di Giulia Cannada Bartoli
La denominazione Aversa Asprinio s’identifica con il nome del vitigno perché l’Asprinio caratterizza da secoli, con sorti alterne, l’intero territorio dell’agro aversano. La presenza stessa di una specifica forma di allevamento che prende il nome da quest’area (alberata aversana) e la conservazione di alcuni esemplari centenari di vite pre fillossera sono la prova tangibile del rapporto storico – culturale che lega questo vino al suo territorio.
Sulla completa e affascinante storia dell’Asprinio vi rimando allo studio pubblicato dal collega Pasquale Carlo nel 2022 . Io mi limiterò a parlarvi delle tappe salienti e dei personaggi che hanno contribuito alla divulgazione della storia dell’asprinio dall’antichità sino a epoca recente. Una risorsa non solo vinicola, ma soprattutto storica, culturale e antropologica della nostra Campania.
Di Asprinio di Aversa Dop si è parlato lo scorso sabato in occasione di un interessante masterclass organizzata dal Consorzio Vitica in occasione di Terra di Lavoro Wines 2024 nella fiabesca corte della Reggia di Caserta. Il Consorzio, nato nel 2004, rappresenta le cinque denominazioni della provincia di Caserta: Aversa Asprinio Dop, Falerno del Massico Dop, Galluccio Dop, Roccamonfina Igp e Terre del Volturno Igp.
Il Fattore Umano è di fondamentale importanza nella produzione dell’Asprinio di Aversa perché è stato l’Uomo migliaia di anni fa a idearne il sistema di allevamento ad alberata (vite maritata al pioppo) e a preservarlo nei secoli. Questo è il vitigno autoctono con la storia più antica: la sua origine dovrebbe risalire all’addomesticazione della Vitis vinifica sylvestris coltivata dagli Etruschi.
Sull’origine del vitigno le tesi accreditate, oltre a quella predominante di radice etrusca, sono due: in epoca angioina, Louis Pierrefeu, cantiniere di corte di Roberto d’Angiò, individuò nei declivi vicino Aversa, il suolo ideale per impiantare le viti che assicurassero alla corte angioina una riserva ricca di spumanti. La scelta si rivelò giusta: i tralci di vite, infatti, appoggiandosi agli alberi di pioppo, che fungevano da sostegno, crescevano innalzandosi anche oltre i 15-20 metri di altezza e a festoni, consentendo così la produzione di quell’uva. Un’altra tesi, basata su recenti analisi molecolari, ridurrebbe l’Asprinio a semplice biotipo del Greco.
Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia‘ (Libro XIV) narra che “nel paese campano le viti si congiungono agli oppi, et quegli abbracciando per tutti i rami loro si distendono insino che arrivano alla cima, et vanno tanto alte che il vendemiatore pare che abbia a ricevere di queste la fiamma et la sepoltura”. Plinio conferma quindi che, a differenza del sistema della “Falanga” (tutore morto), inventato dai coloni della Magna Graecia per evitare il fenomeno della marcescenza delle uve (in Grecia allevate con sistema strisciante al suolo), nell’aversano si utilizzava un tutore vivo, appunto il pioppo.
Andando avanti nei secoli, grande estimatore dell’Asprinio fu anche Papa Paolo III Farnese che istituisce per primo la figura del bottigliere del Papa che affidò a Sante Lancerio, il primo sommelier ante litteram della storia con il compito di scegliere e abbinare i vini per il Papa. Sante Lancerio racconta dell’Asprinio che “vien da un luogo vicino a Napoli. Li migliori sono quelli di Aversa, città unica et buona. Ce ne sono delli bianchi et delli rossi, ma questi sono meglio. Tali vini sono molto crudi, sono vini da podagrosi. L’estate è sana bevanda. Di questa sorta S. S. usava bere alcuna volta per cacciare la sete avanti che andasse a dormire, et diceva farlo per rosicare la flemma. A volere conoscere la sua perfetta bontà vuole essere odorifero, di colore dorato, et non del tutto crudo. Volendolo per la state, bisogna metterlo, la primavera, nella cantina, et sia sì crudo che il caldo lo maturi, et prima faccisi la prova del colore. Tali vini sono stimati assai dagli osti, che li Cortigiani et Cortigiane corrono volentieri alla foglietta. Anco questo vino è lodato dai Medici, sicché è buono”.
Già a quei tempi le caratteristiche organolettiche dell’asprinio (bassa gradazione alcolica, marcata acidità, colore dorato e tendenza all’ossidazione) erano ben definite.
