Domenico Marotta e la bruschetta al pomodoro

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Chef Domenico Marotta

Non è noto al grande pubblico e la Michelin ha segnalato il suo locale senza ancora riconoscergli la stella. Non è mediatico perché ha un carattere timido e riservato e non riesce a fare lo sborone come qualche suo collega. Ma tutti gli appassionati e i gourmet conoscono bene Domenico Marotta, classe 1988, al lavoro nella frazione Squille di Castel Campagnano in provincia di Caserta, proprio al confine con quella di Benevento.
Tra queste colline purissime popolate dall’olivo caiazzano ha creato nel 2019 il ristorante che porta il suo nome ricavandolo da una attività di famiglia impegnata sostanzialmente nella banchettistica.
Come mai gli appassionati e i gourmet lo conoscono bene? Beh, intanto per il suo curriculum che pochi possono vantare in Italia: tre anni da Andrea Berton al Trussardi alla Scala, più di tre da Enrico Crippa a Piazza Duomo (è andato via da junior sous chef), un anno alla corte di Passard. Passaggi lavorativi anche da Éric Frechon, Kobe Desramaults e in Giappone da Seiji Yamamoto. Tanto per dire e tralasciando altre tappe. Infine la decisione di tornare a casa.

I frequentatori seriali di ristoranti si troveranno subito di fronte ad un linguaggio comprensibile e moderno che si riassume così:
1-Grande precisione tecnica nelle esecuzioni delle cotture
2-Assoluta considerazione per i vegetali usati prodotti del futuro che non necessariamente vanno accompagnati da carne e pesce
3-Pulizia nella presentazione e riduzione del numero degli elementi in ciascuna ricetta
4-Originalità delle proposte declinate con la materia prima del territorio e non con prodotti seriali acquistati sul catalogo. E dunque stagionalità.
Una precisione chirurgica nelle cotture, sensibilità nel trattare il mondo vegetale, pulizia gustativa, personalità, appartenenza, leggerezza; i tratti distintivi della cucina d’autore moderna, cardini per qualsiasi cuoco contemporaneo. E il suo piatto è quasi non cucina: la bruschetta con il pomodoro

Come diventi cuoco?
“Sono figlio di un cuoco. Mio padre Angelo aprì nel 1984 il suo ristorante a Faicchio in provincia di Benevento. Lui in cucina e mia madre Maria Rosaria in sala. Era un locale di tradizione tipico delle zone interne del nostro Sud. Poi nel 1997 da Faicchio si è spostato a Squille, sono pochi chilometri anche se qua siamo a Caserta creando la struttura che ancora oggi funziona. Fu naturale per me fare la scuola alberghiera, studiai a Formia e l’ultima estate feci lo stage da Berton quando aveva appena aperto Trussardi alla Scala”.
Un mondo nuovo in cucina.
“Si, dopo il diploma mi chiamo e mi propose di lavorare lì e accettai. Con lui ho capito come funziona una cucina moderna, ricordiamo che parliamo di uno degli allievi di Marchesi, bravissimo. Severo ma giusto, perfezionista oltre ogni ragionevolezza e da lui ho imparato le basi, primo fra tutto come si sta in una cucina moderna. Stavo lì quando la Michelin gli riconobbe la seconda stella”.
Quando tempo sei stato li?
“Tre anni. Poi la voglia di conoscere la Francia mi ha portato li, Berton mi ha incoraggiato a farlo e gli sarò sempre grato. Anche qui tre anni complessivamente da Passard e da Frechon, il primo mi ha trasmesso l’importanza del vegetale nell’alta cucina che adesso è molto di moda ma che un tempo non veniva considerato come protagonista ma solo come accompagnamento. Un po’ come è ancora nel senso comune in Italia, vegetariani a parte. Poi ancora tanto tempo da Crippa a Piazza Duomo e una esperienza in Giappone”.
Dopo dodici anni in giro per le migliori cucine mondiali il ritorno a Squille. Non è stata una scommessa azzardata?
“Azzardata sicuramente no perché tornavo in famiglia, in una struttura avviata.”
Magari tuo padre non si aspettava che volessi fare un ristorante fine dining.
“Certo che no. All’inizio era perplesso ma alla fine mi diede carta bianca a patto che fosse un’attività autonoma e sostenibile economicamente. Con il tempo. È diventato uno dei miei migliori clienti, mi manda molti suoi amici.”
Tu non collabori proprio con il suo locale?
“No, ma è ovvio che abbiamo continui scambi di idee visto che facciamo lo stesso lavoro”.
Quando parlavo di impresa azzardata mi riferivo alla decisione di venire qui a Squille, lontano dai centri abitati, dove bisogna venirci di proposito. Magari in una grande città sarebbe diverso.
“Io credo che un ristorante per avere successo debba essere molto identitario, esprimere bene il posto in cui sta. Noi in questo territorio abbiamo tutto, come ovunque nel Sud, a cominciare dall’olio d’oliva, alle verdure, gli ortaggi, la frutta, per non parlare del mare e anche della carne. Non sono molti i luoghi dove c’è questa qualità di materie prime e una fortissima tradizione gastronomica. Per questo la Campania è fortissima. Dunque quello che può sembrare uno svantaggio in realtà può essere un vantaggio”.
Oggi che ambizioni hai?
“Di stare sempre più concentrato nel locale, migliorare e migliorarmi perché in questo lavoro non si arriva mai. Quando siamo chiusi per ferie mi piace viaggiare per aggiornarmi. Il mio obiettivo è dare una lettura del territorio moderna e comprensibile a tutti in cui però anche chi ci abita possa riconoscersi nei sapori. Perché il vero mestiere del cuoco è lavorare sul gusto, non sulla estetica”.
Come puoi riassumere la tua cucina?
In primo luogo una cucina che deve avere gusto, con piatti che piacciano a chi si siede a tavola. Per fare questo non è necessario usare tanti ingredienti, bisogna sapere sfruttare bene con ogni tecnica, il prodotto. Nel piatto ci devono essere poche cose, ben visibili, e ciascun elemento deve esaltare altro, tipo, per spiegarci, il rapporto che c’è fra il pomodoro e la mozzarella, da freschi sono ad alcuni piatti iconici tradizionali”.

La ricetta bruschetta al pomodoro

La mia bruschetta, o fresa al pomodoro è molto semplice e tutti la possono fare. Basta una padella o un tostapane per togliere l’acqua. In un piatto preparo il pomodoro fresco schiacciato a mano fatto marinare con olio, basilico e origano. Inutile aggiungere sale perché è già contenuto nel pane e poi perché basilico e origano non ne sentiremo la necessità. Faccio stare una ventina di minuti a temperatura ambiente in modo tale che gli elementi si mischiano bene fra loro. A questo punto bruschetto il pane (o bagno la fresa leggermente), e spugno tutto direttamente nel pomodoro. Buonissima.

 


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