Diventa difficile raccontare della perfezione ma ogni tanto bisogna farlo. Già, perché il Dom Perignon rosè, un progetto partito nel 1962, è una delle prove che l’uomo può raggiungere il paradiso attraverso l’uva.
L’occasione per parlarne è una miniverticale organizzata dalla Fondazione Italiana Sommelier a Roma con Richard Geoffroy, lo chef de cave della maison, che mancava dalla Capitale da oltre quattro anni e che non è mai venuto al Sud. Il fresco 2004, il caldo 2003, il buon 2002, ma soprattutto, il gran finale con il 1995 che induce a fare alcune riflessioni.
La prima è che, contrariamente a quel che si vede, il rosato dopo vent’anni esatti conserva una freschezza impressionante. Anzi, se dobbiamo dirla tutta, ci è sembrato addirittura più vibrante e giovanile degli altri tre millesimi.
La seconda è la filosofia impostata dalla maison. Per i bianchi, ha spiegato Richard, l’obiettivo è quello di esprimere al meglio il territorio potendo scegliere tra centinaia di ettari sempre il meglio. Con il rosato lo scopo è gettare la palla nella metà campo in cui gioca il vitigno per sperimentare le incredibili potenzialità del pinot noir, in questa etichetta assemblaggio di ben venti cru diversi.
Infine bisogna notare che sin dalla sua nascita, il Dom Perignon Rosé è millesimato , il che vuol dire fare un grandissimo sforzo per restare sempre ai vertici a prescindere dall’andamento climatico delle annate.
Il risultato è grandissimo, ne potrete trovare ancora molte bottiglie in giro smanettando in rete a un prezzo che si aggira fra i 350 e i 400 euro. Noi lo abbbiamo bevuto sulle creazioni di Francesco Apreda, l’executive chef dell’Imago dell’Hasler a Roma, che sta vivendo davvero un momento di grazia.
Un incrocio perfetto tra due eccellenze assolute che insieme regalano un piacere assoluto. Dom Perignon 1995 è minerale, con rimandi di frutti di bosco, sentori iodati, al palato è secco, lungo, dal perlage fine ed elegantissimo.
www.domperignon.it
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