Stasera, per il secondo anno, quasi cento pizzaioli saranno a Napoli per il più importante e atteso appuntamento del settore: la finale di 50 Top Pizza World
A questo appuntamento siamo arrivati con un percorso a tappe speciale, iniziato a Tokyo e passato per Barcellona, New York e Roma.
Domani sarà soprattutto una festa, perchè in realtà la classifica mondiale è la sintesi di tutte le classifiche, anche se qualche sorpresa non mancherà ovviamente.
Quando con Barbara Guerra e Albert Sapere abbiamo iniziato questo viaggio non potevamo immaginare il successo planetario consacrato da migliaia di articoli ogni anno, compreso il passaggio sui grandi network italiani internazionali. Avevamo un solo semplice obiettivo: che il racconto italiano del mondo pizza non facesse la fine di quello gastronomico, ossia relegato ad una ristretta cerchia di gastrofighetti con gli sponsor in grado di imporre premi dopo il calo delle vendite e addirittura in qualche caso posizionamenti. Volevamo una guida popolare, diretta ai lettori e ai clienti che, a decine di migliaia, con la loro esperienza, corroborassero le nostre scelte, dettate unicamente dal nostro giudizio, buono o sbagliato che sia.
Come sono lontane, oggi, le polemiche sulle utilità delle classifiche, anche perché alcuni di coloro che le facevano se le sono messe a fare e ormai nei social è tutto una classifica, dalla cinque scopate più belle alle città più pericolose e via cantando. Il provinciale mondo italiano ha assorbito questo modo di comunicare anglosassone che, come la democrazia, non sarà perfetto ma non esiste un altro migliore.
I nostri ispettori veramente vanno nelle pizzerie in anonimato, pagano e fanno la recensione, come un qualsiasi cliente e non c’è scheda pizzeria che non abbia lo scontrino pronto da esibire in caso di contestazione come già è avvenuto.
Per fare questo lavoro abbiamo investito molto, moltissimo, in capitale umano: non so se siamo gli unici a pagare il lavoro, ma certamente quelli che pagano meglio in Italia chi compila le schede mentre altre imprese editoriali hanno progressivamente tagliato proprio questi costi secondo i migliori manuali bocconiani. Risultato: spesso (non sempre ovviamente) marchette personali in cambio della visibilità della propria firma.
Questo investimento in capitale umano ci consente di limitare gli errori, che sempre ci possono essere.
I nostri ispettori sono anonimi, se si manifestano vuol dire che non lavorano veramente per noi, soprattutto se vogliono scroccare la pizza.
Questa è stata la nostra forza, ma non ce lo siamo inventato noi: il modello sono le degustazioni coperte dei vini a prescindere dal nome e dallo storytelling.
A proposito di storytelling, come sempre accade nei casi di successo, ce ne sono tanti che circolano sul nostro conto. Il principale è che per vincere bisogna acquistare i prodotti degli sponsor. Niente di nuovo sotto il Sole, per la Michelin si diceva negli anni ’90 che bisognava comprare i vini francesi e servire il foie gras: molti pizzaioli pensano che noi siamo come gli altri, e purtroppo gli esempi non mancano, con gli sponsor che impongono vincitori o persone da salire sul palco, ma non è questo il nostro caso e proprio questa è la nostra forza. I rapporti fra redazione e sponsor sono quelli previsti dalla legge sull’editoria e chi investe punta alla visibilità per vendere, non a far vincere chi usa i propri prodotti. Errore clamoroso che un famoso mulino ha fatto sulla comunicazione non fosse altro che non puoi accontentare tutte le centomila pizzerie e per uno che soddisfi dieci ti lasciano.
Se qualcuno afferma il contrario, come è successo, dovrà dimostrare questa singolare tesi in Tribunale.
In un mondo, come la gastronomia, in cui tutto è diventato grigio e non si distinguono più i ruoli, dove si scrive male se non si trova il posto, dove si annuncia la visita con largo anticipo, questo nostro atteggiamento di netta separazione tra soggetto e oggetto ci ha procurato non poche critiche da parte degli uffici stampa che invece di curare la qualità dei loro clienti pensano a trovare scorciatoie, da parte di rappresentanti di aziende che non sono con noi, da chi vorrebbe essere noi ma non è perché ragiona da tifoso dilettante e non da professionista. E poi ovviamente gli scontenti. Tutti costoro sono stati il nostro migliore ufficio stampa sui social che non abbiamo avuto nemmeno bisogno di pagare perché in Italia molti provano gusto a parlare male invece di costruire (il vecchio catenaccio all’Italia, primo non fer giocare l’avversario). E parlando male hanno creato la leggenda, un po’ come parte della sinistra ha fatto con il Berlusca.
Noi abbiamo solo due grandi coordinate nella nostra mappa: la prima è che la pizza non può prescindere da Napoli, la seconda è che la pizza buona non si mangia solo a Napoli.
Questa visione deideologizzata ci consente di guardar sereni a tutti i modelli e a premiare quelli che sono, dal nostro punto di vista, quelli più coerenti e robusti.
Sbagliando si impara, e noi ad alcune ingenuità di partenza abbiamo posto dei correttivi, ascoltando le critiche realmente costruttive, separando le pizzerie da asporto da quelle con servizio e creando la classifica delle catene, una vera eccellenza fatta di imprenditori seri e regole sul lavoro rispettate al secondo.
Siamo molto orgogliosi di quello che stiamo facendo perché alla fine non è nulla di straordinario: o forse, in un mondo senza regole, in una giungla di personaggetti e personaggioni, praticare la normalità è veramente qualcosa di straordinario.
Per parafrafrasare Brecht, povero quel settore gastronomico che ha bisogno di eroi!
Buona Pizza a Tutti!
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