Perchè Domino’s è fuggita dall’Italia? La risposta è semplice: perchè il cibo non è solo carboidrati, proteine, zuccheri e fibre, ma cultura, accoglienza, gusto. Il modello latino trionfa sull’asettico approccio anglosassone nonostante il bullismo dei manager delle multinazionali verso gli artigiani. Ecco il pezzo pubblicato sul Mattino.
di Luciano Pignataro
I 29 locali di Domino’s Pizza, una delle due catene mondiali più importanti del settore, abbandona precipitosamente l’Italia. La notizia secca è stata lanciata dal Financial Time e ripresa in queste ore da tutti i media, persino la Bbc è intervenuta con un collegamento con il cuoco Massimo Bottura per cercare di capire i motivi di questo fallimento.
Il partner in franchising italiano del marchio di fast food, ePizza SpA, che gestiva 29 filiali in tutto il paese, ha lottato per conquistare “i clienti esigenti nella patria della pizza” e ha infine dichiarato fallimento all’inizio di quest’anno. Nell’ambito di una procedura concorsuale, è stata concessa una protezione giudiziaria di 90 giorni dai suoi creditori, che ha impedito loro di chiedere rimborsi o sequestrare i beni aziendali, scaduta il mese scorso.
Nelle dichiarazioni ufficiali riportate dal Financial si legge che “la pandemia di Covid-19 e le successive restrizioni prolungate hanno gravemente danneggiato ePizza”, ma il presidente e maggiore azionista Marcello Bottoli si è rifiutato di commentare direttamente la vicenda.
Quando l’Ad di Domino’s insultò nel 2019 le pizzerie italiane proprio come Briatore
Noi però abbiamo memoria lunga e ci piace ricordare che il precedente ad, il bocconiano quarantenne d’assalto Alessandro Lazzaroni in un convegno all’ordine forense di Milano nel dicembre 2019 aveva attaccato duramente le pizzerie italiane in un modo che ci ricorda quanto affermato pochi giorni fa da Briatore: “L’80% delle pizzerie “tradizionali” non conserverebbe i prodotti secondo la normativa europea. La mozzarella dovrebbe essere conservata tra i 2 e i 4 gradi, e nelle pizzerie tradizionali l’esposizione della vasca di mozzarella vicino al forno o, comunque, lontana dal frigorifero costituirebbe già una violazione della normativa. Le difformità aumentano in caso di delivery, attività nella quale Domino’s Pizza è all’avanguardia. Inoltre, il 70% delle pizzerie tradizionali italiane, incalzava Lazzaroni, non utilizzerebbe prodotti italiani, ma esteri, come olio marocchino o olive spagnole. Domino’s Pizza in Italia, invece, si impegna a valorizzare il prodotto italiano, utilizzando marchi nazionali di rilevanza internazionale, alcuni dei quali utilizzano il sistema “blockchain” per l’individuazione e la salvaguardia della filiera. Sicurezza alimentare secondo le norme Ue e prodotto nazionale: sono fattori decisivi per la scelta del prodotto da parte del consumatore finale”.
Le previsioni di Lazzaroni, che l’anno successivo avrebbe dato le dimissioni, sono state smentite dai fatti.
Noi possiamo cercare le motivazioni del fallimento in Italia di Domino’s proprio nell’ultima frase pronunciata da Lazzaroni: la sicurezza alimentare, le cui norme sono dettate a Bruxelles dalle grandi lobby industriali che non tengono conto delle esigenze degli artigiani, alla fine perdono di vista i veri motivi per cui si sceglie una pizza non industriale: il gusto e l’accoglienza.
La pizza, infatti, è per sua natura un cerchio irregolare, per quanto bravo possa essere il pizzaiolo, non è mai uguale al precedente. La ricerca nell’impasto, nelle materie prime, lo studio delle combinazioni e degli alimenti, l’accoglienza quando cisi siede, la possibilità di scegliere una birra artigianale piuttosto che un cocktail o un vino, sono questi i valori aggiunti che l’industria alimentare di stile anglosassone sembra completamente ignorare e che spinge il Financial ad interrogarsi anche sugli alterni destini dei marchi internazionali in Italia. Mc Donald’s ha dovuto trasvestirsi sempre più da italiano mentre Starbacks sembra incontrare meglio i favori della clientela del Belpaese.
I responsabili di Domino’s hanno tirato in ballo le restrizioni imposte dalla Pandemia, ma queste hanno riguardato tutti, non solo la catena. E soprattutto non ci sono state solo in Italia.
Quando si è sviluppato il movimento della pizza italiano che ha visto Coccia a Napoli, Bonci a Roma e Padoan al Nord tra i principali innovatori, molti hanno replicato che in fondo solo il due per cento delle pizze mondiali erano napoletane o italiane. Ma ancora una volta un ragionamento che non coglieva la nuova realtà si è dimostrato fallace, perché se c’è qualcosa che si sta sviluppando e replicando nel mondo sono proprio le catene di pizzerie artigianali, dove il prodotto viene realizzato davanti al cliente, vale per tanti marchi, dal franco napoletano OberMamma in Francia a Da Michele In The World, da Rossopomodoro alla catena Berberè fondata a Bologna da due fratelli calabresi Aloe che ha aperto a Londra. Solo chi riesce a mantenere il tono artigianale del prodotto e dell’accoglienza tipicamente italiana ha poi successo.
Il mese scorso mi è capitato di mangiare quello che è considerato il migliore hamburger a New York: era sputato da una macchinetta dopo che io avevo potuto programmarmi un po’ tutto. Una tristezza rispetto al casino di Katz
Nella ossessione di tagliare i costi, tipica della grande industria perché così richiesto da fondi di investimento che spesso controllano l’impresa, si cerca di incidere sempre sul personale che non viene considerato valore aggiunto. E invece è proprio quello, il rapporto con il pizzaiolo o il cameriere, la possibilità di essere coccolato tutto sommato a basso costo come avviene nelle pizzerie moderne che spinge la gente a scegliere sempre l’artigiano. Può darsi che in un futuro prossimo le cose cambino, che le consegne arrivino attraverso i droni direttamente al nostro piano dopo aver ordinato attraverso una app. Ma lo stile italiano di rapportarsi al cibo, ne siamo convinti, non tramonterà mai, a dispetto di tutte le previsioni finanziarie dei bocconiani.
Ecco perché le nostre catene artigianali sono in espansione in Italia e nel mondo mentre Domino’s ha dovuto battere in ritirata dal paese dove il cibo è ancora una religione.
Forse l’unica rimasta agli italiani
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