Carolina, moglie del Re Gioacchino Murat, scriveva al marito: “Questa e la terra promessa, nella campagna si vedono festoni di viti attaccati agli alberi con sparsi grappoli di uva assai più belli di quelli che gli Ebrei portarono a Mosè. Spero che quanto ti dico ti ispiri il desiderio di venire a vedere questo paese, vale la pena di fare cinquecento leghe per vederlo.” I Borboni avevano molto a cuore l’alberata e con grande intuizione commissionarono quadri che la rappresentassero, una sorta di cartolina ante litteram dove la “vite maritata” sposa un pioppo.
Philip Hackert, pittore della famiglia reale, nel 1786 ritrae una scena di vendemmia in cui la famiglia riposa tranquilla e rilassata proprio sotto un festone di vite maritata d’Aversa.
Nel 1787 Ghoete nel suo “Viaggio in Italia” cita il “suolo terso, deliziosamente soffice e ben lavorato, vini d’eccezionale altezza e robustezza con tralci fluttuanti di pioppo un pioppo a mo’ di reti”. Nel 1835 è il francese Aubert de Linsolas a citare nel suo “Souvenirs de l’Italie” i rami della vite intrecciati a grandi alberi, dando l’immagine di archi trionfali.
Quando la Francia del vino per prima fu invasa dalla Fillossera, i francesi non potendo più produrre vino cominciarono a richiedere ingenti quantità di Asprinio dal Regno di Napoli, tanto da chiamarlo “Champagne Napoletano”.
L’asprinio tra il 1770/’800 era il vino dei napoletani, alla festa di Piedigrotta si andava per bere il vino Asprinio, mangiare i Vermicelli e i fichi secchi. Le tre grandi tradizioni della festa. Questa è la doppia anima dell’asprinio “champagne napoletano” di Chiaia ma, anche vino del popolo. E’ proprio a questa duplicità che dobbiamo la conservazione dell’alberata aversana.
Alessandro Dumas padre, che visse a Napoli per diversi anni, ha scritto pagine straordinarie sull’asprinio che definiva un vino a metà strada tra lo champagne e il sidro di Normandia. La prima volta che Dumas visitò la città fu come semplice turista in un viaggio che lo ispirò per la scrittura de “Il Corricolo“ (un tipo di calessino sul quale ha girato per Napoli), opera che racconta Napoli con lo stupore e la curiosità di chi la scopre per la prima volta. E’ il primo scrittore a parlare della pizza, il cibo dei Lazzaroni: … è una specie di stiacciata come se ne fanno a Saint Denis, è di forma rotonda e si lavora come il pane. Varia nel diametro secondo il prezzo… A prima vista la pizza sembra un cibo semplice: sottoposta a esame, apparirà come un cibo complicato. La pizza è all’olio, al lardo, alla sugna, al formaggio, al pomodoro, ai pesciolini.”.
Paolo Monelli (giornalista 1891/1984) nel 1963 lo consiglia come aperitivo. “L’Asprinio, era ancora piena estate, me lo andavo a bere come aperitivo sulla fine del pomeriggio in certi antri ombrosi lungo la Riviera di Chiaia: fresco di grotta, acidulo, pallidissimo, fra il color paglia ed il verdolino”.
I due testimonial moderni dell’Asprinio sono stati:
Mario Soldati (1906 /1999) scrittore, giornalista, regista cinematografico, sceneggiatore e autore televisivo italiano. “Il grande piccolo vino. E come era difficile trovargli fratelli, cugini, parenti anche lontani. … Io lo assaggio adesso (nella cantina di Don Antonio e Don Vicienzo Triunfo, vinai di Napoli, nei pressi della Riviera di Chiaia) per la prima volta, e ne rimango strabiliato. Non c’è bianco al mondo così assolutamente secco come l’Asprinio, perché profuma appena, e quasi di limone ma, in compenso, è di una secchezza totale, sostanziale, che non lo si può immaginare se non lo si gusta. La grande instabilità del vino ne rendeva obbligatoria la conservazione in profondi cellai o grotte spesso scavati nel tufo e profondi non meno di 10 -15 metri, metodo utilizzato ancora oggi da molti produttori della pianura aversana.”.
L’Asprinio si beveva allegramente nelle locande del Cerriglio, della Vicaiola, di Porta Capuana, di Florio a Chiaia e del Crispano dove la bionda bevanda “scorreva a fiumi”.
