Non ci piacciono le anticipazioni sui ristoranti perchè vanno raccontati per i clienti quando hanno avuto un po’ di rodaggio. Ed è per questo che siamo andati ieri sera al Don Alfonso nella settimana dopo Pasqua per godere di una serata relativamente tranquilla dove abbiamo provato alcuni piatti. La struttura si presenta come sempre magnifica, il servizio e l’accoglienza non hanno eguali in Italia se non alla Locanda del Pescatore dai Santini — come abbiamo avuto sempre avuto modo di scrivere. E’ l’accoglienza della famiglia italiana, quel tocco magico che rende la tavola confortevole e piacevole.
Sulla cucina di Ernesto Iaccarino abbiamo scritto tante volte e non possiamo che ripeterci: gusto e leggerezza, uso sapiente di grassi, forte presenza dell’elemento vegetale sono le caratteristiche di una proposta moderna al passo con i tempi con qualche inserimento famoso, quale la zuppa di pomodoro e granchio e qualche novità, come il cannellone di peperone arrosto davvero fenomenale. Oltre alla possibilità di mangiare alla carta come sempre, sono previsti percorsi di degustazione tra cui uno interamente vegetariano che oscillano fra i 190 e i 220, euro vini esclusi.
Il Don Alfonso è soprattutto una esperienza, tutto è pensato per l’ospite, dai giardini dove prendere un aperitivo o sorseggiare una semplice acqua con limone, biologico ovviamente, alla visita nella straordinaria cantina che risale almeno all’epoca mediovale con migliaia di bottiglie e circa 1500 referenze, gestita da Maurizio Cerio, altro grande uomo di sala, sommelier capace come pochi di coniugare piatto, bicchiere e cliente, un sommelier umanista insomma, di una simpatia sconfinata capace di mettere chiunque a proprio agio, intenditore, sedicente intenditore, appassionato e…astemio!
Il Don Alfonso è un marchio mondiale, ha appena raddoppiato a Macao, la riapertura dopo un anno sabatico necessario a fare i lavori di adeguamento green oggi manifesta i risultati ambientali e gastronomici in tutta la loro maturità espressiva che rende l’azienda altamente competitiva nel mercato mondiale del lusso.
Un lusso però accessibile e che vale di provare almeno una volta nella vita. Ma adesso godetevi le immagini.
Scheda del 18 dicembre 2022
di Antonino Siniscalchi
In una lunga intervista al settimanale della Penisola sorrentina Agorà, diretto da Nancy de Maio, Alfonso Iaccarino, racconta il nuovo “Don Alfonso 1890” che tornerà nel 2024.
Nel 2023 Il Ristorante Don Alfonso 1890 compirà i suoi primi 50 anni.
Stiamo preparando diverse attività celebrative in giro per il Mondo ma il regalo più grande sentiamo di farlo al nostro splendido Pianeta ed all’immenso patrimonio di biodiversità di cui siamo parte.
Abbiamo riunito intorno alla nostra famiglia scienziati, designer, artigiani per costruire insieme i prossimi 50 anni dove la parola d’ordine sarà IMPATTO POSITIVO.
Dedicheremo tutto il prossimo anno e tutte le nostre energie a ristrutturare radicalmente la nostra azienda in ottica di ecologia integrale.
Non solo autoproduzione del cibo ma anche autoproduzione energetica in linea con quanto ci sta chiedendo il nostro ecosistema ad alta voce”.
Il “nuovo” Don Alfonso 1890 riaprirà nel 2024 e continuerà a fare innovazione nel solco della sua tradizione con l’obiettivo di realizzare e diffondere un modello di ristorazione a impatto positivo per il Pianeta, per la salute degli esseri umani e per le economie locali. “Carenza di personale: necessari lavoratori extracomunitari. Riconvertire i posti letti negli hotel per ospitarli”
Un passo indietro per farne, poi, due avanti. È un vecchio motto dei rivoluzionari che ben si adatta ad Alfonso Iaccarino, grande chef di Sant’Agata sui due Golfi, che nella sua lunga carriera ha dimostrato di essere conservatore e rivoluzionario al tempo stesso. È su questo presupposto che si fonda la singolare decisione di chiudere per un anno il ristorante di famiglia, il “Don Alfonso 1890”.
