La cittadina di Dogliani – poco meno di cinquemila anime – è a uno schiocco di dita dalla rinomata zona di produzione del Barolo. Terra di Langa. Di nebiolo, mica pizza e fichi. Eppure qui nasce, cresce e invecchia bene come forse non altrove il dolcetto.
Il miracolo dell’uva “della piemontesità” avviene proprio qui a Dogliani: non più vitigno «riempitivo», come accade oltre la riva sinistra del Tanaro, ma «centrale» del territorio, meritevole perciò degli areali più vocati e delle migliori esposizioni.
Centralità, dunque. Che poi è stato anche il filo conduttore di #Dogliani2.0: dolcetto e sogni, l’evento fortemente voluto dai produttori riuniti attorno alla Bottega del Vino Dolcetto di Dogliani. Una tre-giorni piena zeppa di cose da fare e da vedere cui hanno partecipato una trentina tra bloggers e appassionati del web. Un intero week-end per vivere il territorio, fatto non solo di vigne ma anche di boschi e terreni incolti. Di colori, soprattutto, con tutte le sfumature del rosso, dell’arancio e del marrone. Tre giorni per cercare di cogliere la grandeur di un vitigno che è lui e nessun altro, punto.
Molti sono stati i momenti significativi. La “cieca” di benvenuto, innanzitutto: una degustazione coperta di 22 etichette, buona parte delle quali del territorio langarolo, presso la bellissima cantina dei fratelli Orlando e Attilio Pecchenino.
E poi il seminario durante il quale l’agronomo Giampiero Romana ha tracciato l’identikit del vitigno: varietà dal germogliamento medio-tardivo e dal portamento sregolato, sensibile a quasi tutte le malattie che, pur bisognevole di maniacali cure in vigna (580 ore contro le 520 del nebbiolo, per dire), ha trovato su queste colline le condizioni ideali per esprimersi al massimo.
Quindi, l’incontro con tutti i produttori del Dogliani con la fascetta verde e di quello con la fascetta rosa della garantita: tanti, troppi – forse – per poter dedicare il giusto tempo ad ognuno e ascoltare la loro storia e quella dei loro vini.
Infine, la verticale delle annate storiche – dal 1995 ad oggi – nella bellissima tenuta dei Poderi Einaudi.
Sissignore, anche il dolcetto invecchia. A prescindere dalle tecniche di vinificazione: che si usi solo acciaio o anche il legno, grande o piccolo, è uguale. E basti un esempio per tutti: il Briccolero 1982 di Quinto Chionetti.
Insomma, niente male il dolcetto di Dogliani. Sa stare a tavola per accompagnare i piatti della cucina di langa. Sa essere umile, ha capito che non deve per forza di cose nebbioleggiare e rifugge ogni tipo di paragone con les cepages “nobili” dell’areale.
Sa farsi portavoce del territorio e delle sue persone, ognuna con le proprie idee ma con lo stesso attaccamento alla terra, “oro nero” da conservare con cura, da rispettare e da non esasperare, da amare. Sa essere grande, nel suo piccolo. E questa è la sua forza.
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