Luigi Veronelli (1926/2004) Enologo, Cuoco, Gastronomo Giornalista e Scrittore. Veronelli lo paragona ai vinhos verdes portoghesi, lo bevve così, fresco di grotta: “Quando l’ho bevuto, mi sono emozionato. Ero in compagnia di un contadino, dalle parti di Aversa, e quell’Asprinio era eccezionalmente buono. Ben lavorato, fragile elegante, …allegro brioso… Quello che mi fa rabbia è la consapevolezza di non poterlo ritrovare. L’Asprinio sarebbe un vino splendido se venisse valorizzato”.
Negli anni del boom economico l’Italia fu invasa dal cemento e anche l’alberata ne fece le spese. Inoltre negli anni ‘80/’90 il mercato preferiva vini robusti e a forte gradazione alcolica, per cui la provincia di Caserta perde il suo primato.
A distanza di qualche decennio possiamo finalmente dire che, grazie al lavoro dei contadini prima, che forse inconsapevolmente, hanno conservato e protetto questo patrimonio e al lavoro di cantine e consorzi poi, l’Asprinio sta vivendo una fase di rinascita e fermento (è in corso il procedimento di candidatura dell’Alberata Aversana a Patrimonio Immateriale Unesco) anche per l’inversione di tendenza del mercato che richiede sempre più vini freschi e bevibili.
Un’altra ragione che, pare abbia condotto alla conservazione dell’alberata aversana è da ritrovarsi nel fatto che, già dagli anni ’40 la provincia di Caserta aveva un ruolo primario nella produzione di canapa nazionale. La canapa, infatti, raggiungendo altezze variabili intorno ai due metri dal suolo, creava condizioni sfavorevoli per un allevamento basso della vite, soprattutto in considerazione che la coltura della vite veniva condotta in consociazione.
La Doc Asprinio è stata istituita nel 1993, anche se, già nel 1970, era citata tra le uve bianche ammesse per la vinificazione. I comuni elencati dal disciplinare sono: in provincia di Caserta, Aversa, Carinaro, Casal di Principe, Casaluce, Casapesenna, Cesa, Frignano, Gricignano di Aversa, Lusciano, Orta di Atella, Parete, San Cipriano d’Aversa, San Marcellino, Sant’Arpino, Succivo, Teverola, Trentola – Ducenta, Villa di Briano, Villa Literno. In provincia di Napoli, Giugliano, Qualiano, Sant’Antimo.
L’areale dell’Asprinio di Aversa è totalmente pianeggiante e l’altimetria è compresa tra i 10 m. s.l.m. di Villa Literno e i 101 m. s.l.m. di Qualiano. L’esposizione prevalente dei vigneti è a sud. Trattandosi di impianti che si sviluppano per lo più in verticale, la resa per ettaro viene quantificata in kg. uva/mq di parete.
I terreni sono di chiara matrice vulcanica (vicinanza con i Campi Flegrei e Roccamonfina). In particolare, i suoli presentano in sommità uno spessore variabile, di alcuni metri, di materiali riconducibili al secondo periodo flegreo che rappresentano le facies incoerenti (pozzolane) e coerenti o pseudo coerenti (tufo giallo); in profondità uno spessore di materiali riconducibili al primo periodo flegreo (tufo grigio).Tali formazioni sciolte o litoidi, provengono da una stessa tipologia di terreni, le piroclastici. La composizione mineralogica delle piroclastici, prevalendo i prodotti dei Campi Flegrei è trachitica di natura alcalina ed inquadrabile nelle associazioni magmatiche potassiche.
La potatura e la vendemmia sulle alberate, l’abbiamo detto sono acrobatiche: gli uomini ragno si arrampicano sugli “scalilli” sospesi a15/20 metri di altezza. L’uva che si raccoglie a scalare, secondo i diversi gradi di maturazione, finisce nelle “Fescìne”, particolari ceste dalla forma appuntita, che una volta cariche d’uva, si calano a terra dove si conficcano nel terreno facendo cadere il contenuto.
La presenza nell’areale aversano delle Fescìne avvalora la probabile somiglianza dell’asprinio con la vite caucasica, anche perché in Georgia – dove la storia del vino è partita circa 8.000 anni fa – esiste una forma di allevamento praticata molto simile a quella dell’areale dell’asprinio, con similitudini anche nella composizione dei suoli, piroclasti di matrice vulcanica. Le Fescìne adoperate per la vendemmia, sono praticamente identiche a quelle rinvenute sul Mar Nero.
