Domaine de la Romanée Conti

Pubblicato in: Champagne e Vini francesi

Poteva mancare a questa rubrica il vino più mitico della storia della viticoltura mondiale?

La risposta è si, ma poi ho deciso di spingere in fondo ad un profondo cassetto qualche eccesso di snobismo ed eccolo qui, al numero 44.

 La Romanée Conti,  materia di leggenda, sorgente di mistero, di voluttà e trascendenza. Una vigna che già da sola fa sognare e viaggiare con l’immaginazione, meno di due ettari la Romanée Conti, meno di due ettari incastonati su un dolce pendio della Cote de Nuits, in Cote d’or (contrazione di Cote d’Orient) , all’interno del piccolo villaggio di Vosne Romanée.

No, questo vino, questa vigna, così come il Domaine a cui appartiene non poteva mancare, insieme alla manciata di terroir grand cru che compongono il portafoglio di cru più completo del comune di Vosne. La prendo piuttosto da lontano stavolta, perché l’argomento non è secondo a nessuno, a partire dal termine Domaine, che in questo caso riflette pienamente il concetto borgognone di insieme di diversi cru, di diversi climat, coltivati e vinificati separatamente secondo le tradizioni centenarie che hanno portato ad identificare e dividere con i tipici muretti in pietra i diversi cru, riconoscendone quindi da secoli le piccole o grandi differenze, diversamente dal bordolese, dove il termine Chateau identifica qualche cosa di più generico, dove può anche essere uno solo il vino derivato da tutte le estensioni delle vigne, anche di diverso climat o addirittura di diverso vitigno. Un savoir faire, quello bordolese, che in sintesi è stato a suo tempo bollato lapidariamente da Madame Leroy ( alla DRC fino all’inizio degli anni ’90)  come “ Melangeurs Parkerisè”.

A questo punto, qui potrebbe partire il lancio di una mattonata di post che partirebbe da undici secoli fa e finirebbe con il Montrachet 1993 DRC  separato dal suo sughero l’altro giorno, post che provocherebbe una moria di lettori travolti da non so quanto eccitanti ed appassionanti vicende medievali, con Cavalieri e Principi,  maldestri o sfortunati imprenditori ed infine con furbi commercianti all’attacco dei mercati più disponibili a farsi penetrare.

Nonostante le mille vicissitudini storiche i vini del DRC sono tuttora i più quotati sul piano speculativo a livello mondiale, e non solo per essere diventati mitici grazie alla lunghissima tradizione ed alla relativa scarsità di bottiglie prodotte,  ma anche perché ci fu un tempo, almeno fino alla metà degli anni ’80 inizio ’90 , in cui le persone appassionate e benestanti li compravano per berli perchè erano eccellenti, e non per lucrare spregiudicatamente su  ogni mercato emergente . Adesso è la Cina, prima furono i russi e prima ancora i giapponesi, ma anche gli americani a suo tempo si misero nelle condizioni di acquistare ad ogni prezzo una Romanée Conti o una bottiglia di La Tache.

Quindi, volendo tralasciare storie che sanno troppo di muffa o sono ormai coperte da molte ragnatele direi che il punto centrale, la situazione storica che più ha inciso sul successo attuale è stata la lungimiranza di Henri Leroy, che rilevò in condizioni pressoché fallimentari il Domaine ed oltre a risistemarne  i conti e rilanciarne il prestigio internazionale nel secondo dopoguerra, bloccò il patrimonio di vigne con uno statuto societario che impedì la polverizzazione delle proprietà per ricaduta ereditaria, come accaduto in altri mille casi in Borgogna, dove certi grand cru come Clos Vougeot o Chambertin sono sbriciolati tra decine di proprietari diversi.

Del patrimonio di vigne dicevo, tutte grand cru, due in Monopole, e cioè la Romanée Conti (1,8 ha) e La Tache ( 6 ha) , Monopole, di proprietà completa del Domaine. Poi Richebourg ( 3,5 ha) , Romanée St.Vivant ( 5,3 ha) , Grands Echezeaux ( 3,5 ha) , Echezeaux (4,7 ha), Montrachet (0,7ha) .