Si chiude per realizzare una rivoluzione copernicana nella concezione stessa del modo di fare ristorazione ed ospitalità. Puntare ad una diversa connessione con il mondo ed alla responsabilità che ciascuno ha verso l’ecosistema per ridurre l’inquinamento e migliorare la qualità della vita. Con un imperativo su tutti: il mangiare deve far stare bene. Le aziende che fanno ristorazione ed offrono ospitalità devono avere al centro della propria mission il benessere degli ospiti e dell’ambiente. Ogni tassello del vasto ingranaggio che c’è dietro il piatto che arriva in tavola deve essere “green”.
Una scelta che subito ha fatto notizia, tanto da essere rilanciata dall’Ansa, la principale agenzia di stampa italiana. Non a caso il ristorante gourmet di Sant’Agata sui due Golfi è tra i locali più rinomati in Italia e nel mondo. E per questa ragione un fattore di orgoglio e di attrattiva per l’intera penisola sorrentina. Infatti, il “Don Alfonso”, oltre ad essere un tempio per i buongustai, detiene un primato ad oggi imbattuto: è il primo ed unico ristorante del sul Italia ad avere ottenuto le tre stelle Michelin (il massimo riconoscimento attribuito dalla più prestigiosa guida gastronomica).
E così, oggi, il patron Alfonso Iaccarino, insieme alla moglie Livia ed ai figli Ernesto e Mario, ha di deciso di guardare, ancora una volta, al futuro. La necessità di cambiare la propria struttura si inserisce in una più ampia riflessione sull’esigenza di innovazione che ha il territorio. Una riflessione che Alfonso Iaccarino ha condiviso con noi ed i nostri lettori nel corso di questa intervista.
Chef, il senso di questa scelta: chiudere per un anno per un restyling del “Don Alfonso 1890. Ci spiega?
Inveriamo la filosofia con cui siamo partiti: essere al passo con i tempi, valorizzando le eccellenze del territorio, nel rispetto dell’ambiente. Siamo partiti così, 50 anni fa. Ed oggi che i tempi sono cambiati ci mettiamo al passo con le esigenze sopravvenute. Proviamo a guardare al futuro.
Facciamo un passo indietro, lei dice: siamo partiti così. Magari, non tutti lo sanno come siete partiti con un locale che poi è diventato punto di riferimento nella ristorazione?
Lo dico subito. 50 anni fa, pennette vodka e salmone era un piatto molto diffuso nei menù del territorio. Abbiamo semplicemente proposto e valorizzato prodotti nostrani che il mondo non conosceva. Penso al pomodoro san marzano, i legumi: ceci, lenticchie, cicerchie; il pesce azzurro fino ad allora considerato alimento non all’altezza di una buona cucina. E così una cucina fatta di prodotti poveri, semplici, ma autentici, si è diffusa ed ha avuto successo.
Parliamo di dieta mediterranea, vero?
Appunto, la nostra è stata ed è una cucina espressione della dieta mediterranea che nel tempo è stata studiata e si è affermata. La dieta mediterranea è un percorso alimentare elaborato dal biologo e fisiologo americano Ancel Keys ed esaltato come fattore di longevità. Dagli studi fatti è stato dimostrato il nesso causale tra questa alimentazione, ambiente salubre e lunga vita.E non a caso, da ultimo, la dieta, se non mi sbaglio una decina di anni fa, è stata dichiarata bene Unesco, patrimonio orale e immateriale dell’umanità.
A conferma, semmai ce ne fosse, bisogno che lei ci aveva visto giusto ed in anticipo. Ora, qual è la nuova frontiera cui guarda in vista di una riapertura del ristorante che si annuncia all’insegna dell’innovazione?
Siamo proiettati ai prossimi 50 anni. Ad immaginare il futuro della ristorazione.