La superficie vitata è per lo più verticale. Il sistema della vite maritata al pioppo se, da un lato difende i grappoli da molte delle più comuni patologie fungine, dall’altro richiede una gestione attenta in primis dei tutori vivi.
La degustazione
Diversi studi hanno sostenuto la somiglianza genetica tra le varietà asprinio e greco. Infatti, con Decreto del 30 maggio 2018 è stata riconosciuta la sinonimia tra asprinio bianco e il greco bianco.
Dodici i campioni in degustazione :Metodo Charmat, Classico, Ancestrale e Fermo.
L’asprinio, per le sue caratteristiche ampelografiche e organolettiche, è da sempre vocato alla spumantizzazione. Si tratta per la maggior parte di viti a piede franco data l’impossibilità della fillossera di attecchire su questi terreni.
Cantina Bonaparte Corte d’Asprinia Spumante Extra Dry 2022. Questa cantina prende il nome proprio dall’entusiasmo dimostrato alla fine del 1700 dalla Regina Carolina Bonaparte per la bellezza del paesaggio (festoni come ricami nel cielo) ad alberata aversana. Qui l’Asprinio raggiunge i 10/15 metri. Ad ogni albero tutore sono affidate quattro viti che spingono i tralci a diversi metri dal suolo, ramificandosi in vario modo. L’unica uva che, grazie all’altezza, non ha bisogno di trattamenti. Il nutrimento lo riceve dal suo tutore. La vinificazione e la spumantizzazione si svolgono al buio e al freddo delle gole di tufo, profonde anche 15 metri a una temperatura di circa 13-14 gradi.
Il vino, metodo Charmat, affina 10 mesi sui lieviti e almeno altri dieci in bottiglia. Siamo a Casal di Principe in un vigneto storico ad alberata di 4 ettari e mezzo. Il calice si presenta giallo dorato carico, laddove l’abituale veste cromatica di un metodo Martinotti tenderebbe al paglierino chiaro. Il colore in questo caso è dovuto direttamente alle caratteristiche del vitigno asprinio. Il naso si esprime su note che vedremo essere il fil rouge di tutti i campioni in degustazione: ingresso citrino con sentori di foglia di limone e lime. Il sorso è pieno con alcol non abituale per l’asprinio (12/12,5%). L’ingresso in bocca è piacevolmente morbido, ma il palato vira subito verso la freschezza citrica del vitigno. La chiusura di bocca è sapida e dissetante. Posizionamento a scaffale sui 20,00 €.
Funambolo Asprinio Spumante Brut. L’alberata a Villa Literno è di Luca Paparelli, giovane enologo e vignaiolo a Galluccio nell’area del Roccamonfina. Si tratta infatti di un blend di asprinio (85%) e falanghina (15%). Otto mesi sui lieviti e quattro in bottiglia. Il perlage è abbastanza fine, il colore è giallo dorato anche più carico e luminoso. Il naso è apparentemente più timido a causa del blend. Il sorso è più rotondo, non ha la freschezza del precedente, anche se la chiusura di bocca è piacevolmente sapida. Si può definire un sorso ben in equilibrio, appunto del Funambolo, tra acidità, struttura e sapidità. Prezzo a scaffale sui 20,00 €.
Trenta Pioli Salvatore Martusciello. A Gennaro Martusciello, papà della rinascita della viticoltura flegrea, si devono anche i primi esperimenti di spumantizzazione dell’asprinio. Il nome Trentapioli si riferisce allo “scalillo”, la scala utilizzata per salire sull’alberata di 15 metri, composta appunto da circa 30 pioli. Il vino sosta sui lieviti in autoclave per almeno 6 mesi (Charmat lungo). Acidità e struttura sono sicura garanzia di longevità. Questo vino è il frutto del progetto personale di Salvatore Martusciello e sua moglie Gilda Guida, storica Donna del Vino della Campania. L’alberata si trova a Villa Literno ed appartiene alla storica famiglia Zagaria. Francesco, detto Ciccio, Zagaria, è la “bibbia” vivente dell’asprinio e punto di riferimento per moltissimi giovani enologi e vignaioli, soprattutto per la gestione agronomica del vigneto. Il calice non si presenta del colore dei due precedenti, è un elegante giallo paglierino con perlage fine e persistente quasi da Metodo Classico. Anche il naso è snello ed elegante, citrino, erbe aromatiche, pesca nettarina un pò acerba. In bocca torna la freschezza del vitigno ben bilanciata da una sinuosa cremosità. La persistenza aromatica è sorprendente, con un finale piacevolmente minerale e fruttato. Prezzo medio a scaffale sopra i 15,00 €.