Se non ricordo male ci dovrebbe essere anche un fazzoletto da naso di Batard Montrachet non sempre dichiarato sui sacri testi, altro grand cru tra Puligny e Chassagne , ultimo piccolo grand cru a far da mascotte nel portafoglio della Società Civile, molto Civile,  ma così piccolo che la limitata quantità di vino ricavato è trattenuto per consumo interno alle famiglie dei soci , Villaine e Roch. Chissà se è buono, chissà se ci mettono meno legno rispetto al Montrachet.

Vediamo bene che il totale è tutt’altro che scarso rispetto alla media delle pezzature della parcelle di molti altri Domaine della regione. 25 ettari di grand cru sono moltissimi da quelle parti, ed il solo valore economico dei terreni è incalcolabile.

La conversione alla biodinamica su questi terreni è stata progressivamente applicata , rincorrendo un po’ la strada intrapresa dalle due signore della Cote D’Or, Leroy e Leflaive, e  i risultati sono sicuramente confortanti, perché i vini hanno mantenuto la finezza e  l’eleganza tipiche dei terroir di Vosne, anche se dopo l’uscita della famiglia Leroy lo stile si è fatto più cupo, più concentrato, e soprattutto l’affinamento in legno ha cominciato a lasciare troppo il segno sulla finezza del pinot noir di Vosne, dove dovrebbero essere sempre i toni floreali a dominare l’elegante bouquet, mentre il presumibile elevage in legno nuovo lascia un segno indelebile.

Il discorso non cambia su Montrachet, dove la ricerca di un frutto vendemmiato molto maturo e il pesante elevage in legno si farà sentire a lungo, per decenni, ma è questo lo stile scelto, prendere o lasciare, come è altrettanto discutibile la scelta di far nascere qualche anno fa la trascurabile Vosne Romanée 1er cru cuvèe denominata Duvault Blochet in ricordo del proprietario del Domaine alla fine dell’800. Scelta che rompe con il passato, dove lo statuto prevedeva la sola commercializzazione di vini grand cru, e soprattutto migliori di questa robetta diluita e senza nerbo.

Il tutto a caro prezzo, a carissimo prezzo, colpa della speculazione, colpa del prestigio, della storia, del fascino del mito, il prezzo da pagare per mettere sotto il naso e bersi qualche migliaio di euro. Diversamente, per berlo si può anche fare così, perché qualche ricco imbecille che frequenta certi locali si trova abbastanza spesso.

Fu il caso di quella sera all’Hostellerie de Levernois , nella prima campagna intorno a Beaune, dove essendo solo al tavolo ordinai due mezze bottiglie, ma di prestigio, un Batard Montrachet ed un Bonnes Mares a seguire, ma,  ahimè, rimasi comunque a secco sul finale. Il gentile sommelier mi strizzò l’occhio e mi chiese se poteva fare lui per il seguito. Sempre dare fiducia, non si sa mai, al limite si può rifiutare dopo, ma non prima di sapere. Mi versò un bel calice con 4 dita di vino tenendo coperta l’etichetta con il frangino, bel vino, rubino intenso, naso di fiori rosa e  rossi, fini sensazioni speziate ma nulla di particolarmente sfacciato, da cercare con attenzione, piuttosto chiuso mi apparve .  Sa, mi dice,  l’ha voluto stappare a pranzo un giovane cliente russo, ma ne ha lasciato qui metà perché ha detto che non era molto pronto alla bevuta questo Vosne, giovane e chiuso. Vero dico io, aveva ragione il russo, si ma di che cosa si tratta? Tolse il frangino, ma facendo in modo che gli altri clienti ai tavoli non vedessero l’etichetta. Romanée Conti 1995. Aveva ragione il russo, fece bene a lasciarlo li…

 per me.


Dai un'occhiata anche a:

Exit mobile version