In concreto, come sarà questa nuova frontiera della ristorazione?
Sul piano del cibo prodotti sempre più a km 0, nei limiti del possibile. La tenuta “le peracciole”, dove coltiviamo le primizie di stagione, fronte mare, è chiamata a dare e fare di più, nel rispetto rigoroso della stagionalità e naturalità. Il cibo del futuro è quello sano, che fa star bene.
Ma c’è dell’altro ovviamente.
Anzitutto, attenzione all’ambiente significa anche incrementare l’organizzazione per un sistema a rifiuti zero. Questa è una parte importante del nostro progetto.
Quindi, evitare plastica …
Non solo, stiamo pensando a soluzioni innovative anche per il tovagliato.
E come si fa?
In questo progetto abbiamo definito una collaborazione con l’Università Federico II di Napoli. Diversi docenti ci affiancano nel percorso che portiamo avanti, sia per il profilo organizzativo, sia per quello alimentare.
Immagino che l’occasione è propizia anche rispetto al caro bollette. Vero?
Assolutamente. I costi per l’energia sono raddoppiati, passando da 60mila euro annui a 120mila. Una enormità.
Il rimedio?
Nella nuova struttura che stiamo pensando ci sarà autoproduzione di energia con pannelli solari, ma anche risparmio idrico con apposite tecnologie che modulano l’irrigazione in relazione alla temperatura esterna. In una parola, la sostenibilità ambientale sarà la cifra distintiva della nostra ospitalità.
Passiamo da una struttura al territorio. Quali innovazioni servono alla Penisola sorrentina sul fronte turistico?
Anzitutto, se c’è un grande movimento turistico, con il record registrato quest’anno, è grazie ad un’accoglienza e ad una ristorazione di eccellenza. A proposito del discorso fatto prima. In molti hotel nella colazione c’è la premuta fatta con le arance locali ed il pomodoro nostrano, solo per citare qualche esempio. Ho visto un buon movimento di giovani. Le pizzerie, ce ne sono tante e di qualità, sono luoghi per tutte le tasche. L’ho già detto e lo ripeto: ci sono gli agriturismo, altra ricchezza del territorio. Sono tutti fattori che consentono di diversificare l’offerta. Dietro, però, deve esserci un’agricoltura in grado di supportare la genuinità e la stagionalità.
Manca?
Con la crescita del movimento turistico dobbiamo pensare ad una produzione maggiore che si può ottenere solo recuperando i terreni incolti. Ed è necessaria una rivalutazione del lavoro agricolo deve essere redditizio, solo così recuperiamo nelle quantità necessarie
Le cose che non vanno?
L’accessibilità è il tema più controverso, com’è noto a tutti. Tanto è vero che c’è un tavolo ad hoc presso la Prefettura. Penso, più in piccolo, all’esigenza di recuperare gli spazi verdi, le passeggiate tra sentieri che vanno incrementate.
Nella filiera del turismo si è registrata negli ultimi tempi una carenza di organico senza precedenti. Come se ne esce?
Quello che succede da noi è già capitato altrove. È la normale evoluzione delle società sviluppate. Prima il portiere preparava il figlio per subentrargli. Ora il figlio del portiere studia a Londra e fa il manager. Il mondo è così.
Si ma qual è la soluzione al problema?
I lavoratori extracomunitari per determinate mansioni nell’accoglienza e ristorazione sono diventati importanti. Proprio sul vostro giornale, un noto tour operator e albergatore, ha fatto riferimento con piena contezza, a questa situazione.
Come dire se i residenti studiano e non vogliono fare i camerieri o gli addetti ai piani, servono i migranti. E così?
Si, ma è quanto avviene in giro per il mondo. Non c’è da meravigliarsi. C’è da qualificare e accogliere nel modo migliore. Il problema che vedo è dove far alloggiare i migranti vista la carenza di abitazioni. Magari, gli stessi operatori del settore potrebbero riconvertire determinate strutture alberghiere da utilizzare in funzione di alloggio.
