Corso Sant’Agata, 11-13
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www.donalfonso.com
sempre aperto. Chiuso lunedì e martedì da giugno a settembre. Lunedì e martedì a pranzo.
Ferie da novembre a metà marzo
Torniamo al Don Alfonso per provare i piatti della stagione 2012 avvolti dalla nebbia e inseguiti dalla pioggia: ma queste atmosfere gotiche che segnano la Costiera in queste occasioni ci sono sempre piaciute moltissimo perché regalano intimità e concentrazione.
Ci aspettano mesi, forse anni, difficili in cui sarà necessario rimodulare certi ragionamenti. Ma è anche sicuro che le crisi sono un po’ come la livella di Totò, rimettono le cose a posto, ridisegnano gerarchie, consentono di spolpare ogni tema centrando l’essenza.
Un tema, ad esempio è che nel vino come nella ristorazione i grandi nomi, soprattutto delle aziende capaci di realizzare il cambio generazionale, resistono mentre il settore espelle chi aveva pensato a guadagni facili considerando l’enogastronomia un settore commerciale come un altro. E questo è molto evidente nella battaglia navale di chiusure e spostamenti in corso in tutta Italia.
Mentre guardo i movimenti dei venti cuochi di brigata da dietro e davanti la sala finalmente riesco a collegare la mente alle prime danze dei Dervisci documentate per primo in Italia da Folco Quillici: il coordinamento dei movimenti è perfetto, ciascuno sa esattamente quale ruolo interpretare e i cappelli da cuoco alti, classici, accentuano e sottolineano i gesti.
E’ una Italia completamente diversa: organizzata, gerarchizzata, giovane, positiva, laboriosa, creativa. La melma politico-finanziaria che avvolge e soffoca la Penisola qui sembra roba di un Tg di un altro Paese.
Ecco dunque la necessità di guardare i tempi lunghi: aziende che hanno vissuto la guerra, la crisi del colera, quella del terremoto, attraversato almeno due cicli economici pieni hanno la capacità di adeguarsi, resistere a prescindere. Punto.
Insomma, a ben vedere: nel vino come nella ristorazione resta chi ha una storia da raccontare, non chi si è inventato un racconto. La crisi velocizza e banalizza e i primi a cadere sono coloro che hanno una visione da ragionieri delle aziende, senza nulla togliere a questo lavoro che dovrebbe, come dire, essere il punto terminale di una impresa e non il centro pensante come è avvenuto negli ultimi quindici anni.
La cucina di Ernesto è sicuramente il racconto del passato e del suo territorio, impostazione che ha fatto grande il Don Alfonso trasformandolo nel primo grande interprete della strepitosa e ineguagliabile materia prima del Sud che qui ha iniziato ad avere nomi e cognomi, dal vino ai pomodori, alla pasta, all’olio, alle verdure e agli ortaggi. Ma subisce anche le influenze del lavoro a Macao e a Marrakesh con l’uso di spezie dimenticate in Occidente e nelle presentazioni.
E questo primo antipasto nuovo ne è un esempio: una soluzione nuova nella presentazione con la tazzina nela quale intingere. Chiunque la può leggere, ma chiunque abbia mangiato in vita sua una impepata di cozze a Piazza Sannazzaro o a Taranto ci si riconosce subito.
Dopo il gelato di coniglio della scorsa stagione un nuovo freddo salato: il pesce è grasso e stancante, la soluzione viene offerta e risolta con questa pasta fredda che ripulisce molto bene il palato mentre il caviale offre l’allungo necessario.
Ancora un piatto che tende a far saltare la gerarchia tra primo e secondo, molto molto tecnico, gustoso e saporito. Magari, a gusto mio, da completare con un infuso o con un brodo speziato di zafferano e cannella. O con un banale filo d’olio delle Peracciole.
Ed ecco un primo che ci riporta allegramente in Italia dove la pasta è protagonista. Immediato e goloso, facilmente leggibile.
Il riso ha una spinta incredibile, forte e persistente: il piatto è ovviamente molto strutturato e complesso ma decolla con facilà, fa salivare, si mangia con velocità e tanto piacere perché le sensazioni di dolce e di sapidità iodata marina, le consistenze diverse, la freschezza cercata nel cedro che è il più ricco degli agrumi lo rendono interessante e piacevolmente impegnativo.
I due secondi recitano ruoli diversi. Il rombo gira verso la morbidezza rassicurante, il tonno grazie alla salsetta di limone e soia acquista freschezza e toni fumé molto lunghi.
Solo un cenno al Cabernet che ci ha consigliato Maurizio: un grandissimo naso terroso, perfetto negli abbinamento perché molto snello e non impegnativo in bocca. Il Gaia 2009 di Antonio di Gruttola ha invece sostenuto alla grande tutti gli abbinamenti. Viene da dire: ormai nel bicchiere veramente abbiamo tutto in pochi chilometri, come è lontano il tempo in cui uno stellato italiano a stento poteva proporre vino non francese, per non dire del Sud. Il Don Alfonso negli anni ’90 è stata la rpima vetrina della nuova enologia meridionale.
Divertente e completo anche il gioco delle tre cotture del maialino, perfettamente eseguite.
La pasticceria di questi grandi ristoranti meriterebbe una visita a parte la mattina o verso le cinque del pomeriggio. Imponente, ricca, esplosiva. Notiamo un alleggerimento positivo e anche una evoluzione che tiene conto di un gusto che lascia spazio meno al dolce e di più alla necessità di freschezza con piacevoli incursioni salate e amare.
Insomma, si va verso una stagione di consolidamento, già ben supportata dai numeri in queste prime battute.
Ma quanto costa mangiare al Don Alfonso?
Il menu della tradizione, quattro piatti più formaggi, dolce e piccola pasticceria 140 euro.
Il menu degustazione con sei piatti più formaggi, dolce e piccola pasticceria 155 euro.
Alla carta: gli antipasti 36 euro, i primi 34, i secondi 45, i formaggi 26 e infine i dolci 26.
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