Passiamo al metodo Ancestrale. I Borboni, Rivolta Metodo Ancestrale Asprinio Frizzante Igp. Nell’antichità si spumantizzava semplicemente aggiungendo del mosto al vino base con lieviti chiudendo con tappo a corona. La fermentazione avveniva in bottiglia fino ad esaurimento dei lieviti che esausti si posavano sul fondo conferendo un aspetto velato al vino. Questo metodo è tornato di moda da qualche anno… La peculiarità del Metodo Ancestrale è che non si effettua sboccatura, ciò causa assenza di limpidità e tipico sentore di crosta di pane piuttosto netto proprio grazie alla maggiore concentrazione dei lieviti in bottiglia. Siamo a Lusciano, la famiglia Numeroso, con Carlo, è stata dopo Gennaro Martusciello, tra le prime a credere nell’Asprinio.
La Cantina è scavata in profondità nel tufo, è proprio vero che il vino asprinio si sviluppa in verticale, le uve salgono sull’alberata e il vino scende in cantina. Probabilmente questo è l’asprinio che più si avvicina a quello che devono aver bevuto Soldati e Veronelli. Il calice è giallo oro carico, velato con minore effervescenza che ci darà maggiore cremosità al palato. La freschezza è spinta e, a differenza dei precedenti assaggi, si sente una chiusura di bocca chiaramente salata dovuta ai sali sviluppati durante la rifermentazione naturale in bottiglia, ma anche all’esposizione verso il mare delle alberate. Prezzo medio a scaffale sui 20,00 €.
Terra Felix Feronia Asprinio Metodo Ancestrale. Siamo a Succivo, Terra Felix è una cooperativa sociale che opera per la progettazione di soluzioni innovative di sostenibilità e inclusione. La cooperativa ha recuperato il Casale di Teverolaccio, una masseria del 1600, già sede di struttura militare e poi mercato del bestiame.
Con riferimento al Teverolaccio, sono stati ritrovati alcuni appunti del 1700 dai quali si desume che il legno dei pioppi e degli olmi veniva inviato a Napoli, allora la capitale più grande d’Europa, per riscaldare le abitazioni.
Da qualche anno è stata avviata la produzione di Asprinio di Aversa ma con sistema classico senza alberata. Anche in questo caso il calice si presenta giallo oro carico e velato. Al naso spicca la nota ossidativa che è un marcatore olfattivo tipico dell’asprinio. Fino agli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, l’asprinio si serviva in particolari bottiglie panciute ricoperte di ghiaccio, proprio ad evitare che l’aumento della temperatura generasse la tipica vena ossidata. Al gusto l’ossidazione è appena percettibile e piacevole. Il vino è più rustico, più campagnolo, a ricordare i vini dei contadini o lo “champagne napoletano” di fine ‘800. Il sorso sprigiona comunque una bella freschezza. Prezzo medio a scaffale sui 15,00 €.
Masseria Campito Priezza Asprinio Spumante Metodo Classico 2018. Siamo a Gricignano d’Aversa. Una cantina che in pochi anni è diventata modello della rinascita di un intero territorio. La famiglia Di Martino, con il giovane e appassionato Paolo e con la consulenza enologica di Francesco Martusciello, ha fatto una scelta precisa, con vigneti al centro dell’areale, ma allevati a contro spalliera. L’obiettivo è di ottenere uve con maturazione omogenea, per portare in cantina mosti precisi e lavorare molto bene sulle acidità. Il paesaggio a Masseria Campito è in ogni caso un’affascinante e ordinato giardino, pur in assenza di alberate.
