Dopo una lunga serie sulle critiche di vino, il focus si sposta sulla produzione al femminile. Zone di ispirazione, stili produttivi e prospettive: ecco qual è l’approccio delle produttrici italiane.
Come membro dell’Associazione Nazionale Le Donne del Vino mi rivolgo alle produttrici di diverse regioni d’Italia per saperne di più.
Oggi lo chiediamo a José Rallo
Classe 1964, José Rallo rappresenta la quinta generazione di una famiglia siciliana con 160 anni di esperienza nel vino di qualità. Volto e voce dell’azienda, José guida il team marketing e pubbliche relazioni, sovrintende al controllo di gestione e al sistema di qualità. Si è impegnata per lo sviluppo eco-sostenibile e culturale del proprio territorio: dal risparmio energetico alla produzione di energia da fonti rinnovabili, fino alla certificazione della carbon-footprint. José Rallo ha profondamente innovato lo stile della comunicazione del vino con il “Donnafugata Music & Wine Live”, proponendo in qualità di produttrice e voce solista esperienze multisensoriali di vino e musica. Ha sviluppato inoltre le attività di accoglienza presso le cantine di Donnafugata, per visite guidate e ricercate degustazioni, oltre che per speciali eventi di promozione della cultura del vino come “Cantine Aperte” e “Calici di Stelle”. È membro dell’Associazione Donne del Vino, consigliere di Assovini Sicilia, l’associazione delle aziende del vino di qualità; nella sua carriera ha ricevuto diversi importanti riconoscimenti: Mela d’Oro dalla Fondazione Bellisario nel 2002, Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana nel 2009, Premio Firenze Donna nel 2010, Accademico dei Georgofili nel 2017. Ad ottobre 2020 è stata nominata nel consiglio di amministrazione dell’ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane. Nel giugno del 2021 è stata nominata Consigliere di Amministrazione del FAI – Fondo Ambiente Italiano.
Quando e come hai iniziato a fare vino?
La mia famiglia è legata al mondo del vino da oltre 170 anni, per cui posso dire di essere letteralmente cresciuta “immersa” in questo magnifico contesto.
In particolare, i miei primi ricordi sono legati ad alcuni momenti intimi: fin da piccoli, quando io e mio fratello andavamo a casa dei miei nonni la domenica, ci facevano bagnare le labbra con il vino, e ci chiedeva che sapori e profumi sentivamo; oppure quando il nonno, in periodo di vendemmia, ci portava ad assaggiare le uve che arrivavano nelle storiche cantine di famiglia a Marsala, e ci spiegava come si produceva il vino. Per noi era tutto un gioco, che però ci ha aiutato a sviluppare una grandissima curiosità per questo mondo.
Quali sono i tuoi riferimenti o le tue zone di ispirazione in Italia e all’estero?
Una delle cose che mi affascina di più del vino è che è un mondo eclettico, dove si intrecciano tantissimi ambiti: dall’agricoltura alla enologia; dal turismo alla comunicazione. I miei riferimenti sono quindi molteplici, legati ad aspetti diversi del mondo del vino.
In Italia uno dei punti di riferimento è la Toscana per la grande tradizione enologica, ma anche per la grande capacità di accoglienza: una regione dove l’ambito esperienziale del vino è sempre stato molto valorizzato, e da cui ho tratto ispirazione quando, all’inizio degli anni ’90, ho iniziato a progettare le attività di enoturismo a Donnafugata.
All’estero invece ho due luoghi “d’ispirazione” prediletti, uno nel vecchio e uno nel nuovo mondo.
Ho sempre guardato con grande interesse alla California, poiché da un punto di vista climatico è molto simile alla Sicilia: mio padre studiò molto alcune pratiche agronomiche ed enologiche adottate da alcuni produttori californiani, e le implementò a Donnafugata come, ad esempio, l’utilizzo della tecnologia del freddo in alcune fasi di vinificazione.
In Europa invece un’area che mi ha sempre molto affascinato è quella del Sauternes, la prestigiosa denominazione di uno dei vini dolci più famosi al mondo: quando abbiamo iniziato a produrre il Ben Ryè, Passito di Pantelleria, la nostra aspirazione era quella di riuscire a produrre un vino mitico e memorabile come Chateau d’Yquem, ed una delle più grandi soddisfazioni è stata quando l’enologa d’Yquem, Sandrine Garbay, ha indicato il nostro Ben Ryè come “il migliore vino passito del mondo”.
Credi che lo stile produttivo possa cambiare tra uomo e donna?
Non ridurrei lo stile di un vino ad una questione di “genere”. Credo anzi che la bellezza del vino è che sia il frutto di un insieme di elementi: il territorio in primis “abbinato” alla sensibilità del winemaker, che deve “interpretare” la voce identitaria dell’azienda produttrice.
Qual è la tua firma stilistica?
Un riferimento stilistico è sicuramente Giacomo Tachis, autore del Sassicaia e del Tignanello, che insieme a mio padre Giacomo e a mio fratello Antonio, decise di valorizzare il Nero d’Avola, dando vita al Mille e una Notte: rosso portabandiera di Donnafugata ed un’icona dell’eccellenza italiana nel mondo è un vino dallo stile unico, piacevole ed elegante. Caratteristiche che ricerchiamo in tutti nostri prodotti per dare vita a vini, da territori e vigneti unici, capaci di rendere felice chi li assaggia.
Quali sono le maggiori difficoltà nel fare vino in Italia oggi? E quali i vantaggi?
Tra le maggiori difficoltà c’è sicuramente la tanta burocrazia che è altamente time consuming e che comporta una lievitazione dei costi. Ma i vantaggi sono certamente superiori rispetto agli svantaggi: abbiamo tanti territori diversi ed unici, altamente vocati alla viticoltura; dal mare alla montagna, dalle colline ai vulcani. Asset esclusivi che rendono l’Italia un paese inimitabile per la grandissima varietà dei vini prodotti. Inoltre, l’Italia si contraddistingue per una forte tradizione enologica, ma anche per una grande propensione all’innovazione: doti che in termini prospettici sono fondamentali, in un mondo che cambia così in fretta.
In che direzione sta andando il vino italiano secondo te?
Stiamo recuperando sempre più la nostra autenticità: vince il territorio, la sua interpretazione da parte delle aziende, che passa attraverso la valorizzazione dei vitigni autoctoni incluse le varietà reliquia. Un patrimonio di biodiversità che occorre tutelare, anche in previsione di quelli che potranno essere i cambiamenti climatici.
Inoltre auspico che il vino italiano faccia sempre più sistema per la comunicazione e la promozione all’estero: negli ultimi anni molte associazioni e consorzi si sono mossi in questa direzione, e già si vedono i risultati di un lavoro di squadra che ha come obiettivo comune quello di accrescere la notorietà di brand territoriali a livello internazionale.
Critiche e degustatrici: il vino italiano al femminile 1| Stefania Vinciguerra
Critiche e degustatrici: il vino italiano al femminile 2| Cristiana Lauro
Critiche e degustatrici: il vino italiano al femminile 3| Monica Coluccia
Critiche e degustatrici: il vino italiano al femminile 4| Elena Erlicher
Critiche e degustatrici: il vino italiano al femminile 5 | Chiara Giannotti
Critiche e degustatrici: il vino italiano al femminile 6 | Divina Vitale
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 7 | Marianna Cardone
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 8| Annalisa Zorzettig
Donne produttrici: il vino italiano al femminile 9| Miriam Lee Masciarelli
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