18 giugno 2022
Ristorante Don Alfonso 1890 a Sant’Agata sui due Golfi
Scriviamo del Don Alfonso di ritorno da New York dove per l’ennesima volta un ristorante importante è stato decisamente al di sotto delle nostre aspettative. Badate bene, non cattivo, ma al di sotto. La riflessione è che per far quadrare i conti e fronteggiare la carenza di personale qualificato in sala la tendenza ormai è dublice: spersonalizzare sempre di più il servizio trasformando i locali in erogatori di cibo. La tendenza ormai è questa, catene dove ragazzi poco motivati ti trattano come un numero, macchinette a cui ordinare il pasto aggiungendo o togliendo gli incredienti in cui la personalizzazione è nel tuo agire e non nel servizio di accoglienza che indirizza.
Di fronte a questa regressione, quanto vale una sala come il Don Alfonso dove, oltre Livia, ci sta Mario Iaccarino che è un vero fuoriclasse, quattro lingue correntemente parlate, occhio attento e discreto, superbo organizzatore, pignolo nella risoluzione di ogni problema. Quanto vale una sala dove qualsiasi cosa chiedi riesci ad ottenerla, una filosofia che mette il benessere psicologico del cliente al centro, dove ogni piatto non è spiegato in maniera meccanica o mnemonica, ma raccontato con piglio familiare e professionale?
In una parola quanto vale la sala italiana, dei Cerea, di Bottura, di Alajmo, dei Santini, dell’Enoteca Pinchiorri, della Pergola e ti tanti altri rispetto ai servizi da routinier che subiamo quando andiamo all’estero?
La distinzione è ovviamente in chi vive il il piatto come una proporzione fra proteine, carboidrati, fibre e grassi e chi invece ha la civiltà del cibo inteso come convivialità e racconto di un territorio. Il secondo tipo di cliente ha bisogno di una sala qualificata, di chiedere un pezzodi formaggio fuoriprogramma se deve finire una grande bottiglia di rosso, il primo tipo ha solo bisogno di prescrizioni mediche, immerso in uno slalom da incubo fra note nutrizioni e allergie e capricci alimentari tipici della società in decadenza.
Siamo dunque tornati al nostro consueto appuntamento al Don Alfonso dove la cucina di Ernesto, sempre in grande forma, è una delle componenti dello star bene. Ma non è tutto nel piatto, non può essere tutto solo nel piatto perchè la cultura dell’accoglienza attorno a un tavolo pieno di cibo risale alla notte dei tempi ed è una delle componenti fondamentali del vivere le relazioni umane.
Dunque questa tendenza di essenzialità protestante, quasi che i camerieri fossero un inutile orpello e non invece il biglietto da visita di una qualsiasi attività, ci ha un po’ rotto le palle. Diciamolo pure: questo mangiare a ore, con tapas su tapas in sequenza ma senza acuti, un petting senza orgasmo, un cibo senza convivialità, non fa per noi.
Ancora una volta dunque siamo costretti ad ammirare gli sforzi mostruosi di questa famiglia per tenere in vita una delle sale più belle e straordinarie del mondo, non solo dell’Italia. Venire qui, almeno una volta nella vita è una esperienza che tutti dovrebbero fare, gourmet, appassionati, chiunque si occupa di cibo.
I questo quadro i nuovi piatti di Ernesto Iaccarino parlano Mediterraneo, sono diretti nel gusto e nel sapore, completano l’esperienza del Don Alfonso in maniera assolutamente perfetta e appagante. Ed è questo equilibrio fra cucina e sala è quello che noi cerchiamo quando entriamo in un locale per mangiare, qualunque sia il livello. Se non la pensate così, fatevi mandare i piatti da Amazon a casa, è meglio.
I piatti del Don Alfonso e la cucina di Ernesto Iaccarino
Report Maggio 2021
Maggio 2021
Il Don Alfonso non è solo un ristorante: è il luogo dove si sono lanciate le più importanti tendenze, spesso in controtendenza, della gastronomia italiana.