Nel bicchiere abbiamo un 2018 con 72 mesi sur lies. Questa scelta se, da un lato, penalizza il fascino della narrazione, dall’altro, ritrova maggiore omogeneità dell’uva, lavorando in direzione di nettezza olfattiva, eleganza e freschezza, i tratti distintivi dell’Asprinio moderno. ‘A Priézza nella lingua napoletana indica, la gioia, la festosità, la letizia. Il calice si colora di un brillante giallo dorato con perlage fine e persistente. Il naso è di grande impatto e finezza. Profumi eleganti e sottili, inizialmente di fiori di campo, camomilla essiccata e classica crosta di pane, per poi virare verso i tipici aromi agrumati di scorza di limone anche candita. Il sorso è pieno, cremoso e sinuoso. La trama delle bollicine rende la bevuta molto piacevole e stimolante, accentuando acidità e sapidità che ben bilanciano la morbidezza iniziale. La chiusura di bocca è lunga e appagante con piacevoli ritorni agrumati e nocciolati. Questo calice non ha nulla da invidiare a un blasonato Blanc de Blanc in termini di eleganza e longevità. Strepitoso il posizionamento a scaffale tra 25,00 e 35,00 €.
Vite Matta Radice Etrusca Asprinio D’Aversa Metodo Classico Pas Dosè Siamo a Casal di Principe, la Cooperativa Sociale Vite Matta, diretta da Vincenzo Letizia, Presidente del Consorzio Ager Asprinio, è da anni impegnata nella gestione di beni confiscati alla camorra dedicati alla viticoltura impiegando soggetti disagiati o dal passato difficile. Nomen Omen, Radice Etrusca, il vino ci riporta alle origini dell’asprinio. Il calice si presenta giallo dorato carico con perlage fine e persistente. Al naso come al gusto, il vino è dritto, quasi tagliente, con dissetante sapidità. L’acidità prorompente astringe quasi la bocca. Il gusto è denso, intenso, con chiari sentori di lievito e crosta di pane che non sovrastano tuttavia, i classici ritorni agrumati. Prezzo medio a scaffale ancora molto interessante sui 25,00 €.
Siamo ancora a Casal di Principe. Mattia di De Angelis Asprinio Spumante Metodo Classico. De Angelis, Ingegnere con la passione per la viticoltura, ha realizzato un grande vino. L’ingegnere si è avvicinato nuovamente alla terra con una mente allenata alla logica che l’ha portato a riguardare il passato con metodi e strumenti moderni, miscelando passato e presente, tecnica e esperienza.
30 mesi sui lieviti di maturazione e bottiglia. L’ultimo Metodo Classico della batteria. Da agricoltura biologica, si presenta di un colore giallo oro davvero carico, quel colore che Tonino Fusco definiva “oro Napoli”. La bollicina è fine e persistente. Il sorso è caratterizzato da una freschezza importante e complessa di tutte le declinazioni degli agrumi campani. Super dissetante, non si smetterebbe di berlo…
Questo spumante ha preso i voti più alti nelle degustazioni di Bubbles 2023.
L’importante acidità ne fa un vino super abbinabile con le nostre fritture, con la pizza napoletana, oltre al tradizionale abbinamento, con la mozzarella di bufala campana dop. Prezzo medio a scaffale sui 30,00 €.
Palazzo Marchesale Villa di Birano IX Denari Asprinio di Aversa Dop È il primo vino fermo di questa magnifica dozzina. Le famiglie brianesi Benfidi e Vanacore già dai primi decenni dell’800 iniziarono la produzione di asprinio, in cantine ricavate a una profondità di 15 metri sotto terra, scavate a mano nel tufo. Dall’ “Assisa del vino” del 15 febbraio 1640 risulta che il prezzo dell’Asprinio era di denari nove la caraffa, (la“caraffa” equivalente a trentatré once di liquido, poco meno di un litro), da qui il nome del vino. Il calice si presenta giallo paglierino carico con marcati riflessi dorati. Il naso è verticale, tipico dell’Asprinio: macchia mediterranea, foglia di limone. Il sorso è pieno in ottimo equilibrio tra alcool e freschezza e chiude con una scia piacevolmente sapida. E’ un jolly in abbinamento, di questi tempi, con la zuppa di fagioli cannellini e zucca.
La consulenza enologica appartiene a una famiglia cara al mondo del vino Campano: Danilo Trabucco. Prezzo a scaffale sotto i 20,00 €.
Magliulo, Asprinio di Aversa Dop
Siamo a Frignano, dove troviamo una certezza granitica: l’asprinio fermo di Raffaele Magliulo, vera e propria istituzione da quattro generazioni con le cantine storiche situate nelle grotte del palazzo borbonico di famiglia. Le vigne si trovano tra Frignano, San Tammaro (Carditello), Parete e Casal di Principe. Alle spalle della Reggia, negli spazi ristrutturati della Canetteria reale, Raffaele ha allestito eleganti spazi di degustazione.
