Negli ultimi anni molti imprenditori di successo provenienti da altri settori hanno pensato di investire in agricoltura e soprattutto in viticoltura.
Sicuramente un fenomeno positivo perché segna il diffondersi del rispetto per la cultura rurale dopo almeno tre decenni di acuto disprezzo (dai ’60 agli ’80) verso il mondo contadino.
Purtuttavia non sempre le aspettative vengono mantenute perché gli errori vengono sistematicamente fatti da molti in un repertorio che ormai può essere oggetto di studio sociologico in quanto non riguarda il singolo, ma la categoria.
Errori che chiunque del mestiere non farebbe mai.
Per esempio?
1-Piantare merlot in una regione che è segnata da vitigni autoctoni solo perché, a orecchio, si conoscono le uve internazionali.
2-Fare pubblicità su mezzi che hanno avuto un senso negli anni ’90 ma che adesso non servono quasi a nulla
3-Non studiare con umiltà quello che hanno fatto le aziende storiche del territorio per cercare di imparare.
4-Non studiare con umiltà quello che hanno fatto i contadini per secoli in quel territorio.
5-Non capire che se famiglie come Gaja, Antinori, Frescobaldi, Zonin, Tasca, Planeta, Mastroberardino, girano in prima persona per raccontare i propri vini, l’azienda agricola non deve essere considerata parte di una holding, ma ha bisogno di un racconto in prima persona.
Capita spesso che questi imprenditori si trasformino in veri e propri polli nelle mani di imbonitori che non hanno alcun credito nell’ambiente. L’agricoltura, anche quando si parla di milioni di bottiglie, ha sempre un’anima artigianale. Pago (magari anche qualche marchetta) pretendo non funziona in modo così meccanico.
All’origine di questi errori pacchiani ci sono quattro motivi fondamentali che fanno parte della psicologia della maggior parte degli imprenditori italiani.
1-La presunzione di chi ha avuto successo e ritiene che il proprio protocollo sia valido in qualsiasi campo.
2-La fretta di realizzare come se si trattasse di cemento, biscotti, pannolini invece di capire che non servono cinque, ma ben dieci anni prima di vedere i primi risultati apprezzabili e che tutto quello che viene prima è semplicemente finto, dopato. Al massimo serve per la prima vendita che non viene seguita dal secondo ordine.
3-Mentre l’agricoltura ha un’anima di territorio, l’impresa ha l’anima nel conto corrente. Non a caso la prima non si può spostare mentre per la seconda è assolutamente indifferente cosa produrre e dove produrre se non con i parametri del profitto.
4-La viticoltura oggi è cultura, e spesso gli imprenditori non hanno mai avuto il tempo di leggere neanche un libro in vita loro se non i sunti preparati dal proprio segretario.
Ecco allora il consiglio che regalo (dunque non viene seguito perché questi applicano solo quelli seguiti da profumate parcelle): fatevi la vostra azienda per distendere i nervi, rigenerarvi, recuperare il senso profondo della vita, regalare un gadget personalizzato a fine anno.
Perchè un’azienda agricola è come un/a amante: emoziona, produce problemi e non reddito perché costa tanto. Ma veramente tanto.
Concluderei dicendo che è molto più facile fare fessi cento imprenditori freschi di cantina che un contadino:-)
Dai un'occhiata anche a:
- Food e comunicazione. Facciamo un po’ il punto in Italia
- Congresso Assoenologi a Cagliari: cinque cose sul mercato da mandare a memoria
- Tripadvisor guida per l’uso intelligente e cosa fare la prima volta in un locale
- Fretta e velocità dalla ruota ai social network
- Trattorie da incubo. Si può dare di più…ma il cane è nobile
- A proposito, io sto con i trattori: è una battaglia di civiltà
- Tema: perchè Langosteria ha schiacciato la Michelin?
- Polemiche estive. Dieci punti di vista, da leggere sotto l’ombrellone