di Antonio Di Spirito
Il Consorzio di Tutela Vini Sicilia DOC, sin dalla sua fondazione avvenuta il 22 novembre 2011, ha promosso e valorizzato le produzioni del vino siciliano, i suoi vitigni e l’intero territorio regionale, le cui varie denominazioni sono distribuite sull’isola come da seguente mappa:
Nello scorso mese di novembre si è tenuto un focus sul vitigno a bacca rossa, principe della viticoltura siciliana: il nero d’Avola.
La formula adottata non è agevole per gli operatori, né potrebbe mai essere esaustiva per chi voglia colmare vuoti di conoscenze, comprendere l’enorme percorso del vitigno effettuato nei secoli e l’evoluzione raggiunta da questo vino. Ma tant’è; talvolta, purtroppo, bisogna seguire alcune direttive imposte dalle istituzioni, anche se distorte o incomprensibili.
Nell’immaginario collettivo, in maniera generalizzata, è rimasto il convincimento di un Nero d’Avola “palestrato” e corposo, difficile da abbinare a tavola e, ancor più, fuori dai pasti.
Ed allora, seguiamo il percorso evolutivo di questo vino, dando anche fondo a reminiscenze vissute personalmente.
Partiamo intanto dal vitigno
Quasi sicuramente furono i Fenici ad introdurre la coltivazione della vite in Sicilia, ma furono i Greci, nel VIII sec. a.C., a diffonderne la coltivazione nell’intera regione con l’introduzione dell’alberello egeo. Le condizioni pedoclimatiche, poi, hanno favorito lo sviluppo della viticoltura, tanto che oggi si annoverano almeno 70 vitigni autoctoni.
L’alternanza di dominazioni e di culture diverse nell’isola hanno guidato lo sviluppo vitivinicolo in maniera anomala; basti pensare al periodo di dominazione musulmana, quando la produzione del vino fu azzerata; i Normanni imposero una tassazione eccessiva, tale da indurre i contadini all’estirpazione dei vigneti; la coltivazione riprese con gli Aragonesi e, poi, con gli Spagnoli, fino ad avere uno sviluppo eccessivamente orientato alla produzione del Marsala.
Alla fine del 1800 il nero d’Avola non era così diffusamente coltivato nell’isola; era conosciuto anche con il nome calabrese nero, non certo per le sue origini, ma per la fama che avevano i vini calabresi, ed il suo utilizzo era concentrato nella sua zona d’elezione: Avola e dintorni;
Negli anni settanta e ottanta del secolo scorso l’unico vino rosso siciliano conosciuto nel resto d’Italia, era a base di nero d’Avola, in “uvaggio” con altri vitigni siciliani a bacca rossa.
Verso la fine degli anni ottanta, a causa della forte crisi del comparto vitivinicolo dovuto sostanzialmente all’ingente invenduto, il sistema italiano è stato reinventato facendo tesoro di tutte le migliorie adottate nell’intera filiera produttiva francese e, spesso, adottando anche i vitigni francesi. Il miglioramento dei vini italiani fu evidente e, successivamente, ci fu una forte voglia di dare impulso ad una coltivazione più diffusa dei vitigni autoctoni, applicando le nuove tecniche acquisite, sia in vigna che in cantina e producendo vini in “purezza”.
Nei primi anni del duemila in tutta l’Italia si è seguita la moda di un uso sfrenato del legno, spesso ad alta tostatura, e la ricerca di intense concentrazioni. Successivamente c’è stato un uso del legno più dosato ed un alleggerimento dei vini, specie quelli più corpulenti, preferendo una connotazione più elegante. A queste innovazioni si aggiungono le pratiche adottate negli ulti anni, come gli studi di zonazione dei territori e la classificazione dei vitigni secondo la genomica e la distinzione dei cloni.
Per quanto riguarda il territorio siciliano, si può distinguere una parte prevalentemente montuosa a settentrione; la parte centro meridionale e sud-occidentale è, in prevalenza, collinare; la zona sud-orientale si può ritenere un altopiano a tutti gli effetti e c’è la zona vulcanica nella Sicilia orientale, intorno all’Etna. Le zone pianeggianti sono confinate lungo la costa. Naturalmente, la composizione del terreno non è mai omogenea all’interno di ogni territorio.
Oggi il nero d’Avola è coltivato, escludendo la zona dell’Etna, sull’intera isola; valutando gli aspetti morfologici (aspetto, forma e dimensione del grappolo), quelli agronomici e quelli enologici, vengono individuati due biotipi, identificati con le lettere dell’alfabeto. Il biotipo A è quello maggiormente diffuso nell’area della Sicilia centro-meridionale, nelle province di Palermo, Agrigento e Caltanissetta, molto strutturato ed ottima concentrazione di alcool. Il biotipo B, è diffuso nella Sicilia occidentale, nella provincia di Trapani e produce vini più snelli.
Si individuano due ulteriori biotipi identificati con le lettere B1 e B2, e sono diffusi nel sud-est dell’isola.
E’ un vitigno che si è acclimatato molto bene in tutta la Sicilia, molto resistente alla siccità e con un’ottima capacità di accumulare zuccheri e sostanze coloranti. Produce un vino che profuma di viola, ciliegia scura, mirtillo, carrube e cacao; ottima la corrispondenza gustativa, con buona copertura tannica e speziata.