Questo è un Asprinio “didattico” da tutti i punti di vista. Il calice si presenta giallo oro carico, al naso la classica vena ossidata, l’onnipresente nota di limone e sfumature erbacee. Il sorso è pieno, molto fresco e saporito di sentori canditi. Il palato è inizialmente orizzontale, poi si allunga e diventa pericolosamente bevibile e abbinabile. E’ un vino falsamente semplice che abbiniamo a saporite pasta e ceci o pasta e patate. Prezzo a scaffale sui 15,00 €
Cavasete Hera Nova Asprinio di Aversa Vigneti ad Alberata Dop 2022
Siamo a Succivo, l’alberata è di Gricignano (confinante con Masseria Campito), dove i terreni sono più simili a quelli vesuviani. Qui il giovane Giuseppe Luongo, agronomo con tesi di laurea sulla storia e enologia dell’asprinio, dal 2018 conduce in regime biologico (tendente al biodinamico) un vigneto ad alberata che tra i filari di pioppi nasconde qualche tutore in cemento e alcune corde per legare la scala. Il motivo? Giuseppe durante una vendemmia è caduto e ha rischiato grosso. Sono accorgimenti anche in tema di sicurezza dei lavoratori ormai da tenere da conto. Questi quattro filari di vigneto Giuseppe li ha ereditati dal nonno che ha conosciuto e imparato ad amare solo attraverso questa vigna. Il medesimo magico legame amoroso che lega l’uomo al vino e la vite “maritata” al pioppo.
L’alberata è composta da due 2 filari lunghi 400 mt. e alti 10 metri, a piede franco che datano a fine ‘800. L’altra metà del vigneto, circa 1,2 ha. a controspalliera con cordone speronato e non guyot. “Basta, dire che l’asprinio è solo agrumi, mi racconta Giuseppe Luongo, questi sono solo gli aromi primari, ma lavorando bene in cantina si sviluppano note di frutta a pasta gialla, iodate e di pietra focaia per un asprinio più moderno, longevo e contemporaneo.”
Il calice si presenta giallo dorato carico e luminoso. I marcatori olfattivi sono quelli che abbiamo già incontrato: foglia e scorzetta di limone candita, pompelmo, tante erbe aromatiche e pesca nettarina acerba. La chiusura vira verso leggere note candite e sentori iodati, appena fumé che, nelle annate precedenti che Giuseppe conserva gelosamente in cantina, risulteranno ancora più evidenti.
La corrispondenza gusto olfattiva è precisa. Al sorso gli agrumi sapidi e croccanti, si fondono con frutti a pasta gialla e erbe officinali in una complessiva trama di elegante freschezza e sapidità. Un asprinio pulito, senza fronzoli, super bevibile, che non cede alle mode, da abbinare senz’altro alla pizza fritta e alla mozzarella in carrozza. Prezzo medio a scaffale sui 15,00
Tenuta Fontana, Alberata Asprinio di Aversa Dop 2022 La masterclass si conclude con un calice noto agli appassionati di Asprinio. Siamo a Carinaro. Qui Raffaele Fontana, sannita di origine, con sua moglie Teresa, ha investito inizialmente nella sua terra con aglianico, falanghina e sciascinoso, poi nel casertano con pallagrello e asprinio. Tenuta Fontana nasce nel 2009, a papà Raffaele si sono affiancati Mariapina e Antonio Fontana, quinta generazione della famiglia. L’obiettivo dei Fontana è ambizioso: realizzare vini di qualità a costo accessibile, valorizzando e promuovendo, con passione e competenza, i prodotti della propria terra. Dal febbraio 2018 Tenuta Fontana ha ricevuto in concessione a titolo oneroso per il ripristino, coltivazione e gestione l’antica Vigna Borbonica con licenza d’uso del marchio “Vigna di San Silvestro – Reggia di Caserta”. L’importanza della dinastia borbonica nel casertano è cosa nota a tutti. Dalla Reggia di Caserta fino all’acquedotto Carolino, passando per San Leucio e la riqualificazione del centro storico, le opere firmate dai Borbone sono visibili ancora oggi. Pochi sanno però che, lungo le colline leuciane, si produceva un vino di assoluto prestigio presso il vigneto di San Silvestro. La conduzione dell’alberata è in regime biologico con la consulenza di Francesco Bartoletti enologo con esperienze internazionali. Questa è l’unica cantina ad aver introdotto per l’asprinio la lavorazione in anfora. Il vino fermenta infatti in anfore di terracotta a temperatura controllata. Segue affinamento ancora in anfore per 7 mesi con permanenza sulle fecce fini e successiva elevazione in acciaio inox per 6 mesi con permanenza sulle fecce fini e affinamento in bottiglia per almeno 2 mesi. L’esperimento mira a ottenere un bianco di buona struttura e acidità che non teme il tempo. Il calice è giallo paglierino intenso con riflessi dorati. Al naso arrivano prima i sentori di frutta gialla matura, seguiti dalle tradizionali note agrumate. Al sorso è chiaro che la permanenza in anfora e la sosta sulle fecce fini mirino a un vino che si espande più in larghezza che in profondità con un ricco corredo soprattutto gustativo. Qui le note varietali tipiche dell’asprinio emergono chiaramente, forse, solo in chiusura di bocca con una buona acidità e sapidità (siamo a 30 mt. sul livello del mare) che lo rendono piacevole e appagante. Il lavoro in anfora gli conferisce senz’altro eleganza e serbevolezza. Prezzo medio a scaffale sopra 25,00 €.
