Serve veramente lamentarsi sui social per le scelte di una guida? La risposta, secca, è no.
Soprattutto quando ormai les jeux sont faits, rien ne va plus perchè non si può cambiare un giudizio ormai scolpito nella carta e soprattutto difficilmente cambierà come dimostra l’ormai famoso caso Camanini, finalmente archiviato a quanto pare in questa edizione, che non ha ottenuto la seconda stella dopo che per anni gran parte della critica gastronomica italiana lo ha invocato a gran voce. Oppure, per andare un po’ indietro nel tempo, la stella tolta e non restituita a Lopriore.
L’unico effetto concreto nella vita reale che si ottiene è fare da ufficio stampa gratis alla Michelin, il che può valere la pena se si è stati in qualche modo premiati, certo non presunti penalizzati. Proprio queste baruffe chiozzote non fanno altro che allungare ed amplificare la notizia o l’evento sui social, coinvolgere magari chi ne era estraneo, polveroni che alla fine per chi li solleva hanno la semplice funzione di sfogo psicologico. Ora finché i protagonisti sono adolescenti (in Italia età che si è protratta a quanto vedo sino a 40 anni), passi pure, ma resto ancora stupito come partecipino anche persone che esercitano questo lavoro per professione. Le polemiche sono come l’amaro o il salato nei piatti, sono esaltatori di sapore.
Protagoniste di discussioni quest’anno sono state due regioni che iniziano con la P. La prima, il Piemonte, crede e ha sempre creduto molto in se stessa riuscendo spesso ad universalizzare usanze abitudini locali grazie ad una splendida mentalità organizzativa che impone protocolli rigidi e seguiti con perseveranza sempre e comunque. L’altra crede poco in se stessa, la Puglia, al punto di autoflagellarsi oltre ogni ragionevole evidenza positiva.
Infine è entrato in gioco il Lazio con l’intervista ad Anthony Genovese, un cuoco che adoriamo al punto da tenerlo, nel nostro piccolo, stabilmente primo a Roma e sempre nei primi dieci nei ristoranti di cucina d’autore di Top Italy. Probabilmente esasperato da speranze disattese di una terza, si è lasciato prosciugare maieuticamente dal collega del Gambero Rosso che lo ha intervistato facendo trapelare tutta la sua irritazione e amarezza. Naturalmente è singolare che una testata affermata come il Gambero decida di fare da sponda e da amplificatore ad una guida tutto sommato concorrente, ma ormai in nome del clickbaiting tutto è consentito.
Naturalmente questa non è una baruffa da social, ma l’intervista dello chef bistellato, quindi da uno che è ritenuto dalla rossa fra i 53 migliori ristoranti italiani fra i millemila che sono aperti, si lamenta per una sottovalutazione allargando il discorso ad una totale assenza di politica promozionale da parte delle istituzioni romane, a differenza di quel che accade all’estero. Verrebbe da commentare con un bel proverbio napoletano: ‘O sazio nun crere a ‘o riuno, ossia colui che è sazio non crede alla fame di chi è digiuno. Come sempre accade, i detti napoletani riportano a espressioni corporali stati d’animo, perché questo proverbio è usato proprio per sottolineare che spesso il più fortunato non è capace di capire lo status dell’altro, ma, molte volte, finisce anche per metterci bocca in modo superficiale.
La Michelin trascura Roma? Solo lo scorso anno Acquolina ed Enoteca La Torre hanno conquistato le “Due Stelle”, Pulejo ha avuto una “Una stella”. Cosa è cambiato da un anno all’altro? L’apertura di Roy Caceres che ha ottenuto la stella nel 2024.
Roma non fa nulla per autopromuovere la gastronomia? L’indifferenza della politica romana non è superiore o inferiore a quella di altri grandi comuni. Basti pensare che a Napoli, la provincia più stellata d’Italia, le amministrazioni comunali e regionali sono impegnate a promuovere villaggi di baccalà e cioccolata con putitù e tamburrelle, penalizzando addiruttura il Pizza Village.
Il Piemonte punito? Come le economie mature, non si può pensare di crescere ogni anno a due cifre anche se l’amore per il proprio territorio spinge a fare segnalazioni su segnalazioni per le presunte dimenticanze. Il Piemonte è la terza regione d’Italia come numero di stelle, la città di Torino ne ha dieci, giusto il doppio di Napoli città pur avendo le stesse dimensioni a livello comunale.
La Puglia è stata ignorata? Vale anche qui la domanda fatta per il Lazio: quali novità ci sono state nell’ultimo anno? Fino a quando le masserie e i grandi alberghi non decideranno di investire in gastronomia purtroppo questa stupenda regione rischia di restare al palo.
