Per misurare il grado di civiltà di un Paese ci sono solo due parametri, e nessuno dei due è economico: la libertà di pensiero e la condizione delle donne, tutto il resto sono chiacchiere.
Molte colleghe hanno giustamente ironizzato sulle parole di Antonella Mannocci Galeotti, alias Antonella Boralevi (cognome del marito) in tv quando ha affermato che le donne bevono per darsi un tono consigliando poi con decisione, sempre alle donne, di non bere mai da sole.
Parole che hanno riportato la tv di Stato indietro di almeno mezzo secolo.
Ma quello che sconcerta, come nel caso di molti colleghi della sala stampa che ignoravano il fenomeno Geolier, è il suo totale, assoluto distacco dalla realtà, proprio di chi ragiona per luoghi comuni generalizzanti o di chi non fa più davvero il mestiere di giornalista che resta quello di approfondire accettando comparsate televisive dove dire di tutto e di più, sino a precipitare in un non senso atarassico in cui il cervello smette di funzionare regalando una sensazione di benefico autocompiacimento.
E sconcerta ancora come il giornalismo generalista ignori davvero cosa sia il mondo del vino oggi, in Italia, se non cogliendone un lato assolutamente superficiale, talmente superficiale da essere inverosimile.
In sostanza la realtà a cui ci riportano quelle deliranti parole espresse quasi in catalessi è un mondo in cui era sconveniente per una donna bere e fumare in pubblico perché il bere (tanto, di più) e fumare era una prerogativa non scritta solo del mondo maschile. Era l’epoca in cui l’Italietta rurale iniziava a guardare il Musichiere in TV e la modernità arrivava dai film americani in bianco e nero dove le grandi dive dell’epoca bevevano e fumavano.
Dopo c’è stato il processo di urbanizzazione, il ’68, il referendum per il Divorzio e per l’Aborto, nelle scuole sono arrivate le classi miste, e poi la crisi del metanolo del 1986 e la radicale trasformazione della viticultura italiana che è stato un elemento di formidabile modernizzazione delle nostre campagne, un esempio ben presto seguito anche da altri comparti. Il consumo pro capite è passato dai 140 litri agli scarsi 25 attuali, le donne sono diventate enologhe, sommelier, comunicatrici, imprenditrici, guide turistiche, manager commerciali, responsabili dell’export, scrittrici, agronome, giornaliste, distributrici, influencer in un comparto che, tra i pochi, non registra differenze sostanziali di costume dal Nord al Sud. In una parola leader, in un processo reale che si irrobustisce generazione dopo generazione.
Ecco, a me colpisce, ancora di più della visione patriarcale della Boralevi, lei che ha vissuto una vita emancipata e di successo, la sua totale, assoluta, profonda ignoranza di un processo così radicale e profondo nel Paese in cui vive da oltre 70 anni, lei che tra l’altro è figlia di una regione come la Toscana che è un mito fra gli appassionati di tutto il mondo.
Ma poi che significa bere per darsi un tono? Il vino è cultura, le donne leggono un libro per darsi un tono? Vanno in un Museo per darsi un tono? Ascoltano un concerto per darsi un tono? Cosa fa una donna quando non deve darsi un tono? Bah
Cosa significa poi il consiglio di non bere da sole? No, mi rifiuto di pensare a quel che sto pensando…
Ma forse il pensiero più amaro è proprio questo: si oggi il pensiero è molto meno evoluto e moderno degli anni ’70 anche se i costumi si sono evoluti. Il pensiero non riesce a stare al passo con il cambiamento e lo rifiuta, vince la nostalgia di chi ha potuto vivere un passato da privilegiato. Vince la noia, vince l’incapacità di mettersi in gioco. Vince la paura del diverso visto come un pericolo e non come una opportunità.
Ma c’è chi può andare a lezione da Antonella Boralevi: è l’altra Antonella, Antonella Viola, che si sta guadagnando un po’ di spazio mediatico nella sua campagna contro il vino senza dire una parola contro le multinazionali delle bevande gassate e zuccherate e colorate.
Lei che non beve mai da sola, ma in compagnia.
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