I primi in assoluto a fare un orto, vero, investendo i propri guadagni a Punta Campanella dove vivono e prolificano le api grazie alle numerose e diverse fioriture di una natura tenuta in equilibrio. I primi a inserire pasta, pomodoro e olio d’oliva quando i gourmet giuicavano foie gras e fondi bruni.
Ora è la volta del riso di Sibari.
Riso a Sibari? Beh ancora pochi lo conoscono. Ma ecco una storia dettagliata del riso di Sibari
Il riso è il cereale più diffuso al mondo, ma pochi sanno che in Italia lo hanno portato gliarabi quando occuparono la Sicilia e che poi gli spagnoli lo hanno diffuso al Sud e poi anche al Nord. Non a caso ci sono tracce di presenza del riso in alcune importanti ricette storiche del Mezzogiorno.
Durante una zingarata in Calabria Alfonso ha scoperto grazie a Gerardo Sacco questa produzione di pregio in grande espansione in un territorio dalle condizioni pedoclimatiche favolose e libero da ogni inquinamento. Quest’anno Ernesto ha deciso di inserirlo in un primo piatto dopo una sua prima apparizione dello scorso anno in un secondo.
Cosa mangiare al Don Alfonso 1890
Ma il riso è solo uno dei nuovi piatti della stagione della ripartenza pensati da Ernesto Iaccarino in questa pausa forzata finalmente terminata.
Il nuovo Don Alfonso al momento ha meno coperti, ma un bellissimo dehor coperto da canne di bambù al posto degli ombrelloni consente di mangiare all’aperto, nello splendido giardino. La squadra è al completo con tutti i volti e le professionalità a noi veramente cari, a cominciare dal mitico Maurizio Cerio, ineguagliabile sommelier.
Partiamo con un po’ di sfizi prima di affrontare il menu costruito con tutti i piatti nuovi in cu isi sente molto l’influenza dell’Oriente come vedremo, una cucina fusion che abbina alla gioia del prodotto unico locale le nuove tendenze che il Don Alfonso raccoglie dal Marozzo all’Estremo Oriente, senza dimenticare la nuova apertura a Saint Louis.
Un piatto molto costruito con crema di piselli allo zenzero, finocchi cotti a bassa temperatura e poi grigliati, raviolini croccanti ripieni di funghi pioppini della Sila, carciofi cotti a bassa temperatura e poi fritti, foglie di broccoli napoletani croccanti, cipolle rosse cotte a bassa temperatura e poi marinate. Una versione che andrebbe bilanciata con le precedenti in cui l’orto era presentato nella sua assoluta purezza e potenza espressiva.
Più che di piatto nuovo, in questo caso parliamo di rivisitazione, decisamente riuscita e fresca, la cottura è semplicemente perfetta e rivela, qui come altrove, una assoluta padronanza tecnica di Ernesto.
Questo piatto ha origini Maori, una tradizione appresa durante il lavoro di con sulenza in Nuova Zelanda e dobbiamo dire che l’assoluta freschezza del piatto esalta l’eccezionale materia prima locale e il dosaggio del pepe svolge la funzione di esaltatore di sapore. Chiudere con il brodo è rinfrancante.
C’è un gioco estetico di rimando ovviamente ai ravioli cinesi anche se qui non ci sono cereali perchè è la seppia a fare da rivestimento. Il brodo rischia di essere dolce ma lo zafferano e la punta di piccante risolvono il problema e spingono a finirlo tutto senza stanchezza e con piacere.
Ecco qui il piatto che vede protagonista il riso nero di Sibari, per la prima volta in un bistellato. Cottura perfetta, inutile quasi sottolinearlo, il sapore del mare e la gestione del succo di barbabietole lo rendono piacevole e leggero. Tutta la cucina di rnesto punta alla sottrazione dei grassi e all’uso minimo, per no ndire nullo, del sale aggiunto.
Qui il gioco è con la cucina giapponese, la rana pescatrice è ingrassata con un po’ di mozzarella e il boccone è gradevole e piacevole.