Io credo che commenti relativi alle scelte, alle sottovalutazioni di territori siano sempre fini a se stesse e non smuovono niente.
Vale per la Michelin come per tutte le guide.
Occorre invece interrogarsi con profondità cosa ci sia dietro una scelta e una linea editoriale.
Ma a questo punto copio e incollo il commento lasciato scivolare su Facebook di Marco Trabucco, giornalista professionista, a lungo responsabile del Piemonte della Guida Espresso e firma di Repubblica sulla gastronomia, autore di libri e ricerche sul tema, perché sinceramente io non saprei dire meglio quello che lui ha detto e che invita a riflettere.
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di Marco Trabucco da Facebook
Qual è la logica che sta dietro alle scelte della guida Michelin? E perché quest’anno ha penalizzato il Piemonte? Non è facile capirlo, ma qualche elemento di analisi ci può essere. Come ha scritto Giulia Gavagnin in un post, sono totalmente d’accordo sul fatto che la Michelin oggi ragioni nell’ottica turistica, prima che di quella di pura critica gastronomica. Che insegua/crei nuovi territori in questa direzione. E che la sua idea di turismo comprenda sia quello leasure (vedi Costiera, Toscana, Langhe, Garda) che il business (Milano, ma la Lombardia più in generale, certe zone del Veneto, e in misura minore anche Torino che non bisogna dimenticarlo, anche dopo la perdita di una, ha ben dieci stelle Michelin “singole” e sono poche le città europee che possono vantarne altrettante).
Non credo invece che la perdite di stelle in Piemonte sia il sintomo di una qualche crisi dell’alta ristorazione. Che se c’è c’è qui come nel resto di Italia. E sono molto meno d’accordo sul fatto che esalti la cucina di “territorio” più o meno modernizzata, a scapito di quelle autoreferenziali di certi chef alla moda. Perché non mi sembra, per fare due nomi di cuochi che amo molto tra l’altro, che Mammoliti o Giacomello siano chef che non mettono il proprio ego nei piatti. Anzi. Le logiche della Rossa piuttosto mi sembrano altre: prima di tutto la solidità economica del progetto, e quindi cosa c’è “dietro” un ristorante. Un territorio, sì, ma anche hotel, produttori di vino o altri generi commestibili, aziende solide, insomma. La continuità poi. Chi cambia spesso, vedi Taglienti, ma gli esempi sono molti, viene messo in punizione. Vanno meno di moda le storiche famiglie che per anni sono state molto amate da Michelin e che invece quest’anno hanno subito batoste non male: i Moroni di Aimo e Nadia, Bracali, i Vicina, i Ferretto del Cascinale Nuovo, i Possoni di Ma.Ri.Na. a Olgiate Olona. Come se fossero invecchiati improvvisamente una serie di indirizzi storici per Michelin. Tra l’altro molti di questi sono veri campioni del territorio, nel senso classico del termine. E in certe scelte anzi si vede un certo giovanilismo. Poi ci sono le “scuole”.
Gli ispettori Michelin, si sa, amano in Italia quelle di Bartolini, dove passa nasce una stella, ma anche di Beck, di Niederkofler (quattro monostellati quest’anno sono suoi allievi), e in passato degli Alajmo. E ancora Cannavacciuolo, ovviamente, e Crippa (tre bistellati attuali sono passati dalla sua cucina). Non piacciono invece (con la sola eccezione di Crippa appunto) gli eredi di Marchesi ormai è evidente: Cracco, Berton, Baronetto, Camanini, Lopriore, persino Gorini che di Marchesi è allievo solo per interposta persona, continuano a restare a una stella. O addirittura senza. Sul perché girano anche pettegolezzi divertenti (ma credo diffamatori). Infine, c’è da tenere conto che negli ultimi anni molti ispettori della Rossa vengono dall’estero. E questo un po’ spiega il grande amore di Michelin per la cucina del Sud in generale e per quella campana in particolare. Che è considerata con buone ragioni, la “vera cucina italiana”, quella che interessa davvero la clientela internazionale, mentre quelle del Nord, in particolare quella piemontese ma anche veneta, hanno un po’ annoiato, sono considerate in fondo una Francia in minore. Un amore che, se non ha ancora convinto la Rossa a premiare le pizzerie, purtroppo, ha coinvolto però anche il Nord: in Piemonte, ad esempio, a partire da Cannavacciuolo e dai suoi eredi ma anche altri ormai, la cucina del Sud è stata super premiata negli ultimi anni. E io dico per fortuna.
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Capito i Bonus da considerare?
1-Luoghi turistici
2-Solidità della proprietà e/o della gestione familiare
3- I piantagrane che cambiano in continuazione non sono affidabili anche se geni
4-Equilibrio fra cucina d’autore e aggancio all’italianità della proposta.
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