Considerazioni finali
La Campania rappresenta circa il 2,7%(con riferimento ai vini a Denominazione di Origine) della produzione vinicola nazionale, ma, assurdo paradosso, consuma il doppio dei vini che produce! Cosa ci dice questo dato? In generale, che l’ossessione “esterofila” di ristoratori, addetti ai lavori e wine lovers va combattuta.
In particolare, che l’Asprinio, malgrado accenda interesse sia come vino, sia come vitigno, non è ancora riuscito a posizionarsi a un livello degno di nota nel panorama dei vini italiani che contano. Al contrario, nonostante la crescita relativa del numero di cantine, anche giovani, e l’attività di Consorzi e Istituzioni, recentemente si è paventato addirittura il rischio di scomparsa della denominazione (nel 2021 si è profilata una pericolosa corrente d’opinione circa la necessità di avere per la provincia di Caserta una denominazione unica che potesse essere capofila per tutte le altre nell’ottica di maggiori aperture commerciali e di promozione sui mercati)???…
La Campania grazie alla sua ricchezza ampelografica si ritrova tanti vitigni con grandissima potenzialità: Falanghina, Greco, Fiano, Aglianico, Piedirosso solo per citare i più noti. Tutti vantano storia millenaria e, nelle diverse denominazioni delle 5 province, sono riusciti a guadagnarsi, chi più, chi meno, posizionamento almeno discreto nel panorama italiano e internazionale.
La voce che si è levata unanime dai produttori e dal consorzio (anche durante il convegno dedicato alla Dop/Igp Economy della mattina) è la richiesta di una solida politica di “branding” e marketing territoriale per la denominazione Asprinio di Aversa Dop. Questo “piccolo grande vino” è tra i pochissimi al mondo a poter vantare una narrazione storica di oltre 2000 anni e una pratica colturale probabilmente anche più antica. Il futuro per l’Asprinio esiste, basta saperlo leggere e amministrare. In un’areale di neanche 100 ettari si racchiudono sorprendenti differenze tra le varie micro zone nonostante l’altezza media sul livello del mare sia mediamente di 30 metri per tutti. Bisogna lavorare sulle differenze e sulla non omologazione, sono queste le carte vincenti dell’Asprinio e dei vini campani in generale. Poco meno di due anni fa l’Alberata Aversana è stata iscritta nel Patrimonio Immateriale della Regione Campania. Oggi punta ad essere nella lista dei siti Patrimonio Unesco, andandosi ad aggiungere alla lunga lista di luoghi italiani patrimonio dell’umanità. Questa candidatura è un passo di sostanziale importanza: così come è accaduto per il recente riconoscimento conferito alla Via Appia, la ricaduta sul territorio in termini economici e di promozione delle cantine e del territorio sarebbe enorme, basta solo saperla sfruttare… facendo sistema e rete, anche sviluppando l’Enoturismo, perché insieme si va lontano. E’ fondamentale che si sviluppi una consapevolezza condivisa (produttori, ristorazione, critica di settore, etc.) che l’Asprinio di Aversa è un patrimonio di tutti che va difeso e sostenuto in un momento in cui la richiesta del mercato va chiaramente in direzione di bollicine e vini bianchi freschi, bevibili e ben abbinabili.
Contatti: Consorzio Vitica Via G. A. Acquaviva, 128 – 81100 Caserta – info@vitica.it
Ph. Credit Anna Ciotola
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