Mediterraneo Occidentale e Orientale si sposano con suggestioni ancora più lontane in un boccone di carne, che non gioca con il sapore della genovese prendendo una sua strada decisa e saporita. Fantastico secondo di carne, ovviamente di Mario Carrabs, lo storico fornitore irpino del Don Alfonso.
La potenza dell’orto di Punta Campanella la troviamo in questo dolce senza zuccheri se non quelli, piacevolissimi e freschi, del frutto, una chiusura che non appesantisce anche se, lo confessiamo, noi non abbiamo potuto evitare il mitico Concerto di Limone,
Quanto costa mangiare al Don Alfonso
Il menu tradizione (Prtp biologico, uovo in tegamino, strascinati di Nonno Ernesto, Agnello Laticauda, formaggi, dessert e piccolapasticceria ) 155 euro. Il Menu degustazione (sei piatti più dessert e piccola pasticceri9 180 euro.
Gli antipasti e i primi costano 38 euro ciascunio, i secondi 48 euro, i dolci 28. Selezione di formaggi 26.
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CONCLUSIONI
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Il Don Alfonso resta una esperienza unica da fare almeno una volta nella vita. Livia e Mario Iaccarino sono perfetti padroni di casa che mettono subito tutti a proprio agio. La cultura dell’accoglienza è veramente un valore aggiunto in questo lembo di Punta Campanella grazie ad una tradizione turistica che è nata alla fine dell’800.
Il gournet non trova l’avanguardia e la moda del momento, ma sicuramente l’anticipazione profonda di correnti di pensiero gastronomico ed è proprio questo che lo rende un classico irrinunciabile.
Report dell’8 luglio 2020
Ora possiamo dire che la stagione è cominciata: dal primo luglio il Don Alfonso ha riaperto i battenti. Non è stata una decisione facile, sia per la situazione attuale di cui nessuno può, al momento, prevedere l’esito, nè per il posizionamento del fantastico ristorante bistellato di Sant’Agata sui Due Golfi che vive soprattutto di una clientela straniera.
Ma la macchina è ripartita, e alla grande. Mario ed Ernesto sono molto concentrati e i piatti nuovi iniziano ad esprimere una maturità espressiva in una cornice mediterranea dove la salute e il gusto sono i riferimenti assoluti di chi, per primo e in tempi non sospetti, ha investito i propri guadagni comprando una proprietà a Punta Campanella.
C’è tensione etica ed epica: essere il primo ristorante italiano e il terzo per la Liste carica tutti di responsabilità. I progetti sono tanti e sono sul tappeto ma qui, nella vetrina dove tutto è nato, che partono le idee e si incrociano i sogni.
Non abbiamo poi tanto da aggiungere: questo blog segue da ormai dieci anni tutte le stagioni del ristorante italiano più conosciuto al mondo che è diventato un riferimento per la cucina mediterranea. Possiamo solo dire che la cucina di Ernesto riesce a proporre alcuni acuti straordinari, in questo caso il coniglio e il dentice. E’ rilassata e divertita, ha alla base gli ingredienti di fornitori di fiducia, non va di cazzeggio fine a se stesso e riesce ad esprimere al tempo stesso la memoria dei luoghi e le suggestioni dei viaggi e delle esperienze che però non diventano mai trasferimento tout court, sono sempre metabolizzate dalla nostra tradizione e dalla filosofia della casa, perché di casa in senso francese, possiamo parlare.
Il servizio è semplicemente perfetto, pignolo e familiare al tempo stesso, Maurizio Cerio è un mattatore con i vini di una delle cantine più importanti del mondo che vanta 1300 etichette in carta e circa 25mila bottiglie conservate in uno spazio di epoca pre-romana.
E niente: vi lasciamo alle immagini della ennesima serata indimenticabile-
Ma prima leggete la storia di questo posto qui
Don Alfonso 1890 menu ristorante
Don Alfonso 1890 menu ristorante
Vi lasciamo con due ricette classiche che hanno fatto la storia
Don Alfonso 1890 menu ristorante
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