Dopo una lunga serie sulle critiche di vino, il focus si sposta sulla produzione al femminile. Zone di ispirazione, stili produttivi e prospettive: ecco qual è l’approccio delle produttrici italiane.
Come membro dell’Associazione Nazionale Le Donne del Vino mi rivolgo alle produttrici di diverse regioni d’Italia per saperne di più.
Oggi lo chiediamo a Donatella Cinelli Colombini
Donatella Cinelli Colombini discende da uno dei casati storici del Brunello di Montalcino. È nata a Siena nel 1953, città dove si è laureata in Storia dell’arte con il massimo dei voti. Per prima ha intuito il potenziale turistico dei luoghi del vino e, nel 1993, ha inventato “Cantine aperte”, la giornata che in pochi anni ha portato al successo l’enoturismo in Italia. Oggi insegna turismo del vino nei Master post laurea.
Nel 1998 ha lasciato l’azienda di famiglia per crearne una sua composta dal Casato Prime Donne a Montalcino dove produce Brunello e dalla Fattoria del Colle a Trequanda (Donatella Cinelli Colombini – Wine destination in Toscana – Cinelli Colombini Pagina). Le sue sono le prime cantine in Italia con un organico interamente femminile. Nel 2003 Donatella ha vinto l’Oscar come miglior produttore italiano e ha pubblicato il Manuale del turismo del vino. Nel 2007 è uscito il suo secondo libro “Il marketing del turismo del vino” seguito nel 2016 da “Il marketing delle Cantine aperte.
Dal 2001 al 2011 è stata Assessore al turismo del Comune di Siena e in questo periodo ha ideato il “trekking urbano” nuova forma di turismo sostenibile e salutare.
Nel 2012 le è stato assegnato il “Premio Internazionale Vinitaly” e nel 2014 il titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana. Dal 2016 è presidente Nazionale delle Donne del Vino.
Quando e come hai iniziato a fare vino?
Potrei dire di esserci nata nel mondo del vino anche se, quando ero piccola, la dimensione della cantina della mia famiglia era microscopica. Ricordo che a 16 anni andai con mio nonno Giovanni Colombini, uno dei pionieri del Brunello, in Borgogna e partecipai alla cena dei Confrérie des Chevaliers du Tastevin con 400 invitati nel castello medioevale dove le pietanze arrivavano portate dai valletti in costume. La distanza fra Montalcino e Beaune era talmente grande che dissi a mio nonno “sono troppo avanti, non ce la faremo mai”. E invece il Brunello e il vino italiano sono riusciti a rompere il monopolio francese del vino di lusso e ad affermarsi, mercato dopo mercato, un ristorante stellato dopo l’altro.
Quali sono i tuoi riferimenti o le tue zone di ispirazione in Italia e all’estero?
Ho tantissimi amici e alcuni di loro sono dei punti di riferimento personale e professionale: Angelo Gaja per esempio. Altre persone le seguo a distanza cercando di imparare da quello che scrivono o da quello che dicono, sono tanti perché io leggo tanto, faccio i primi nomi che mi vengono in mente: Julio Velasco, Monica Larner, Alessandro Sordi, Marco Montemagno …
Ci sono cantine che tengo d’occhio per imparare come Penfolds, leggo molti articoli su Wine Economics e cerco di sapere cosa fa l’Università di Adelaide. Non ho un metodo per tenermi informata ma piuttosto un’indole curiosa e imparo sempre qualcosa. Per esempio viaggiando fotografo e prendo appunti sulle attrezzature che vedo, controllo i tempi di ingresso dei visitatori e dove si soffermano più a lungo. Mio marito sbuffa “viaggiare con te è peggio che lavorare”, ma io torno a casa con nuovi progetti in tasca.
Credi che lo stile produttivo possa cambiare tra uomo e donna?
Si, le donne sono più rispettose dell’ambiente e quindi fra le imprese a conduzione femminile la percentuale di BIO/biodinamiche è più alta. C’è una maggiore propensione all’alta qualità dei vini e quindi a produrre DOC/DOCG. In generale le cantine “in rosa” sono più internazionalizzate e più diversificate. Per questo hanno retto meglio alle crisi economiche dei primi anni Duemila e per questo il 21% della SAU superficie agricola utilizzabile condotta da donne produce il 28% del PIL agricolo.
Qual è la tua firma stilistica?
Confesso che quando ho iniziato a produrre vino nella mia nuova azienda, 1998, sentivo il bisogno di distinguermi, di una discontinuità con il passato. Poi pian piano, i fili della mia vita si sono ricomposti e ora sto cercando di tornare allo stile “originario” del Brunello, quello anni 70-80 che precede la forte influenza americana in tutto il mondo. Questo significa che il mio Sangiovese è più elegante che potente, molto varietale e vellutato. Per questo sono tornata al biologico, ai tini di cemento e alle botti medio grandi. L’unica vera differenza con il passato, oltre ovviamente alla qualità delle attrezzature, è il clima più caldo che ci permette di avere tannini setosi quasi ogni anno mentre mio nonno si doveva contentare di una o due volte ogni 10 vendemmie. Questo è il progetto al Casato Prime Donne di Montalcino. Alla Fattoria del Colle, nella DOC Orcia che è una giovane denominazione, la sfida è di tutt’altro genere. Il problema maggiore è capire la vocazionalità dei suoli e portare le viti in equilibrio. I terreni sabbiosi non aiutano ma l’altitudine e le notti fredde sì. Abbiamo riportato in vita il vitigno Foglia Tonda e ora stiamo studiano il Sanforte. I vini con i punteggi internazionali più alti sono il Vin Santo e il Passito ma anche il Cenerentola DOC Orcia si sta facendo largo.
Quali sono le maggiori difficoltà nel fare vino in Italia oggi? E quali i vantaggi?
Lo svantaggio è la burocrazia. Passiamo ore a trascrivere gli stessi dati su sistemi che non dialogano fra loro: centraline di rilevamento, certificazione BIO, Sian, Artea, contabilità…. Poi ci sono infrastrutture da terzo mondo. A Montalcino abbiamo il depuratore per l’acqua potabile perché l’acquedotto non c’è, il sistema di smaltimento perché la fogna non c’è, l’antenna per il telefono e internet perché il cavo funziona solo se non piove e la strada è piena di buche. Il vantaggio è di avere intorno la campagna più bella del mondo. Un paradiso di natura, storia e cultura che il mondo ci invidia.
In che direzione sta andando il vino italiano secondo te?
Da un punto di vista produttivo ci saranno nuove opportunità per i territori poco conosciuti ma con caratteri distintivi forti come il Vulture. Oppure diventeranno di moda vitigni ora meno conosciuti ma con forte personalità. Sotto il profilo commerciale andiamo verso la digitalizzazione e verso l’estero. Non mi meraviglierei se la concentrazione produttiva aumentasse velocemente con le grandi che comprano le piccole cantine perché i nuovi network commerciali saranno accessibili solo ai big.
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 1| Manuela Piancastelli
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