio, ma questa iniziativa imprenditoriale finì per assorbire tutte le mie energie, come quelle di tutta la mia famiglia. Importante fu l’esempio di mio padre, che, a sessant’anni, non ha temuto di ricominciare, e di mia madre, Dora Di Paolo, che ha saputo comprendere e fare tutto quello che poteva per essere parte integrante di questa nuova realtà. Cominciai in amministrazione e nell’accoglienza in cantina, quando quest’attività era ancora pioneristica in Irpinia, e, da quasi dieci anni, c’è anche l’export nel radar dei miei impegni lavorativi. Ho viaggiato molto prima della pandemia ed è stata una grande opportunità: entrare in contatto con tante persone, conoscere nuove culture, modi di vivere il vino è decisivo per essere al passo coi tempi.
Quali sono i tuoi riferimenti o le tue zone di ispirazione in Italia e all’estero?
Non per sembrare piantata saldamente nella mia terra, credo, però, che la Campania sia una regione con una storia vinicola pressocché unica: vitigni autoctoni qui presenti da oltre duemila anni e di cui raccontano fonti storiche autorevoli, oltre a reperti archeologici, testimonianza tangibile della produzione del vino e delle abitudini legate al suo consumo in questa bellissima regione, potrei dire da sempre. Prendersi cura di questa grande eredità è impegnativo, ma anche un onore, spesso mi piace raccontare i vini Terredora come un sorso di storia, dove la resilienza è tratto distintivo di un territorio, di questi vitigni autoctoni e dei destini della gente che continua a coltivarli. Fatta questa premessa, tanti i viaggi, in Italia e all’estero, che hanno lasciato traccia, non influenzando però lo stile del prodotto, perché l’autenticità è un valore a me caro. Altri aspetti possono, invece, essere un faro. Apprezzo infatti quei territori dove il vino non solo è presidio, ma traino dello sviluppo economico. Potrei citare tanti esempi, Montalcino è uno di questi, dove la trasformazione avvenuta a partire dagli anni Settanta è tale da aver riscritto la storia, l’economia di quei luoghi. Chi produce vino sarebbe bello se mettesse in agenda anche destinazioni come Bordeaux piuttosto che Napa. Non visiterebbe solo belle cantine, non assaggerebbe solo buoni vini, ma toccherebbe con mano come il vino ha permeato quei territori a tutto tondo, cosa ancora più significativa oltreoceano, dove non hanno una tradizione enologica secolare. L’approccio moderno al marketing ha accelerato lo sviluppo di nuovi e importanti distretti e questo è un fatto che, in tante aree del nostro paese, dovremmo maggiormente considerare. Non è una zona, dunque, ad aver ispirato la nostra filosofia aziendale, per quello è bastato tener fede ad una tradizione familiare importante e ad una viticoltura rispettosa dell’ambiente. Fondamentale, però, è stata la capacità di osservare, confrontarsi, solo così si può continuare a competere in un mondo sempre più globalizzato e dove cambiano anche le abitudini di consumo.
Credi che lo stile produttivo possa cambiare tra uomo e donna?
Non credo ci sia un approccio diverso di genere, semmai di valori che ogni singolo produttore reputa caratterizzanti la propria filosofia e sui quali fonda la propria visione di prodotto.
Qual è la tua firma stilistica?
La firma stilistica di Terredora è la capacità di interpretare la tradizione in maniera contemporanea: attenzione alla ricerca della qualità dalla vigna alla messa in bottiglia, a cicli di produzione rispettosi del mondo che vogliamo lasciare a chi verrà dopo di noi, il tutto espresso in vini dall’eleganza quasi sartoriale, rispettosi dei vitigni e dei territori. Le nostre etichette, ad esempio, non hanno immagini banalmente belle, ma sono tante tessere di un mosaico, che, in maniera assolutamente personale, rimanda alla storia medievale del luogo che ci ha accolto, Montefusco. Siamo molto orgogliosi delle nostre radici irpine, montanari che non si arrendono, che ricostruiscono il loro futuro ogni volta che un’avversità prova a radere al suolo le nostre esistenze.
Quali sono le maggiori difficoltà nel fare vino in Italia oggi? E quali i vantaggi?
Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà attuali: i rincari delle materie prime stanno avvenendo da parecchi mesi e la crisi energetica è sempre più stringente a causa dei noti avvenimenti. A complicare maggiormente la situazione l’instabilità dei prezzi degli ordini che impedisce una normale programmazione dei costi aziendali, determinando una vera tempesta dei prezzi, che rischia di incidere sulla capacità competitiva sui mercati. Se, poi, guardiamo alle difficoltà del sistema vino italiano prima della pandemia, della guerra, non sono molto originale nel dire che la grande ricchezza ampelografica è il pregio del fare vino in Italia, eppure tutta questa biodiversità è, talvolta, difficile da comunicare. La promozione dei nostri territori e dei vitigni di casa è, dunque, un lavoro quotidiano irrinunciabile, prima ancora di illustrare le tecniche di produzione adottate. Allo stesso tempo, noi produttori dobbiamo calarci di più nei panni del consumatore, comprendere la sua fruizione del prodotto, costruendo una relazione fatta di maggiore interazione. Di converso, già da qualche tempo, assistevamo al ritorno delle caraffe sui tavoli di tanti ristoranti e questo mi sembra paradossale nell’epoca del consumo edonistico del vino. Se è nell’interesse di tutti gli operatori della filiera continuare a credere e operare per dare valore al prodotto a prescindere dalle contingenze, altresì il consumatore deve essere maggiormente consapevole, solo così le proprie scelte possono orientare il mondo verso un futuro migliore, più sostenibile.
In che direzione sta andando il vino italiano secondo te?
Confidando nella capacità di resilienza che il settore ha già manifestato in pandemia, i numeri ci parlano di un vino italiano in salute, primo produttore al mondo nel 2020, con un export che vede le vele in poppa grazie ai vini confezionati, agli spumanti. In Italia si allarga la platea dei consumatori, ma si riduce il consumo quotidiano. Credo, però, che ci siano luci e ombre, ben oltre gli impatti di quanto sta accadendo in questi mesi e che stanno ulteriormente mettendo alla prova le aziende. Guardando alle criticità che già esistevano ante 2020, non tutte le denominazioni erano e sono nello stesso stato di salute, non sempre c’è stata visione strategica, senza contare che, talvolta, c’è troppo protagonismo, mentre, a mio avviso, una denominazione per essere di successo non può prescindere da solide radici, dal rispetto della storia di quel territorio, dal coinvolgimento di tutti gli attori nel suo progetto di crescita.
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 1| Manuela Piancastelli
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 2| Donatella Cinelli Colombini
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 3| Angela Velenosi
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 4 | Chiara Boschis
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 5| Elena Fucci
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 6 | Graziana Grassini
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 7 | Marianna Cardone
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 8| Annalisa Zorzettig
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 9| Miriam Lee Masciarelli
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 10| José Rallo
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 11| Marilisa Allegrini
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 12| Chiara Soldati
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 13| Elisabetta Pala
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 14| Elena Walch
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 15| Barbara Galassi
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 16 | Chiara Lungarotti
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 17 | Pina Terenzi
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 18| Lucia Barzanò
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 19| Vincenza Folgheretti
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 20| Eleonora Charrère
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