di Alfonso Sarno
Forse non lo sapete ma non esiste soltanto la colomba in versione meneghina; ce n’è un’altra sicuramente più antica e ugualmente buona in terra sicula chiamata anche palummeddi o pastifuorti. Ovvero dei dolcetti a forma di colomba ma anche di galletto originari dei paesi iblei, preparati con farina, zucchero e cannella e decorati con simboli legati alla Pasqua che, al pari della sorella più conosciuta, è stata inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali. Segno dell’inarrestabile, intelligente ritorno in tavola di tipicità, semplici come i palummeddi o sontuosi come – rimaniamo in Sicilia – la cassata pasquale d’origine araba e perfezionata nelle pazienti cucine monastiche vista la laboriosa preparazione: trionfo di ricotta di pecora, zuccherata, montata e mescolata a scaglie di cioccolata, pistacchi e canditi con il tutto racchiuso da due dischi di pasta frolla.
La ricotta di pecora domina anche nella pastiera napoletana, nella crostata tipica delle regioni centrali e nelle pardulas o casadinas sarde simili, per certi versi, alle colombine siciliane: piccoli dolci cotti al forno da mangiare caldi o tiepidi con una spolverata di zucchero a velo o con qualche goccia di miele e farciti con ricotta, uvetta e zafferano oppure con pecorino, uova, zucchero, strutto e scorza d’arancia. Golosi dolci di tradizione, essenziali al pari del cocorozzo, tipico del Molise rurale, un soffice pandolce rallegrato da uova colorate simbolo d’abbondanza e da un velo di zucchero e che conquista il palato grazie alla lunga lievitazione dell’impasto caratterizzato dalla presenza delle patate lesse e schiacciate.
Festosamente povero come le panarelle, scenografico, beneaugurante dolce lucano nato per la precisione nella provincia di Matera. La sua forma è quella di un cestino (la stessa dei cavagnetti liguri) ma anche di gallina o di cavallo, a seconda se si regala ad una bambina oppure ad un maschietto, contraddistinto anch’esso dall’uovo posto a ricordare la Resurrezione di Gesù Cristo o le pugliesi multiforme scarcelle, paste frolle a forma di ciambella nasprata, di colombine, coniglietti. Dolci antropomorfi che resistono alla omologazione del gusto proprio come il cavallo e la pupa che il giovedì santo si preparano in Abruzzo, dalle diverse consistenze d’impasto e varianti locali, ugualmente donate ai bambini il dì di festa.
Altre regioni, altre suggestioni: In Calabria si entra nella dimensione del pan sì dolce ma poco, poco con il pane pasquale rustico, una treccia a due cordoni ingentilita dall’aggiunta di zucchero ed anice, perfetta anche per accompagnare salumi e formaggi; in Toscana invece si festeggia con una schiacciata dalla forma rettangolare e dalla bianca superficie per lo spesso velo di zucchero con cui viene decorata. Una tradizione, questa che continua nel Lazio con la cosiddetta torta di Pasqua, in Emilia Romagna con la pagnotta, nel Friuli-Venezia Giulia con il pistum, antico dolce anche gateau mariage, a base di pane bianco grattato, pinoli, cannella, burro uova e spezie varie, nel Veneto con la “fugassa”, e così via nelle Marche, Umbria e Piemonte.
In Lombardia il panettone cede il posto al Bussololano, ciambella povera tipica del mantovano, in origine molto dura perché senza lievito ed ammorbidita bagnandola nel Lambrusco.
Infine nel Trentino Alto Adige si celebra la Resurrezione con una coreografica ciambella a forma di corona grazie alle uova colorate messe al centro ma a distinguersi per originalità è la Valle d’Aosta: il suo “mecoulin”, a base di uvetta sultanina e glassa d’acqua e miele è perfetto per ogni ricorrenza e va in tavola sia a Natale che a Pasqua.
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