Durante il tour abbiamo visitato molte cantine, ma, soprattutto, abbiamo partecipato a due masterclass, ognuna delle quali analizzava il comportamento del vitigno e le sue risposte a seconda delle zone di produzioni, esposizione ed altitudine, senza tener conto dei vari cloni, dei portainnesti, delle tecniche di cantina, delle modalità di maturazione ed invecchiamento; insomma, tutto quanto concerne la mano dell’uomo e le sue scelte.
Nella prima degustazione abbiamo assaggiato vini, tutti del 2020, provenienti da zone e suoli differenti fra loro.
Il primo vino è stato prodotto su un suolo argilloso in provincia di Trapani situato a 200 metri di altitudine; insieme ad una nota erbacea e foglia di agrumi, offre profumi di carrube e mirtilli; al palato porta sapori di frutta nera, i tannini sono molto presenti e maturi; buona freschezza, sapidità, mineralità e speziatura. Lungo e scorrevole.
Il secondo campione proviene dalla provincia di Palermo; il suolo è argilloso ed è situato a 600 metri di altitudine ed è affinato per 12 mesi in barriques di primo, secondo e terzo passaggio. Colore molto cupo, al naso è molto profumato di viole e frutta nera, con qualche nota di gesso. Il sorso è vellutato, fresco ed asciutto, sapido e materico, ma scorrevole e minerale; ottima verve acida e speziata.
Il terzo campione è stato prodotto con uve coltivate in provincia di Ragusa su un suolo sabbioso. Il vino è stato elevato in acciaio ed affinato lungamente in bottiglia; inizialmente un po’ pigro, poi si concede al naso con profumi di viola lavanda, cacao, lamponi, ciliegia nera; il sorso è molto minerale e gessoso, comunque fruttato e speziato, scorrevole ed ha un gran tannino vellutato. Grande freschezza.
Campione numero quattro: le uve sono coltivate in provincia di Siracusa, su terreno calcareo ricco di carbonato di calcio, posto a 220 metri di altitudine; dopo una lunga macerazione in acciaio, matura per 12 mesi in botti di rovere ed affina per sei mesi in bottiglia. Ha colore molto vivo e chiaro, profuma di mandarini, cannella ed emana una nota di vegetale secco; ha un tannino appena un po’ polveroso, ma il sorso è saporito e fine; ha buona freschezza e speziatura.
Il campione numero cinque proviene da un suolo misto, in parte argillosa ed una parte carbonatica, in provincia di Caltanissetta; molto floreale e fruttato al naso, ha forti note minerali ed affumicate. Il sorso è pieno di frutta rossa dolce, molto fresco ed ha un tannino vellutato; ha una notevole componente acida a sorreggere la beva prima di chiudere con una sottile speziatura.
Le uve del campione numero sei provengono da un suolo argilloso e limoso; ne deriva un colore molto carico ed una buona struttura. Al naso offre tanta frutta nera, erbe aromatiche, note di tabacco ed una nota ematico-ferrosa; il sorso è asciutto ed ha un tannino giovane, ma è saporito e gustoso, ha sapori di marasca ed amarena; ha un’ottima acidità e chiude con una fine speziatura.
Nella seconda masterclass sono stati presentati sei vini prodotti sempre con nero d’Avola e tutti del 2020, ma di altitudini differenti; per la precisione da 100 a 600 metri.
Tutti gli altri elementi pedoclimatici (composizione del suolo, esposizione, ecc.) erano variabili, sicché le differenze degustative non erano attribuibili alla differente altitudine di provenienza.
Sono risultati, però, interessanti alcuni dati emersi dallo studio effettuato.
In particolare, abbiamo appurato che il vigneto specializzati a nero d’Avola in Sicilia ha un’altimetria molto variabile e segue la seguente tabella:
Pianura (da 0 a 200 metri): 731 mila ettari (29%);
Collina (da 201 a 700 metri): 1.394 mila ettari (54%);
Montagna (oltre i 700 metri): 446 mila ettari (17%).
In particolare, nelle varie province i vigneti a nero d’Avola si distribuiscono secondo le seguenti tabelle:
Area centro-occidentale
Trapani 20 – 450 m.s.l.m.
Palermo 50 – 900 m.s.l.m.
Agrigento 80 – 500 m.s.l.m.
Caltanissetta 30 – 650 m.s.l.m.
Enna 400 – 700 m.s.l.m.
Area sud-orientale
Ragusa 50 – 350 m.s.l.m.
Siracusa 30 – 350 m.s.l.m.
Catania 50 – 600 m.s.l.m.
Area nord-orientale
Messina 70 – 550 m.s.l.m.
Si è osservato che oltre i 600 metri la vendemmia si protrae fino a tarda stagione, rischiando muffa e marciume in caso di pioggia, mentre potenza ed eleganza si ottengono da altitudini intermedie.
L’acidità sale notevolmente con l’altitudine, mentre il contenuto di resvetrarolo nelle uve assume la massima concentrazione tra i 500 ed i 600 metri di altitudine.
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